Nel panorama finanziario attuale aggravato dalla crisi finanziaria e pandemica la gran parte delle disposizione del nuovo codice di crisi d’impresa sono state procrastinate al 1 settembre 2021.

Sono però in vigore tutte le norme relative alle procedure di «sovraindebitamento». Con tale termine (art.  2 lett- c) d.lgs. 14/2019) si intende  «lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza»

I soggetti specificatamente indicati nelle categorie professionali appena indicate non possono essere sottoposti a procedura concorsuale di fallimento sebbene non siano più in grado di far fronte alle proprie esposizioni debitorie.

La materia era stata già in qualche modo regolamentata nel 2012 con le procedure di esdebitazione dei cosiddetti “insolventi civili”, di soggett, cioè, che non ricoprono la qualifica di imprenditore e, pertanto, non sono sottoposti alle ordinarie procedure fallimentari. Gli strumenti predisposti dalla legge 3/2012 non hanno trovato frequente applicazione nella prassi, a causa dei costi e del complesso iter da seguire, per questo il Codice della Crisi d’Impresa li ha ripensati e snelliti.

In caso di sovraindebitamento, i soggetti non passibili di liquidazione giudiziale possono ricorrere a tre procedure:

  1. il piano di ristrutturazione dei debiti (artt. 67-73) è riservato al consumatore e sostituisce il  vecchio“piano del consumatore”. L’ambito soggettivo di applicazione della procedura è esteso oltre che al consumatore (da intendersi come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una s.n.c., s.a.s. o di una s.a.p.a.) anche ai  suoi familiari ed è riservata ai debiti estranei a quelli sociali» (art. 2 lett. e, d. lgs. 14/2019).  Per familiari del consumatore si intendono il coniuge, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo, le parti dell’unione civile, ed i conviventi di fatto.  L’estensione del piano anche ai mebri della famiglia è possibile solo  se il sovraindebitamento  ha un’origine comune, (si pensi al classico caso di una situazione debitoria derivante da una successione ereditaria). In questo caso  è possibile presentare un unico piano; inoltre, in caso di più richieste, proposte da membri dello stesso nucleo familiare, il giudice previamente adito – individuato come competente – deve adottare i provvedimenti necessari per assicurare il coordinamento delle procedure collegate (art. 66 c. 4 d.lgs. 14/2019).  La definizione di consumatore è più ampia rispetto a quella contenuta nella legge 3/2012 (art. 6 c. 2 lett.b), infatti, riguarda anche i soci illimitatamente responsabili di società in nome collettivo (s.n.c.), di società in accomandita semplice (s.a.s.); di società in accomandita per azioni (s.a.p.a.) per i quali, in passato,  la giurisprudenza fallimentare aveva escluso tale possibilità;. La procedura, per essere applicata, non deve, però, recare pregiudizio ai creditori sociali.  Per quanto attiene alla disciplina del piano del di ristrutturazione dei debiti riservato al consumatore i compiti del commissario giudiziale o del liquidatore sono svolti dall’organismo di composizione della crisi; la nomina dell’attestatore è facoltativa (art. 65 c. 4 d.lgs. 14/2019). Si tratta di una disciplina più snella rispetto al procedimento unitario (art. 44 ss.); pertanto, il rinvio alle norme generali dettate dal Codice della Crisi d’Impresa è previsto nei soli limiti di compatibilità (art. 65 c. 2 d.lgs. 14/2019).  Il piano di ristrutturazione dei debiti si applica al consumatore che si trovi in uno stato di sovraindebitamento, ossia versi in una situazione di crisi o di insolvenza. Sono tali lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e si manifesta con l’incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (crisi) ovvero lo stato che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (insolvenza). La legge richiede che il debitore sia meritevole, ossia che non abbia determinato il sovraindebitamento per colpa grave o dolo (art. 69 c. 1 d.lgs. 14/2019). Alla procedura  non può accedere il consumatore che: sia già stato esdebitato nei 5 anni precedenti; abbia già beneficiato dell’esdebitazione per 2 volte. La ratio della norma è chiara: il legislatore intende favorire il debitore meritevole, non è tale chi si sia già giovato della procedura di ristrutturazione, in quanto dimostra una “recidiva” del proprio comportamento debitorio; parimenti, non può accedere a tale strumento chi abbia assunto obbligazioni sproporzionate rispetto alle proprie capacità economiche o reddituali (colpa grave), ovvero abbia agito in frode ai creditori o dolosamente. La norma introduce una novità rispetto al passato e sanziona anche il comportamento del creditore che abbia aggravato la