La Corte Costituzionale, con sentenza n. 244/2020 ( Pres. Morelli, Rel. Sciarra) ha sancito la legittimità costituzionale della LR 2/2015 della Regione Emilia Romagna relativa al regime di integrazione al trattamento di fine servizio (TFS) dei propri dipendenti pubblici.

La vicenda trae origine nel corso del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia Romagna per l’esercizio finanziario 2018: la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, con ordinanza del 2.8.2019 ha sollevato incidente di incostituzionalità riguardante le disposizioni di cui agli artt 1 e 8 LR 58/1982, 15 comma 3 LR 2/2015, 8 LR13/2016, per presunta violazione degli artt 3, 36,81,97, 117 comma 2 ,lett. l) ed o), comma  3 e 119 Cost.

Premette in fatto la rimettente che nel rendiconto relativo all’esercizio finanziario 2018 la Regione emilia Romagna ha inserito un capitolo di bilancio appositamente destinato al “Fondo di accantonamento per l’integrazione regionale all’indennità di fine servizio”: tanto per effetto della facoltà di accantonamento di fondi per passività potenziali attribuitale in virtù dell’art 46, comma 3, del DLGS 118/2011 ( recante Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt 1 e 2 della L42/2009) per le spese riguardanti la integrazione regionale al TFS.

Tale integrazione è stata introdotta dalla Regione a favore dei propri dipendenti ed è stata posta a carico del proprio bilancio ex art 1 della citata LR 58/1982 fino all’entrata in vigore di una diversa disciplina generale dell’indennità di fine servizio per tutto il settore del pubblico impiego ( art 1 comma 1).

La legge è stata poi abrogata dall’ art 15 comma 3 LR 2/2015, anche se detta norma ne ha fatto salva l’applicazione limitatamente ai dipendenti che avessero maturato, prima della sua entrata in vigore, il requisito di un anno di servizio presso la Regione.

Tale ultima previsione è stata oggetto di interpretazione autentica ex art 8 LR 13/2016, dovendo intendersi nel senso che la salvaguardia concerne i dipendenti in servizio presso la Regione alla data di entrata in vigore della legge stessa.

 

Tanto premesso, la rimettente ritiene che la disposizione di cui all’art 15 comma 3 LR 2/2015 sia intervenuta in materia riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, tale da determinare un illegittimo aumento di spesa del personale della Regione, con la conseguenza di non poter procedere alla parificazione dei relativi capitoli di bilancio senza prima sollevare questione di legittimità costituzionale: del resto, se tali norme fossero dichiarate incostituzionali si rivelerebbero prive della necessaria copertura finanziaria, con conseguente violazione dell’art 81 comma 3 Cost.

 

Volendo quindi sintetizzare, le norme oggetto del sollevato incidente di incostituzionalità:

 

  1. a) lederebbero l’art 117, comma 2, lett o) ed l), Cost. che stabilisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di previdenza sociale ed ordinamento civile, nella parte in cui hanno fatto salva l’integrazione regionale per i dipendenti con almeno un anno di anzianità ed in servizio al momento dell’entrata in vigore della medesima LR 2/2015;

 

  1. b) violerebbero gli artt 81 e 97 Cost nella misura in cui la Regione avrebbe individuato apposite risorse volte a compensare tale migliore trattamento, determinando la riduzione di altre poste del risultato di amministrazione;

 

  1. c) si porrebbero ugualmente in contrasto con gli artt 3 e 36 Cost poiché violerebbero le norme statali che contengono i principi e le norme fondamentali di riforma economico – sociale, determinando una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici del restante territorio nazionale, configurando peraltro una voce retributiva non corrispondente ad una specifica prestazione del dipendente, come tale non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato;

 

  1. d) sarebbero violative degli artt 117 e 119 Cost in quanto antitetiche rispetto ai principi di coordinamento della spesa pubblica poiché incrementano ingiustificatamente la spesa pubblica in tema di personale regionale;

 

  1. e) violerebbero, infine, l’obbligo di copertura finanziaria ex art 81 comma 3 Cost, poiché non indicherebbero alcun mezzo di copertura della spesa limitandosi ad un generico rinvio alle successive previsioni di bilancio, in modo difforme dalle modalità tipiche indicate ex art 17 delle L 196/2009 (Legge di contabilità e finanza pubblica), peraltro presentando una insufficiente quantificazione del detto onere, all’uopo mancando ogni documentazione tecnica al riguardo.

