Con ordinanza del 21 novembre 2021,  la Sezione Prima della Corte di  Cassazione , in tema di concessione del credito da parte della banca ad impresa in crisi e della conseguente responsabilità verso il ceto creditorio nonché con riguardo alla legittimazione attiva del curatore fallimentare per la reintegrazione del patrimonio del fallito, ha affermato i seguenti principi di diritto:

L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa.”

Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi”.

“Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecito nuovo finanziamento o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.”

“La responsabilità in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui all’art. 146 l. fall., in via di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo”.

I principi sopra indicati sono stati preceduti da una precisa e articolata disamina della fattispecie  dell’abusiva concessione di credito che caratterizza la responsabilità bancaria nel caso di dissesto patrimoniale dell’impresa.

Tale condotta sanziona, come è noto, la condotta degli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto o Io stato d’insolvenza. La stessa disposizione  è oggi contenuta nell’art. 325 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La fattispecie presenta caratteristiche che possono integrare il reato di bancarotta fraudolenta  prevista dall’art. 216 e 217, comma 1, nn. 3 e 4 L.F, nell’ipotesi in cui   si sanziona il fallito che, allo scopo di favorire alcun creditore, «esegue pagamenti o simula titoli di prelazione» o il soggetto che, più in generale,  «ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento» o «ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con grave coIpa».

I doveri dell’operatore bancario si pongono pertanto, secondo la Corte di legittimità, in piena simmetria con le condotte illecite sopra descritte dal momento che la condotta dell’amministratore o dell’imprenditore non può evidentemente compiersi senza l’apporto della banca che elargisce il credito. Ne deriva che nell’integrazione della fattispecie, assumono per l’operatore finanziario penetrante rilievo, accanto alla regola generale del diritto delle obbligazioni relativa all’esecuzione diligente della prestazione professionale ex art. 1176 c.c., l’osservanza della  disciplina primaria e secondaria di settore oltre agli  accordi internazionali.

II soggetto finanziatore è infatti” tenuto all’obbligo di rispettare i principî di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate adempiendo fedelmente alla normativa di settore anche con riguardo alla normativa europea (cfr. l’art. 142 del Regolamento UE n. 575/2013  sul sistema  di rating interni  consigliati per valutare le esposizioni di credito).

Pur se la normativa in questione è stata dettata dal diritto positivo ai fini della protezione dell’intero sistema economico dai rischi che una concessione imprudente o indiscriminata del credito bancario comporta, non va dimenticato che il ricorso all’abusivo esercizio del credito da parte del soggetto finanziatore  non può non  avere riflessi sul patrimonio del soggetto finanziato ai sensi dell’art. 1173 c.c. nell’ipotesi in cui si determini la diminuita consistenza del patrimonio sociale  o, sul piano contabile, I’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa, con specifico riguardo al pregiudizio del ceto creditorio che si sostanzia oltre che nelle ulteriori perdite cagionate dal protrarsi della gestione anche nell’avere reso impossibile l’ esercizio delle azioni revocatorie.

La Corte sotto  questo specifico profilo, ha  precisato come “ sebbene nel nostro ordinamento non esista un generale dovere, a carico di ciascun consociato, di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, tuttavia vi sono molteplici situazioni da cui nascono, per i soggetti che vi sono coinvolti, doveri e regole di azione, la cui inosservanza integra la conseguente responsabilita: in particolare, dalla normativa che regola il sistema bancario vengono imposti, a tutela del sistema stesso e dei soggetti che vi operano, comportamenti in parte tipizzati, in parte enucleabili caso per caso, la cui violazione può costituire culpa in omittendo (cfr. Cass. 8 gennaio 1997, n. 72; Cass. 13 gennaio 1993, n. 343), vale a dire  la violazione dei doveri gravanti sul soggetto “banca” a causa del proprio status (Cass. 13 gennaio 1993 n. 343, cit.)”

La responsabilità del soggetto finanziatore si coniuga pertanto con quella riferibile agli organi sociali o all’imprenditore   ed è diretta  “a mantenere artificiosamente in vita un’impresa  in istato di dissesto, in tal modo cagionando al patrimonio della medesima un danno, pari all’aggravamento del dissesto, in forza degli stessi interessi passivi del finanziamento non compensati dagli utili da questo propiziati, nonchè delle perdite generate dalle nuove operazioni cosi favorite”.

Sotto questo specifico profilo la Corte individua, tuttavia, la necessità da parte dell’interprete di operare un giusto bilanciamento con “ il principio della meritevolezza dell’ausilio creditizio all’impresa in crisi” onde   effettuare una corretta  distinzione tra  finanziamento “lecito” e finanziamento “abusivo”.  La Corte suggerisce pertanto che “ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovrà essere (in merito) fortemente rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agito con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire I’evento”.

Non va per ultima sottaciuta la natura giuridica dell’eventuale corresponsabilità della banca rispetto agli organi sociali della società fallita o del fallito nell’ipotesi di finanziamento illecito causativo dello stato di dissesto. Innanzitutto, sul punto la Corte di Cassazione ricorda che per potersi avere la responsabilità della banca finanziatrice  è necessaria anche la sussistenza di una concorrente responsabilità solidale degli amministratori nel richiedere abusivamente il credito. E tuttavia,  tale corresponsabilità non postula l’esistenza di un litisconsorzio necessario perché la  sentenza eventualmente resa solo nei confronti di uno dei responsabili solidali non sarebbe unitiliter data. Il curatore del fallimento può quindi  agire in giudizio in via separata nei confronti di ciascuno degli obbligati solidali.

Quanto all’azione svolta dal soggetto finanziatore, l’ipotesi in cui il curatore agisca nell’interesse della massa va tenuta distinta da quella in cui agisca nell’interesse del ceto creditorio. Infatti, nel primo caso, la banca potrà richiedere e ottenere una riduzione della responsabilità proporzionale al proprio apporto causativo ai sensi dell’art 1227 c.c.; non così nel secondo caso. In tale ultima ipotesi, infatti, poiché il ceto creditorio costituisce una massa indistinta, la banca non può invocare a sua difesa  la riduzione della responsabilità e dovrà rispondere del danno per l’intero, salva la possibilità di una rivalsa nei confronti degli organi sociali della società fallita o dell’imprenditore dichiarato tale.