situazione di sovraindebitamento del consumatore (art. 69 c. 2 d.lgs. 14/2019). Infatti, qualora il finanziatore, nell’erogare l’importo, non abbia valutato correttamente il merito creditizio del debitore, viene escluso il suo diritto di presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, benché dissenziente e di  far valere cause di inammissibilità, che non derivino da comportamenti dolosi del debitore. La verifica del merito creditizio è espressamente prevista dall’art. 124 bis del testo unico bancario (d.lgs. 385/1993) ove si dispone che, prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore debba valutare il merito creditizio del consumatore sia sulla base delle dichiarazioni fornite da quest’ultimo sia mediante la consultazione di una banca dati pertinente . Il piano di ristrutturazione del debito deve indicare i tempi e le modalita’ per superare la crisi  da sovraindebitamento. La proposta ha contenuto libero e puo’ prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti in qualsiasi forma. La domanda e’ corredata dell’elenco:  a) di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme  dovute  e delle cause di prelazione;  b) della consistenza e della composizione del patrimonio; c) degli atti di  straordinaria  amministrazione  compiuti  negli ultimi cinque anni; d) delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;  e) degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo familiare, con l’indicazione di quanto occorre al mantenimento della sua famiglia  Anche l’indicazione di questa tipologia di debiti rappresenta una novità rispetto alla disciplina precedente. Infatti, nel silenzio della legge, la giurisprudenza risultava divisa circa la possibilità di poter “ristrutturare” debiti derivanti, ad esempio, dalla cessione del quinto dello stipendio (pro Trib. Pistoia 27 dicembre 2013; contra Trib. Torino 30 settembre 2015). La “falcidia” di questa tipologia di debiti consente la liberazione di risorse a vantaggio di tutti i creditori, favorendo la ristrutturazione della situazione debitoria. Un’altra importante novità è rappresentata dalla sottrazione alle regole del concorso per il rimborso delle rate a scadere del mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale (art. 67 c. 5 d.lgs. 14/2019). Infatti, nel tempo, v’era stato un contrasto giurisprudenziale sul punto; il legislatore ha pertanto espressamente chiarito che il debitore possa provvedere al rimborso della rata del mutuo ipotecario, alla scadenza convenuta a patto che, al momento del deposito della domanda, egli abbia adempiuto alle proprie obbligazioni oppure che il giudice lo autorizzi al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. In relazione ai crediti muniti di cause legittime di prelazione, come pegno, ipoteca e privilegio, nel piano è possibile prevedere che i creditori non siano soddisfatti integralmente, a patto che  «che sia assicurato il pagamento del credito in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dall’OCC» (art. 67 c. 4 d.lgs. 14/2019). Il procedimento di ristrutturazione dei debiti si svolge dinnanzi al Tribunale in composizione monocratica (art. 67 c. 6 d.lgs 14/2019). La competenza territoriale è indicata nell’art. 27 c. 2 d.lgs. 14/2019: è competente il tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali (COMI), ossia il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi (art. 2 c. 1 lett. m) d.lgs. 14/2019). Il centro degli interessi principali del debitore, persona fisica non esercente attività d’impresa, coincide con la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, con l’ultima dimora nota o, in mancanza, con il luogo di nascita. Se questo non è in Italia, la competenza è del Tribunale di Roma. La domanda deve essere presentata da un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Ai sensi dell’art. 68 c. 1, l’OCC è costituito presso il circondario del Tribunale competente; in difetto, le sue funzioni sono svolte da un professionista con i requisiti indicati dall’art. 358 d.lgs. 14/2019. L’OCC è regolamentato dal D.M. 24 settembre 2014 n. 202; nelle procedure da sovraindebitamento, svolge le funzioni proprie del commissario e del liquidatore. Per la presentazione del piano non è necessaria l’assistenza del difensore (art. 68 c. 1, ultimo alinea). L’esclusione della difesa tecnica rappresenta una novità rispetto alla legge 3/2012 in cui non era chiara la necessità o meno di munirsi del patrocinio di un avvocato. Anche in questo caso, la giurisprudenza di merito si era mostrata divisa (pro Trib. Massa 28 gennaio 2016, contra Trib. Pistoia 17 novembre 2014). Alla proposta di piano di ristrutturazione, così come prevista dall’art. 67 d.lgs. 14/2019, deve essere allegata