Con sentenza N. 41994/2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente risolto il contrasto giurisprudenziale sorto fra le Sezioni civili della Corte stessa in merito all’eccepita nullità delle fideiussioni stipulate a valle di intese dichiarate nulle dalla Banca d’Italia con provvedimento del 2005 per violazione della concorrenza.

Il Supremo Consesso ha  espresso il seguente principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

La questione molto annosa e risalente a quasi 20 anni fa ha preso origine dal  provvedimento della Banca d’Italia n.55 del 2005  che aveva dichiarato  la contrarietà degli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale dei contratti di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI all’art. 2, comma 2, lettera a della legge n. 287 del 1990, in quanto l’applicazione uniforme da parte delle banche delle clausole di “sopravvivenza”, di “reviviscenza” e di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., contenute in quegli articoli, integrava gli estremi di un’intesa restrittiva della concorrenza.

In particolare la  Banca d’Italia, all’epoca Autorità Garante della Concorrenza tra gli Istituti di Credito,  aveva avviato, nel novembre 2003, un’istruttoria finalizzata a verificare la compatibilità dello schema contrattuale di «fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie», predisposto dall’ABI, con la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza e aveva pertanto interpellato – l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale – nel parere n. 14251 – aveva evidenziato come la disciplina della «fideiussione omnibus», di cui allo schema predisposto dall’ABI, presentava clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili – in linea generale – «di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito», nonché, nei casi di fideiussioni a pagamento, «di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore».

I rilievi critici dell’Autorità Garante avevano conseguentemente riguardato  esclusivamente le clausole nn. 2, 6 e 8 del citato schema contrattuale, e precisamente: a) la cd. «clausola di reviviscenza», secondo la quale il fideiussore è tenuto «a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo» (art. 2); b) la cd. «clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 cod. civ. », in forza della quale« i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato» (art. 6); c) la cd. «clausola di sopravvivenza», a termini della quale «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate» .

La decisione sopra citata ha assunto una rilevanza generale per tutti i contratti fideiussori omnibus stipulati sulla falsariga dell’intesa dichiarata nulla dal momento che, ai sensi dell’art. 33 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 moltissimi fideiussori hanno, negli anni, convenuto le loro controparti bancarie innanzi al Tribunale sezione imprese per chiedere la declaratoria di nullità dei contratti stipulati a valle dell’intesa assunta a monte e  dichiarata nulla dalla Banca d’Italia.

Dopo numerose pronunce della Corte di cassazione anche a Sezioni Unite ,in parte contrastanti fra di loro, la Prima sezione civile della Corte ha sollevato un’ulteriore (e si spera definitiva) questione innanzi alle Sezioni Unite civili  circa gli effetti che, sulle fideiussioni stipulate a valle, abbia prodotto l’illecito antitrust rilevato, a monte, dal provvedimento della Banca d’Italia, ovvero se, nel caso di fideiussioni rilasciate dal cliente della banca, nelle quali siano state inserite le predette clausole, la cui natura anticoncorrenziale è stata accertata dall’Autorità competente, al garante spetti una tutela «reale», ossia a carattere «demolitorio», oppure una tutela esclusivamente risarcitoria.

Le sezioni Unite, pur prendendo atto dei numerosi distinguo formatasi in seno alla dottrina e alla stessa giurisprudenza di legittimità hanno innanzitutto optato per la declaratoria di nullità parziale dei contratti di fideiussione omnibus stipulate a valle dell’intesa vietata.

Hanno in primo luogo osservato che, pur dovendosi prendere, anche in questo caso, come punto di riferimento il principio della piena autonomia delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale ai sensi dell’art. 1322, primo comma, cod. civ., rimane comunque cogente per i contraenti l’obbligo di rimanere nei limiti posti dalla legge, intendendosi per tali l’ordinamento giuridico nel suo complesso, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale (Cass. Sez. U., 24/09/2018, n.22437). Ne consegue che in ossequio all’ art 41 Cost. che prevede espressamente che l’iniziativa economica privata non debba svolgersi «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana», e che essa debba essere comunque sottoposta a «programmi e controlli opportuni» che la indirizzino e la coordino a «fini sociali», la normativa antitrust deve raggiungere la finalità  di“ realizzare un bilanciamento tra libertà di concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori”.

In secondo luogo la Corte ha evidenziato come il tenore letterale dell’art. 2, comma 3, della legge n. 287 del 1990 sia inequivoco nello stabilire che «le intese vietate sono nulle ad ogni effetto». La dizione “ad ogni effetto” è in particolare da considerarsi indicativa del principio generale secondo cui quod nullum est nullum producit effectum e legittima la conclusione dell’invalidità derivata dei contratti che realizzano l’intesa vietata.

La Corte non ha poi condiviso la tesi secondo al consumatore sarebbe consentita la sola azione risarcitoria. Tale posizione è stata fatta derivare oltre che dalle precedenti pronunce della Cassazione (Sezioni Unite n. 2207 /2005)  anche da  ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust che, come si è visto  nel disporre la nullità “ad ogni effetto” delle intese vietate pone l’accento sulla protezione del mercato in senso oggettivo guardando non soltanto all’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato; tanto più che l’obbligo del risarcimento compensativo dei danni del singolo contraente non permette di avere una congrua  efficacia dissuasiva significativa per le imprese che hanno aderito all’intesa o che ne hanno – come nella specie – recepito le clausole illecite nello schema negoziale.

Quanto poi alla scelta della nullità parziale piuttosto che a quella assoluta, la Corte ha tenuto a ribadire i seguenti concetti:

  1. La regola dell’art. 1419, primo comma c.c. – insieme agli analoghi principi rinvenibili negli artt. 1420 e 1424 c.c.., enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell’ordinamento per la «conservazione», in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorchè difformi dallo schema legale, ponendo all’interprete l’obbligo di rendere eccezionale il ricorso alla nullità che colpisce la parte o la clausola all’intero contratto;
  2. La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, nè persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità (Cass., 05/02/2016, n. 2314). Inoltre, la norma di cui all’art.1419 c.c.., impone la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice, ragione per cui l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata.
  3. La nullità parziale del contratto a valle può essere dichiarata solo allorchè l’interprete abbia ravvisato un collegamento funzionale con l’intesa vietata perché soltanto in questa ipotesi può essere ravvisata una concreta violazione della normativa antitrust che è ravvisabile tutte le volte in cui “ tra atto a monte e contratto a valle sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti «funzionale» a produrre un effetto anticoncorrenziale”; tale situazione si realizza  “quando il contratto a valle (nella specie una fideiussione) è interamente o parzialmente riproduttivo dell’«intesa» a monte, dichiarata nulla dall’autorità amministrativa di vigilanza, ossia quando l’atto negoziale sia di per sé stesso un mezzo per violare la normativa antitrust, ovvero quando riproduca – come nel caso concreto – solo una parte del contenuto dell’atto anticoncorrenziale che lo precede, in tal modo venendo a costituire lo strumento di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale”