Il delitto di disastro ambientale è disciplinato dagli artt. 452-quater c.p. (ipotesi dolosa) e 452-quinquies (ipotesi colposa) del Codice Penale. L’art. 452-quater annovera, al suo secondo comma, tre fattispecie di disastro ambientale: “1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.  Il carattere definitivo o irreversibile dell’alterazione pone il disastro in un rapporto di specialità rispetto al reato di inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.), il quale prevede una forma meno lesiva di compromissione o di deterioramento dell’ecosistema, non totale ed assoluta, ma suscettibile di rimedio (cfr. Cassazione penale, Sez. I, Sentenza del 6 novembre 2019, n. 10504). Se nell’inquinamento ambientale il legislatore sanziona la “compromissione” o il “deterioramento”, nell’art. 452-quater viene, a contrario, utilizzato il termine alterazione. I tre sostantivi devono essere ritenuti sinonimici e il loro significato è stato delucidato dalla prima giurisprudenza successiva all’introduzione, per opera della Legge del 22 maggio 2015, n. 68, del Titolo VI-bis del Codice. L’alterazione/compromissione indica una condizione di rischio o pericolo, di squilibrio funzionale, in quanto incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità dell’ecosistema; mentre il deterioramento concerne uno squilibrio strutturale, caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità della matrice ambientale (cfr. Cassazione penale, Sez. III, Sentenza del 21 settembre 2016, n. 46170). Più problematica risulta essere la terza fattispecie del co. 2, che menziona “l’offesa alla pubblica incolumità”. Tale norma sembrerebbe, prima facie, discostarsi dalle prime due tipologie di condotta, giacché è orientata a punire non un fatto che ha causato un danno all’ambiente, ma alla pubblica incolumità. Inoltre essa è un reato di pericolo e non di evento, come le due precedenti fattispecie. Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che l’illecito di cui al numero 3 del co. 2, nonostante la sua incerta formulazione letterale, “si pone a chiusura del sistema di condotte punibili […] e che la collocazione di tale condotta nell’ambito dello specifico delitto di disastro ambientale deve necessariamente ritenersi riferita a comportamenti comunque incidenti sull’ambiente, rispetto ai quali la pubblica incolumità rappresenta una diretta conseguenza” (Cassazione penale, Sez. III, Sentenza del 29 giugno 2018, n. 29901).

Il bene giuridico protetto dalle disposizioni del Titolo VI-bis è la più ampia accezione di ambiente, considerato non solo nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma altresì come risultato delle trasformazioni operate dall’uomo e meritevoli di tutela (Cassazione penale, Sentenza n. 29901 cit.).

Il disastro ambientale così come è descritto dall’art. 452-quater si pone in rapporto di continuità con il c.d. disastro ambientale innominato. Difatti, prima della recente modifica del Codice Penale nel 2015, l’aggressione al bene giuridico – ambiente era tutelata per mezzo della clausola aperta dell’art. 434 c.p., che sanziona ogni tipo di disastro diverso da quelli elencati nel Titolo VI. Il disastro ambientale era stato descritto dalla giurisprudenza quale evento di danno o di pericolo “straordinariamente grave e complesso”, capace di avere un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone. Non era richiesto, per l’integrazione dell’illecito, che il fatto avesse direttamente prodotto, collettivamente, morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla loro rovina fosse insorto un grave pericolo per la salute collettiva (Cassazione Penale, Sez. V, Sentenza dell’11 ottobre 2006, n. 40330). Esso poteva manifestarsi tanto in un fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale fosse derivato un pericolo per la pubblica incolumità quanto in un evento non visivamente ed immediatamente percepibile, realizzatosi in un periodo molto prolungato (c.d. inquinamento progressivo o lungo-latente), sempre che si fosse prodotta una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità (cfr. Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza del 17 maggio 2006, n. 4675; Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza del 12 dicembre 2019, n. 13483).