una relazione dell’Organismo di composizione della crisi contenente: l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni. L’organismo di composizione della crisi, entro 7 giorni dal conferimento dell’incarico, informa gli uffici territorialmente competenti, in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore, in particolare: l’agente della riscossione gli uffici fiscali; gli enti locali. I suddetti uffici, nei 15 giorni successivi, comunicano all’OCC il debito tributario accertato e/o gli eventuali accertamenti pendenti. Un effetto del deposito della domanda consiste nella sospensione del corso degli interessi – convenzionali o legali – sino alla chiusura della procedura e ai soli effetti del concorso. La suddetta sospensione non si applica ai crediti ipotecari, pignoratizi e privilegiati, in virtù di quanto previsto dagli artt. 2749, 2788, 2855 c. 2 e 3 c.c., a mente dei quali i suddetti crediti continuano a maturare interessi.  L’OCC, nella relazione, ha il compito di valutare anche il comportamento dei finanziatori.  Deve cioè stabilire se, nel concedere il finanziamento ad un soggetto già indebitato, sia stato considerato il merito creditizio del debitore o se vi sia stata negligenza, provocando un aggravamento della situazione debitoria del consumatore. La suddetta valutazione deve essere effettuata in considerazione del reddito disponibile del consumatore, dedotto l’importo necessario al mantenimento di un tenore di vita dignitoso. Per dare concretezza ai due parametri sopra indicati, il legislatore (art. 68 c. 3 d.lgs 14/2019) fa riferimento all’ammontare dell’assegno sociale moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti del nucleo familiare come previsto nella scala di equivalenza ISEE. L’Organismo di composizione della crisi deposita la domanda presso il Tribunale territorialmente competente. Il giudice adito, se ritiene la proposta ed il piano ammissibili, ne dispone con decreto la pubblicazione in apposita area del sito web del Tribunale (o del Ministero di Giustizia); la comunicazione a tutti i creditori, entro 30 giorni, a cura dell’OCC. I creditori, ricevuta la comunicazione di cui sopra, trasmettono all’OCC un indirizzo PEC, in difetto, le successive comunicazioni avverranno tramite il deposito in cancelleria (art. 70 c. 2 d.lgs. 14/2019). Con il decreto sopraindicato, su istanza del debitore, il giudice può disporre la sospensione dei procedimenti esecutivi pendenti che possano pregiudicare la fattibilità del piano. Parimenti, il giudice può vietare azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del consumatore, oltre alle altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio, fino alla conclusione del procedimento. Le suddette misure di favore per il debitore sono frutto di una valutazione discrezionale del giudice, il quale, come dispone la norma, può – non deve – assumerle. In ogni caso, si tratta di provvedimenti revocabili laddove si dimostri il compimento di atti di frode in danno dei creditori (art. 70 c. 5 d.lgs. 14/2019). Nei 20 giorni successivi alla comunicazione della presentazione del piano, i creditori hanno facoltà di presentare osservazioni all’OCC.  Non possono proporre osservazioni quei creditori che colposamente abbiano contribuito a provocare lo stato di sovraindebitamento (art. 69 c. 2 d.lgs. 14/2019). L’omologazione non necessita dell’approvazione dei creditori. La ratio della norma, infatti, consiste nel tutelare la posizione del consumatore che, nel bilanciamento degli interessi, appare prevalente rispetto a quella dei creditori i quali, in relazione alla particolarità di debiti non imprenditoriali per i quali la procedura è ammessa potrebbero opporre un rifiuto per ragioni di carattere personale, che prescindono dalla convenienza effettiva della proposta presentata.. Entro 10 giorni dalla presentazione delle osservazioni di cui sopra, l’OCC si confronta con il debitore e riferisce al giudice, eventualmente apportando le opportune modifiche al piano. Il giudice deve verificare l’ammissibilità giuridica e la fattibilità economica del piano e risolvere eventuali contestazioni sullo stesso. Una volta fatto ciò, provvede ad omologare il piano con sentenza e a dichiarare chiusa la procedura. Ove necessario, prescrive la trascrizione della sentenza a cura dell’OCC;. La sentenza è comunicata ai creditori entro 48 ore ed è pubblicata in un’apposita area del sito web del Tribunale (o del Ministero di Giustizia). I creditori non hanno alcun potere di veto, pertanto, in tali circostanze, il giudice può decidere ugualmente di omologare il piano «se ritiene che comunque il credito dell’opponente possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria» (art. 70 c. 9) Qualora il giudice ritenga il piano inammissibile o non fattibile, nega l’omologazione con decreto motivato e dichiara l’inefficacia delle misure protettive. In caso di diniego, su istanza del debitore, il giudice può dichiarare aperta la “liquidazione controllata” di cui agli artt. 268 e seguenti. L’apertura della procedura liquidatoria può avvenire anche su istanza dei creditori o del PM, nei casi di frode del debitor