 

Tanto premesso, la Corte Costituzionale, nel disattendere le prospettate questioni di legittimità costituzionale, provvede anzitutto alla ricostruzione storica del quadro normativo che ha regolato la materia, ricordando che l’istituto del TFS risale alla L 152/1968 ( Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali) che ha introdotto l’indennità premio di fine servizio per i dipendenti del comparto locale.

Successivamente, il D.P.R. 1032/1973 ( di Approvazione del T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) ha disciplinato l’indennità di buonuscita per i dipendenti statali.

Sul punto, la ratio di tale indennità, così introdotta, è stata efficacemente individuata dalla Corte stessa nell’ordinanza n. 763/1988 con specifico riguardo alla necessità di “…porre il dipendente cessato dal servizio ed in attesa di pensione in condizione di far fronte alle difficoltà economiche insorgenti al momento e per effetto della fine del rapporto di impiego”.

Quanto ai criteri di computo delle due tipologie di indennità:

– mentre il TFS era calcolato sulla base di 1/15 dell’80% dell’ultima retribuzione annua utile, moltiplicata per gli anni di servizio;

– l’indennità di buonuscita corrispondeva ad 1/12 dell’80% dell’ultima retribuzione annua utile, moltiplicata per gli anni di servizio.

E’ chiaro, a questo punto, come l’indennità di buonuscita prevista per gli statali fosse, all’epoca, più cospicua rispetto al TFS riservato ai dipendenti del comparto locale.

 

Successivamente, a seguito della generale riforma del trattamento pensionistico obbligatorio e complementare, avvenuta ex lege 335/1995, è stato previsto, in base all’ art 2 comma 5 della legge citata, il transito dal regime pubblicistico del TFS al regime privatistico del TFR di cui all’art 2120 cod. civ. per tutti i lavoratori assunti alle dipendenze delle PP.AA. a partire dal 1.1.1996.

Tale previsione ha trovato un temperamento nell’art 59, comma 56, L449/97 (Misure di stabilizzazione della finanza pubblica), che ha previsto la possibilità per il dipendente di optare in favore del passaggio al regime del TFR, secondo le modalità e la gradualità da stabilirsi in forza di una specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori: il che è avvenuto previo Accordo quadro sottoscritto da queste ultime e la ARAN in data 29.7.1999, recepito dunque dal DPCM 20.12.1999.

Per questa via, si è giunti al regime del TFR di cui al citato art 2120 c.c. nei confronti del personale delle PP.AA. assunto a tempo indeterminato in data successiva al 31.12.2000.

Si è venuto, così, a delineare un doppio regime, di tipo pubblicistico per i dipendenti assunti prima del 2001, corrispondente dunque al TFS, ed uno di tipo privatistico per i dipendenti assunti a partire dal 1.1.2001, costituito dal TFR.

Questo duplice regime è stato confermato, nonostante alcuni avvicendamenti normativi, con il DL 185/2012 (Disposizioni urgenti in materia di TFS per i dipendenti pubblici) non convertito, poi con la L 228/2012 ( recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, Legge di Stabilità per il 2013) ed è ancora oggi vigente.

Ora, la permanenza di tale normativa, che coesiste con regimi diversi, ha comportato in ambito regionale l’invarianza della previsione della integrazione regionale al TFS, per i dipendenti assunti prima del 2001  qualora non avessero optato per il nuovo regime del TFR, mentre i dipendenti statali, assunti alla medesima data, continuano a fruire di una indennità ( di buonuscita) di fatto più cospicua.

 

La Regione Emilia Romagna, con L R 58/1982 ha inteso equiparare il TFS spettante ai propri dipendenti rispetto alla indennità di buonuscita erogata in favore dei dipendenti dello Stato, peraltro analogamente a quanto disposto  in quel tempo da altre Regioni a statuto ordinario. Tanto è avvenuto prevedendo all’uopo un sistema di integrazione regionale a carico del proprio bilancio, allo scopo di operare la compensazione della differenza economica necessaria ai fini della equiparazione del TFS per i propri dipendenti alla indennità di buonuscita prevista per gli statali.

La previsione di tale integrazione, prevista dalla citata normativa regionale, si era resa necessaria in seguito al massiccio trasferimento di funzioni, avvenuto con DPR 616/77 ( recante Attuazione della delega di cui all’art 1 della L 382/75), cui è conseguito un altrettanto corposo trasferimento di personale dai ruoli dello Stato a quello delle Regioni, peraltro conformemente al disposto di cui alla VII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

E’ quindi chiaro come illo tempore si avvertisse l’esigenza di evitare disparità di trattamento tra impiegati già occupati presso le regioni e quelli trasferiti da altre PA statali, chiamati a svolgere i medesimi compiti: l’esigenza di evitare inammissibili disparità di trattamento nella gestione del personale veniva fatto riconfluire nella materia dell’ordinamento degli uffici pubblici, oggetto di competenza legislativa ripartita Stato – Regioni ( cfr. sul punto Corte Cost. n. 10 e 179 del 1980 e n. 520/88).