L’art. 452-quater, co. 1 ha espressamente previsto una clausola di salvaguardia “fuori dai casi previsti dall’art. 434 c.p.”, che mira a sancire l’alternatività tra il disastro ambientale innominato di cui al suddetto articolo e il disastro ambientale tout court. Questo richiamo esplicito all’art. 434 ha sollevato numerosi problemi interpretativi. Tale disposizione è stata più volte oggetto di questioni di legittimità costituzionale, alle quali la Consulta ha chiuso definitivamente le porte con la Sentenza del 30 luglio 2008, n. 327. La Corte ha riconosciuto che esso, nella parte in cui punisce il disastro innominato, ha una funzione di chiusura del sistema dei delitti contro la pubblica incolumità e l’obiettivo di colmare ogni eventuale lacuna, che possa presentarsi nelle norme concernenti la tutela della pubblica incolumità.

Per fare una corretta distinzione tra le due ipotesi dell’art. 434 e dell’art. 452-quater c.p., è opportuno precisare che, secondo consolidata giurisprudenza, non si pone alcuna successione temporale tra le norme. Scopo delle clausole di riserva è quello di delimitare i rapporti tra le diverse figurae criminis, garantendo le sorti dei processi pendenti (Cassazione penale, Sez. IV, 17 maggio 2017, n. 58023; Cassazione Penale, Sez. I, 6 novembre 2019, n. 10504).

L’art. 452-quater non ha abrogato la fattispecie dell’art. 434 c.p. ed è applicabile ai soli fatti commessi dopo la sua entrata in vigore, stante la sua assai più severa cornice edittale (reclusione da cinque a quindici anni nell’ipotesi non aggravata del co. 1) rispetto a quella del disastro innominato (reclusione da uno a cinque anni nella fattispecie base del co. 1).

L’art. 452-quater, pur essendo posto a tutela dello stesso bene giuridico del disastro ambientale innominato, in virtù del principio di specialità, disciplina fattispecie differenti da quelle di cui all’art. 434. Quella della Legge del 22 maggio 2015, n. 68 è un intervento legislativo di carattere modificativo, in cui il fatto lesivo permane nel suo nucleo essenziale e centrale di disvalore e che risulta descritto attraverso l’aggiunta di elementi ulteriori, con funzione e connotati specializzanti. Elementi che non immutano la portata offensiva della condotta e la lesione che la caratterizza nella sua dimensione ontologica e che operano invece sul piano della tecnica normativa descrittiva dell’incriminazione e dei criteri da seguire nella strutturazione della fattispecie, in funzione della delimitazione del suo contenuto di tipicità (Cassazione penale, Sez. I, Sentenza del 17 maggio 2017, n. 58023). Anche senza l’introduzione della clausola di riserva ” il reato di disastro innominato avrebbe avuto una funzione residuale, configurandosi solo quando non sussistano gli elementi specializzanti previsti dall’art. 452-quater (Cassazione penale, Sez. I, 25 settembre 2018, n. 44528).

 

Conclusioni

 

Il delitto di disastro ambientale previsto dagli artt. 452-quater e 452-quinquies c.p. si pone in continuità normativa con l’illecito del disastro innominato di cui all’art. 434 c.p. Tra le suddette disposizioni non sussiste alcun tipo di successione temporale, poiché sono tutte poste a tutela del medesimo bene giuridico (l’ambiente). L’art. 452-quater ha definito tre tipologie di condotta idonee a cagionare un disastro ambientale, il quale va ritenuto un danno permanente (rectius irreversibile), tale da potere, in via indiretta e mediata, mettere a repentaglio la pubblica incolumità. La nuova norma incriminatrice troverà applicazione in relazione a tutti i fatti successivi alla sua entrata in vigore, mentre sia nei processi pendenti fino a tale momento sia per i fatti commessi antecedentemente ad esso si proseguirà a sussumere la fattispecie del disastro ambientale nell’art. 434 c.p.