  2. Il concordato minore (artt. 74-83) è rivolto al professionista, all’imprenditore minore, all’imprenditore agricolo e alle start-up innovative. Esso sostituisce “l’accordo di composizione della crisi contenuto nella primissima disciplina del  sovraindebitamento contenuta nella L. n. 3/2012 . Con particolare riferimento alla giurisdizione, nel concordato minore le regole coincidono con quelle dettate dagli artt. 26 ss. del Titolo III, dedicato alle procedure maggiori, in forza del rinvio di carattere generale contenuto nell’art. 65, 2° comma, c.c.i. L’art. 26, c.c.i. ribadisce un principio già in parte contenuto nell’art. 9 L. Fall. in forza del quale l’imprenditore che ha all’estero il c.d. comi (center of main interests), può essere assoggettato ad una procedura concorsuale – e, quindi, alla giurisdizione italiana – quando ha una dipendenza in Italia; e ciò anche se è stata aperta analoga procedura all’estero-l principio contenuto nell’art. 9 L. Fall. viene così esteso a tutte le procedure concorsuali, mentre nel regime attuale è limitato alla sola dichiarazione di fallimento. Il 2° comma dell’art. 26 c.c.i. stabilisce che il trasferimento del comi all’estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se è avvenuto nell’anno antecedente il deposito della domanda di regolazione concordata della crisi o della insolvenza o di apertura della liquidazione giudiziale ovvero dopo l’inizio della procedura di composizione assistita della crisi, se anteriore. La norma riporta più correttamente nell’alveo della disciplina sulla giurisdizione il 2° comma dell’art. 9, dedicato alla competenza, e anche in questo caso, dopo aver sostituito alla sede principale il c.d. comi, estende il principio oggi limitato al fallimento a tutte le procedure regolate dal c.c.i. Alla luce delle definizioni fornite dall’art. 2, espressamente richiamato dal 1° com­ma dell’art. 74 c.c.i., gli imprenditori legittimati alla proposizione della domanda di concordato minore sono i soggetti che, in via alternativa, provano: i) il mancato superamento delle soglie di cui all’art. 2, lett. d); ii) il carattere agricolo dell’attività imprenditoriale svolta [9]; iii) la permanenza del carattere della start-up, oltre al mancato superamento del termine di sessanta mesi ex art. 25, D.L. n. 179/2012, scaduti i quali la società perde la qualifica di start-up . In quest’ultimo caso la proposta di concordato è consentita solo se l’impresa (che è necessariamente una società di capitali o cooperativa) presenta i caratteri di cui all’art. 2, lett. d), c.c.i. Quanto ai professionisti, la domanda di concordato minore può essere legittimamente presentata dalle associazioni professionali; dagli studi professionali associati, nonché dalle società professionali ex L. n. 183/2011. Dal 1° comma dell’art. 74 c.c.i. si evince che la domanda di concordato minore è finalizzata alla continuazione dell’attività imprenditoriale o professionale. Analogamente al concordato preventivo, una proposta con finalità esclusivamente liquidatorie assume carattere residuale, come riprova il fatto che – a mente del 2° comma del suddetto art. 74 – è consentita esclusivamente se contempla delle «risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori», sulla falsariga di quanto previsto per il concordato preventivo. Ad un tempo, però, tale previsione si discosta da quella analoga contenuta dall’art. 84, 4° com­ma, c.c.i. dove si prevede – per il concordato preventivo liquidatorio – che l’apporto di risorse esterne deve incrementare il soddisfacimento dei creditori chirografari di almeno il 10% (rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale) e si precisa che il suddetto soddisfacimento non può essere inferiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario. La disciplina della domanda di concordato minore è regolata dagli artt. 75 s. c.c.i. In mancanza di prescrizione specifica, si deve ritenere che a norma dell’art. 37 c.c.i., sull’iniziativa per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, le forme siano quelle del ricorso.   