 

Con LR n. 2/2015 (recante Disposizioni collegate alla legge finanziaria per il 2015), poi, la Regione Emilia Romagna è intervenuta ad abrogare la L58/82 citata prevedendone, nel contempo,  la salvaguardia per i dipendenti assunti prima del 2001 e con almeno un anno di anzianità presso detta Regione alla data di entrata in vigore della legge medesima.

Successivamente, con LR 13/2016 (Disposizioni collegate alla legge di assestamento e seconda variazione generale al bilancio di previsione della Regione Emilia Romagna 2016 – 2018) – adottata in seguito al transito nei ruoli regionali di molti dipendenti delle Province, per effetto del riordino imposto ex lege statale n. 56/2014 ( recante Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) –  la Regione stessa ha provveduto a fornire interpretazione autentica del precedente intervento normativo, volto a delimitare l’integrazione regionale al TFS ai soli dipendenti in servizio presso la Regione alla data di entrata in vigore della suddetta legge regionale 2/2015, con esclusione da tale prestazione del nuovo personale proveniente dai ruoli delle Province, buona parte del quale rientrava nel regime del TFS medesimo.

 

Il Giudice delle leggi rileva che la ratio della normativa regionale del 2015, come già detto abrogativa di quella del 1982 ed oggetto di interpretazione autentica con legge regionale del 2016, è già palesemente rivelata dai relativi lavori preparatori, laddove si legge che il citato intervento normativo abbia inteso procedere “…alla revisione di tale indennità al fine di contenere la relativa spesa, in attesa dell’estinzione del regime di Trattamento di Fine Servizio a seguito dell’introduzione del Trattamento di Fine Rapporto nel settore del Pubblico Impiego, e conseguentemente del venir meno della quota integrativa erogata dalla Regione”. Ciò posto, la salvaguardia dei dipendenti “… il cui rapporto di lavoro si è sviluppato nell’arco di tempo in cui era vigente il testo originario di legge è stata disposta in considerazione del fatto che in sede di valutazione di riscatti di periodi utili ai fini del TFS i dipendenti hanno sostenuto oneri in ragione anche del riconoscimento di detti periodi ai fini anche dell’integrazione regionale”.

L’intento di contenimento della spesa relativa al personale, cui è inequivocabilmente ispirata la censurata normativa regionale, emerge, secondo la Consulta, ancor più chiaramente dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art 8 della LR 13/2016 – adottata in seguito al transito nei ruoli regionali di circa mille dipendenti delle Province, per effetto del riordino imposto dal legislatore statale con L56/2014 – laddove chiarisce che l’integrazione regionale al TFS è limitata ai soli dipendenti in servizio presso la Regione alla data di entrata in vigore della LR 2/2015, e tanto allo scopo di escludere da tale prestazione il nuovo personale proveniente dai ruoli delle Province, in buona parte rientrante nel regime del TFS.

 

Del resto, la Corte rammenta  i propri precedenti ( sentenze 244/2014 e 213/2018) in cui si da atto che è proprio l’evoluzione del quadro normativo di riferimento che denota la peculiarità della normativa regionale oggetto di incidente di incostituzionalità, palesandone anche le precipue finalità: una disciplina che “si innesta e si definisce all’interno della complessa transizione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni “da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato (….) e della gradualità che, con specifico riguardo agli istituti in questione, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di imprimervi”.

Su tale regime si innesta la normativa regionale del 1982, ed è ad essa che risale la previsione di cui all’art 15 comma 3 della LR del 2015, come interpretato ex art 8 della LR del 2016, al fine di ridurre il novero dei beneficiari.

L’integrazione al TFS non può quindi che conservare il proprio inquadramento originario e non si pone in contrasto con la competenza legislativa esclusiva dello Stato, in materia di ordinamento civile e previdenza sociale,  nella misura in cui costituisce espressione della competenza regionale nella materia che, nel vigore dell’originario Titolo V Parte II Cost., riguardava l’organizzazione degli uffici ( oggi corrispondente all’organizzazione amministrativa regionale).