A differenza della ristrutturazione dei debiti del consumatore per la quale il legislatore ha escluso espressamente l’obbligo di difesa tecnica, (art. 68, 1° comma), il patrocinio del difensore presenta, nel concordato minore, carattere necessario: in difetto di una previsione apposita, opera la regola generale sulla obbligatorietà della difesa tecnica posta dall’art. 9, 2° comma, c.c.i. Viene così superata l’interpretazione della Suprema Corte secondo la quale il patrocinio del difensore non sia necessario nella fase di apertura, perché la domanda va sottoscritta dal solo debitore, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 161 L. Fall. . La nuova disciplina consente dunque di affermare che l’assistenza del difensore munito di specifico mandato è sempre necessaria, anche se nell’OCC che coadiuva il debitore sia presente un avvocato che si occupi degli aspetti tecnici della domanda. Il ricorso è accompagnato dal piano, che chiarisce la complessiva attività di ristrutturazione finanziaria e patrimoniale funzionale al soddisfacimento dei creditori ed al superamento della crisi. A differenza dell’art. 87 c.c.i. che, per il concordato preventivo, elenca il contenuto necessario del piano, nulla in tal senso è previsto per il concordato minore.  Va da sé che appare opportuno che anche in un’ipotesi minore il piano evidenzi i  costi ed i ricavi determinati dalla prosecuzione dell’attività, le risorse finanziarie necessarie e le relative modalità di copertura, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 87, 1° comma, c.c.i. per il concordato preventivo. L’art. 77 c.c.i.  contempla  le ipotesi di inammissibilità della domanda. L’esame del giudice, una volta depositato il ricorso, ha ad oggetto: la completezza del corredo informativo e documentale di cui agli artt. 75 e 76; la sussistenza di requisiti dimensionali che eccedono i limiti previsti dall’art. 2, 1° comma, lett. d), nn. 1), 2) e 3); la dichiarazione di esdebitazione conseguita nei cinque anni precedenti la domanda; ovvero l’avvenuta concessione dell’esdebitazione per due volte, indipendentemente dal periodo di riferimento; il compimento di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Si tratta di verifiche per lo più documentali, inclusa quella della verifica dell’intervento dell’OCC,  rispetto alle quali non è consentito un vaglio discrezionale  del  Tribunale. Se la domanda di concordato supera il vaglio di ammissibilità il giudice apre con decreto la procedura, sulla falsariga di quanto previsto per il procedimento unitario dagli artt. 44 s. c.c.i. La disciplina del decreto, stabilita dall’art. 78 c.c.i., ripercorre quella prevista per il concordato preventivo anche in relazione ai meccanismi pubblicitari; ed infatti tale provvedimento è comunicato, unitamente alla proposta a tutti i creditori, a cura dell’OCC ed è pubblicato sulla pagina Web del sito del Tribunale o del Ministero della giustizia, nonché sul registro delle imprese se il debitore è un imprenditore. Al contempo il giudice assegna ai creditori un termine non superiore a trenta giorni entro il quale trasmettere all’OCC, a mezzo posta elettronica certificata, la dichiarazione di adesione (o di mancata adesione) alla proposta di concordato e le eventuali contestazioni; il legislatore, tuttavia, non stabilisce da quale momento decorre tale termine (se ad es. dalla pubblicazione sul sito web o dall’inserimento della pubblicazione nel registro delle imprese o, ancora, dalla ricezione della comunicazione del­l’OCC). E’ preferibile ritenere che il termine decorra dalla comunicazione ai singoli creditori anche se, in difetto di una previsione normativa, il giudice può indicare nel decreto di apertura il momento che segna il decorso dei trenta giorni. È inoltre opportuno precisare che l’art. 78, 4° comma, c.c.i. onera il creditore, con la comunicazione di adesione (o mancata adesione), di «indicare un indirizzo di posta elettronica certificata a cui ricevere tutte le comunicazioni». L’art. 78, 2° comma, lett. c) stabilisce, inoltre, che nel medesimo termine (30 giorni) i creditori formulano “eventuali contestazioni” che costituiscono vere e proprie opposizioni sulla convenienza del concordato, sulla [continua A differenza del concordato preventivo, per il quale l’omologazione presuppone l’approvazione della doppia maggioranza in caso di suddivisione del ceto creditorio in classi, il legislatore del concordato minore prescrive la sola maggioranza dei crediti ammessi al voto, senza specificare alcunché sulla maggioranza richiesta laddove il debitore abbia suddiviso i creditori in classi; per agevolare l’approvazione, l’art. 79 c.c.i. richiede, inoltre, la maggioranza semplice rispetto alla soglia del 60% sancita dalla legge sovraindebitamento. In capo ai creditori privilegiati destinati a essere integralmente soddisfatti non è previsto il diritto al voto, salvo rinuncia al diritto di prelazione; di contro i privilegiati incapienti sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito, sia in relazione al voto, sia alla futura soddisfazione, analogamente alla disciplina del concordato preventivo. Opportunamente poi l’art. 79, 2° comma, esclude dal voto e non sono neppure computati nelle maggioranze – ove titolari di crediti nei confronti del proponente – il coniuge, il convivente di fatto, la parte dell’unione civile, parenti e affini entro il quarto grado, nonché  i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della domanda. L’esclusione, va notato, concerne i soli casi in cui i terzi si siano resi cessionari dei crediti dai soggetti specificamente elencati nel medesimo comma, mentre nessuna esclusione dal voto è prevista per l’ipotesi in cui la cessione sia stata conclusa con altri creditori non legati da rapporti di parentela col proponente. Quanto alle modalità che debbono caratterizzare l’espressione del voto, per l’art. 78, 2° comma, c.c.i. si tratta di una dichiarazione da trasmettere a mezzo posta elettronica certificata che, come visto, indica un indirizzo di posta elettronica certificata cui verranno inoltrate tutte le eventuali comunicazioni. La dichiarazione va inoltrata direttamente all’OCC cui deve pervenire entro il termine stabilito nel decreto di apertura della procedura. Verificate l’ammissibilità giuridica e la fattibilità economica del piano nonché la sussistenza della maggioranza richiesta dall’art. 79 c.c.i., il giudice in mancanza di contestazioni, omologa il concordato minore con sentenza, ex art. 80, 1° comma, c.c.i., disponendo forme adeguate di pubblicità e, se necessario, la sua trascrizione. Questa disposizione presuppone implicitamente che l’OCC, ricevute le dichiarazioni di voto, informi il giudice, con una relazione, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 110, 1° comma, per il commissario giudiziale nel concordato preventivo; nessuna attività è invece richiesta al debitore. Il subprocedimento di omologa ha sempre ad oggetto l’ammissibilità della domanda e la concreta fattibilità economica del piano ma, rispetto alla fase di apertura, l’esame del Tribunale è ampliato dalle contestazioni dei creditori. La verifica si estende, dunque, anche all’effettivo raggiungimento della percentuale stabilita al­l’art. 79 c.c.i., ed è in questa sede che possono essere sollevate contestazioni circa la regolarità del voto ovvero su atti in frode dei creditori. Ai profili di inammissibilità, in senso ampio, della domanda si affianca poi la verifica di eventuali contestazioni dei creditori o di “qualunque altro interessato” circa la convenienza della proposta; in tal caso è lo stesso 3° comma dell’art. 80 c.c.i. a prevedere che il giudice decide dopo aver sentito parti ed OCC]. In relazione alle contestazioni sulla convenienza, il giudice può comunque omologare il concordato qualora ritenga che «il credito dell’opponente possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria». È inoltre opportuno precisare che il termine stabilito per le comunicazioni di voto dal decreto di apertura ex art. 78, 2° comma, lett. c), non sembra destinato ad operare per le opposizioni, precluse solo dell’apertura della fase decisionale. L’opposizione apre una fase sostanzialmente contenziosa; sussiste pertanto per l’oppo­nente l’obbligo di difesa tecnica che deve sostenere le proprie argomentazioni mediante una vera e propria memoria Al decreto di rigetto dell’omologa può seguire la declaratoria di apertura della liquidazione controllata, in presenza di istanza del debitore nonché – ma unicamente «in caso di frode» – del creditore o del p.m. sempre che, in quest’ultimo caso, «l’insolvenza riguardi l’imprenditore». Questa disciplina tuttavia non tiene conto del fatto che l’iniziativa, nella liquidazione controllata, spetta anche al p.m., quando l’insolvenza riguardi l’imprenditore, ed al creditore «anche in pendenza di procedure esecutive», ex art. 268, 2° comma, c.c.i., senza che siano apposte condizioni o vincoli di sorta. Il problema del concorso tra procedure (che riguardano il debitore civile o l’imprenditore minore o agricolo) è poi affrontato dall’art. 271 c.c.i., ove si prevede che se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal p.m. e il debitore chiede l’accesso a una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o al concordato minore, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda. Il 2° comma della medesima disposizione ripropone poi il coordinamento attuato – dagli artt. 44 ss. – tra domanda di concordato preventivo e liquidazione giudiziale, laddove stabilisce che nella pendenza di tale termine, non può essere aperta la liquidazione controllata e la relativa domanda è dichiarata