In sostanza, si tratta di una normativa regionale, quella del 1982,  che al momento in cui è entrata in vigore rispettava l’allora riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, dunque costituzionalmente legittima, che viene fatta salva dalla LR del 2015 limitatamente ai dipendenti della Regione che siano entrati in servizio prima del 2001, permanendovi  alla data di entrata in vigore della legge del 2015 medesima, e che non abbiano optato per il nuovo regime del TFR.

L’obiettivo è dunque quello di contenere la spesa per il personale, in attesa della estinzione del regime del TFS che condurrà alla scomparsa della integrazione regionale.

Quanto alla presunta violazione, da parte delle norme censurate, del principio di necessaria copertura finanziaria ex art 81 comma 3 Cost., la Corte Costituzionale, ritenendo parimenti infondata la questione, rammenta che l’art 15 comma 3 della LR 2/2015, nel disporre l’abrogazione della LR 58/82,facendone salvi gli effetti con esclusivo riferimento ai dipendenti in regime di TFS in base alla normativa statale che fossero in servizio presso la Regione al momento della sua entrata in vigore – e tanto, si ripete, al chiaro scopo di contenere la spesa relativa alla medesima integrazione regionale – non può essere fatta riconfluire  nel novero delle norme che importano nuovi o maggiori oneri per cui vige l’obbligo di indicazione della copertura finanziaria.

Nè tantomeno risulta contraddittorio il fatto che sia stato istituito un apposito fondo per l’integrazione regionale al TFS, iscritto in un nuovo capitolo del bilancio e del consuntivo, poiché ciò risulta coerente con le facoltà accordate alle Regioni ex art 46 comma 3 Dlgs 118/2011.

Quanto, invece, alla questione afferente alla  copertura finanziaria prevista dall’art 8 LR 58/92, costituita dal rinvio alla legge regionale annuale di bilancio e contestata dal collegio rimettente, essa era coerente con le prescrizioni di cui alla L 335/76, recante principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, la quale prevedeva che le Regioni, insieme al bilancio annuale, redigessero, con un contenuto puntualmente individuato, un bilancio pluriennale, ai fini del riscontro della copertura finanziaria di nuove o maggiori spese stabilite da leggi regionali a carico di futuri esercizi, onde raggiungere l’equilibrio economico – finanziario; parimenti, era disposto che le leggi regionali che prevedessero attività o interventi a carattere continuativo o ricorrente potessero determinare di norma solo gli obiettivi da raggiungere e le procedure da seguire, rinviando alla legge di bilancio la determinazione dell’entità della spesa in questione.

La Regione Emilia Romagna ha recepito tali indicazioni con LR 31/1977, recante la normativa per la disciplina della propria contabilità, cui l’art 8 LR 58/92 citato si conforma pienamente.

Tali previsioni  sono state inoltre confermate, a livello statale, dal DLgs 76/2000, relativo sempre ai principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni.

Sul punto, la Corte ricorda i propri precedenti (sentenza n. 26/2013) in cui ribadisce che per le spese continuative e ricorrenti è consentita la individuazione dei relativi mezzi di copertura finanziaria al momento in cui viene redatto ed approvato il bilancio (regionale) annuale.

Successivamente, la disciplina statale è stata più volte modificata, giungendo alla approvazione della L 196/2009, c.d. legge di contabilità e finanza pubblica, e del Dlgs 118/2011, armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e loro organismi, a loro volta modificati in seguito alla riforma costituzionale introdotta con L. cost. 1/2012, i quali si prefiggono di assicurare in modo maggiormente incisivo il rispetto dei principi di copertura finanziaria ed equilibrio di bilancio.

Sebbene la rimettente invochi tali normative, ad integrazione de precetto di cui all’art 81 comma 3 Cost. – poiché sanciscono il principio per cui le leggi di spesa a carattere continuativo o permanente possono rinviare le quantificazioni dell’onere annuale alla legge di bilancio,- la Corte rileva che nel caso di specie il rispetto delle più penetranti procedure di garanzia previste dalle medesime non possa costituire parametro di valutazione della legittimità della copertura finanziaria poiché trattasi di una spesa assai risalente nel tempo e destinata ad estinguersi.

Infine, rileva la Corte che per tale spesa la copertura finanziaria è stata opportunamente assicurata, tramite le leggi annuali di bilancio, ivi compresa quella relativo all’esercizio finanziario in contestazione, così come grazie all’accantonamento di risorse puntualmente indicate nel bilancio di previsione 2018/2020, al dichiarato fine di assicurare la copertura finanziaria degli oneri residui per i periodi di riferimento ed in conformità con quanto prescritto dalle norme generali di contabilità e di bilancio che il collegio rimettente ha ritenuto invece violate.