improcedibile quando sia aperta una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o il concordato minore. Alla scadenza del termine suddetto, senza che il debitore abbia integrato la domanda, ovvero in ogni caso di mancata apertura o cessazione delle procedure di cui al capo III del titolo IV, il giudice apre con sentenza la liquidazione controllata. Per completare il quadro della disciplina di riferimento va richiamato il 7° comma dell’art. 80 c.c.i., a mente del quale il decreto di rigetto è reclamabile ex art. 50 c.c.i. alla Corte d’Appello, nel rispetto del regime di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c., sempre che non sia stata contestualmente pronunciata la sentenza che apre la liquidazione controllata; in quest’ultimo caso va impugnata la sentenza ed in tale contesto occorre censurare i vizi propri del decreto . L’esecuzione del concordato minore non attiene alla procedura in senso stretto dal momento che il legislatore quando stabilisce che la sentenza di omologa chiude la procedura. La figura del giudice ha in questa fase un ruolo circoscritto ed eventuale in quanto risolve le eventuali contestazioni. L’impostazione adottata dal legislatore del 2019 coincide, dunque, in linea generale con quella propria dell’art. 13 L. sovraind. E’ l’OCC che vigila sull’esatto adempimento del concordato minore, risolve le eventuali difficoltà e, se necessario, le sottopone al giudice. Stando ad una primissima interpretazione della norma, il fatto che l’OCC “vigila” (in luogo di “esegue”) indurrebbe a ritenere che l’esecuzione in senso proprio sia affidata al debitore indipendentemente dalla circostanza che si tratti di concordato in continuità ovvero liquidatorio.
  3. La  liquidazione controllata del debitore (artt. 268-277)  è rivolta alle categorie dei soggetti sopraindicati (sostituisce la “liquidazione del patrimonio”). Si tratta di una procedura semplificata rispetto alla disciplina della liquidazione giudiziale riservata a patrimoni di limitato valore e a situazioni finanziarie caratterizzate da minore complessità. Anche per questa procedura non è necessario il patrocinio di un legale per la presentazione del ricorso contenente la domanda di liquidazione. La tutela del debitore si realizza grazie all’assistenza dell’organismo di composizione della crisi, il quale, in persona del gestore della crisi, deve redigere una relazione, da allegarsi al ricorso, in cui espone la situazione economico finanziaria del debitore (dalla quale deve risultare la sussistenza dello stato di crisi o insolvenza), ed esprime una valutazione sull’attendibilità della documentazione allegata dal debitore nel ricorso. E’ compito esclusivo dell’OCC, entro tre giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, finalizzato al deposito del ricorso, darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore. La disposizione è volta a consentire agli uffici di predisporre tempestivamente la documentazione necessaria per far valere eventuali crediti nella liquidazione e, se possibile, a comunicare la situazione debitoria all’OCC, in modo che questi ne possa tener conto nella redazione della relazione. Nel silenzio della legge la relazione dovrà essere compilata facendo riferimento all’art 14 ter, comma 3, L. n. 3/2012, la quale indica nello specifico che la relazione deve contenere: a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere volontariamente le obbligazioni; b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni; d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda. Non è più richiesto espressamente l’inventario di tutti i beni del debitore, anche se v’è da ritenere che dovrà essere comunque fornito. La domanda di apertura di una procedura di liquidazione controllata dei beni, contenuta in un ricorso, deve essere presentata al tribunale competente ai sensi dell’art. 27, comma 2 del Codice della crisi e dell’insolvenza, ovvero il tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali, dicitura che richiama sostanzialmente quella del C.O.MI. Il tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata. Con la sentenza il tribunale: a) nomina il giudice delegato; b) nomina il liquidatore, confermando l’OCC o, per giustificati motivi, scegliendolo nell’elenco dei gestori della crisi di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202. c) ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori; d) assegna ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall’elenco depositato un termine non superiore a sessanta giorni entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell’articolo 201; si applica l’articolo 10, comma 3; e) ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo a utilizzare alcuni di essi f) dispone l’inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale o del Ministero della Giustizia. Nel caso in cui il debitore svolga attività d’impresa, la pubblicazione è altresì effettuata presso il registro delle imprese; g) ordina, quando vi sono beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti.  La nuova normativa, perseguendo la finalità unitaria che le è propria per tutte le procedure concorsuali, innesta anche la liquidazione controllata del sovraindebitato nel procedimento regolato dagli art. 44 ss., in quanto applicabili, e disciplina la procedura di liquidazione controllata sul modello della liquidazione giudiziale adattandola alle caratteristiche dei soggetti sovraindebitati. La norma prevede, perciò, che il tribunale, valutata l’assenza di domande alternative di composizione concordata e la sussistenza del presupposto della crisi o dell’insolvenza, dichiari l’apertura della liquidazione giudiziale e detti i provvedimenti per l’ulteriore corso. Con lo stesso provvedimento nomina il giudice delegato e il liquidatore, confermando normalmente il gestore della crisi che già assiste il debitore. Il tribunale può, tuttavia, nominare liquidatore anche un diverso gestore della crisi, scegliendolo, di regola, nell’elenco di cui al DM Giustizia 24 settembre 2014 n. 202, tra i residenti nel circondario del tribunale competente. E’ possibile derogare a tale indicazione, ma la diversa scelta deve essere espressamente motivata e se ne deve dare notizia al presidente del tribunale. Il liquidatore dovrà aggiornare l’elenco dei creditori; ai nuovi soggetti inseriti nell’elenco dovrà essere notificata la sentenza di apertura della liquidazione, entro il termine di trenta giorni, affinché possano parimenti presentare domanda di ammissione al passivo o di restituzione, rivendicazione. Al contempo, entro il termine di novanta giorni, il liquidatore dovrà completare l’inventario dei beni del debitore e redigere un programma in ordine ai tempi e modalità della liquidazione; il programma dovrà essere comunicato al giudice delegato e depositato in cancelleria. Il liquidatore predispone un progetto di stato passivo, comprendente un elenco dei titolari di diritti sui beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore, e lo comunica agli interessati all’indirizzo di posta elettronica certificato indicato nella domanda. In mancanza della predetta indicazione, il provvedimento si intende comunicato mediante deposito in cancelleria; entro quindici giorni possono essere proposte osservazioni; in assenza di osservazioni, il liquidatore forma lo stato passivo, lo deposita in cancelleria e ne dispone l’inserimento nel sito web del tribunale o del Ministero della giustizia; quando sono formulate osservazioni che il liquidatore ritiene fondate, predispone, entro quindici giorni un nuovo progetto di stato passivo e ne dà comunicazione; in presenza di contestazioni non superabili, il liquidatore rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede alla definitiva formazione del passivo con decreto motivato e pubblicato. Contro il decreto può essere proposto reclamo davanti al collegio, di cui non può far parte il giudice delegato. Il procedimento si svolge senza formalità, assicurando il rispetto del contraddittorio. L’art. 271 introduce una variante semplificatoria alla disciplina del processo unitario per il caso di concorso di procedure. Tra i compiti specifici di gestione della procedura concorsuale, gravano sul liquidatore l’obbligo di riferire ogni sei mesi al giudice delegato e di depositare le relazioni semestrali, pena la revoca dell’incarico, oltre che di presentare al termine il rendiconto che, approvato, da titolo per la percezione del compenso. Il liquidatore provvede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione secondo l’ordine di prelazione risultante dallo stato passivo, previa formazione di un progetto di riparto da comunicare al debitore e ai creditori, con termine non superiore a giorni quindici per osservazioni. In assenza di contestazioni, comunica il progetto di riparto al giudice che senza indugio ne autorizza l’esecuzione. Se sorgono contestazioni sul progetto di riparto, il liquidatore verifica la possibilità di componimento e vi apporta le modifiche che ritiene opportune. Altrimenti rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede con decreto motivato, reclamabile. La procedura si chiude con decreto, come previsto dall’art. 14-nonies, comma 5, L. n. 3/2012. Con decreto di chiusura, il giudice, su istanza del liquidatore, autorizza il pagamento del compenso liquidato, lo svincolo delle somme eventualmente accantonate e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo.