Le pronunzie di maggior rilievo sul recesso quale conseguenza dell’altrui inadempimento si appuntano sulle distinzioni fra detto istituto – ove previsto dalla legge o dal regolamento contrattuale – ed il più generale rimedio risolutorio.
La Corte di legittimità, nell’ambito delle obbligazioni di garanzia di risultato, quali la garanzia per evizione (artt. 1483 ss. c.c.), quella della veritas nominis in ipotesi di cessione dei crediti (art. 1266 c.c.)o la garanzia di buon funzionamento cui si riferisce l’art. 1512 c.c., ha di recente precisato (Sez. 6-1, n. 22429/2020) che il recesso opera su un piano meramente obiettivo, indipendentemente dalla prova dell’inadempimento, avuto riguardo al fatto che la garanzia opera a prescindere dalla colpa di chi abbia promesso il risultato non raggiunto; pertanto, laddove una delle parti di un contratto preliminare si sia impegnata ad assicurare un determinato risultato inerente al bene oggetto di pattuizione, è legittimo il recesso dell’altra parte sulla sola base del previsto fatto oggettivo.
Mai sopita è poi l’annosa questione della compatibilità strutturale e funzionale fra i due rimedi (recesso o risoluzione) inizialmente risolta – in senso negativo – da Sez. U, n. 00553/2009, cui tuttavia ha fatto seguito un atteggiamento tutt’altro che univoco da parte della giurisprudenza della Suprema Corte. Nel solco della decisione delle Sezioni Unite si colloca la sentenza Sez. 6-2, n. 21971/2020 secondo cui occorre aver rilievo alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso, avuto riguardo ai casi positivamente normati di irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto ed all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento.
In senso invece favorevole alla compatibilità fra i due rimedi, almeno con riguardo all’aspetto puramente processuale della domanda, è la sentenza della Sez. 2, n. 08048/2020, ove il principio assunto a riferimento è quello affermato da Sez. 2, n. 00882/2018, in base al quale la parte non inadempiente che abbia agito per l’esecuzione del contratto può, in sostituzione dell’originaria pretesa, legittimamente domandarne il recesso nel corso del giudizio, senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dello ius novorum, poiché tale modificazione dell’originaria istanza costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento; di tale principio, la sentenza ritiene di dover fare applicazione anche nel caso in cui la parte abbia agito in origine per la risoluzione del contratto, atteso “il carattere alternativo del recesso ex art. 1385 c.c. rispetto all’ordinaria azione di risoluzione”.
Va per ultimo esaminato il profilo dell’exceptio inadempleti contractus volta a paralizzare sia la domanda di risoluzione che l’esercizio del diritto di recesso. .
In relazione alla domanda di risoluzione del contratto, la Cassazione ( sentenza Sez. 2, n. 19513/2020) ha osservato che essa non deve necessariamente risultare da un’espressa petizione, ben potendo essere implicitamente contenuta in un’altra domanda che la presupponga; nella specie, la Corte ha pertanto escluso che, nell’ambito di una compravendita immobiliare, la domanda di ripetizione degli acconti già versati contenesse implicitamente quella di risoluzione, trattandosi di richiesta compatibile con la domanda di riduzione del corrispettivo, avuto riguardo al fatto c he era stata lamentata la presenza di vizi in capo alla cosa venduta.
Circa i rapporti fra azione di risoluzione e domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione stragiudiziale del contratto, la Cassazione (Sez. 2, n. 23193/2020) ha affermato che nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche quella di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c.; non altrettanto può dirsi, invece, nell’ipotesi inversa, poiché la sola proposizione della domanda di risoluzione giudiziale preclude l’esame di quella di risoluzione di diritto, salvo che i fatti su cui la prima si fonda siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo.
Sul tema delle eccezioni, la Corte ha affermato che laddove la parte inadempiente deduca la non imputabilità dell’inadempimento si è in presenza non già di una mera difesa, ma di un’eccezione in senso lato; ha dunque specificato(Sez. 6-3, n. 12980/2020) che si tratta di una questione rilevabile d’ufficio e non soggetta alla decadenza ex art. 167 c.p.c., sempreché il fatto emerga dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo.
Considerazioni non dissimili sono state espresse quanto all’eccezione di inadempimento, osservando che essa può essere dedotta per la prima volta in sede giudiziale, quand’anche non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l’adempimento chiesto dalla controparte, non ponendo l’art. 1460 c.c. alcuna limitazione temporale o modale alla sua esperibilità, salva l’ipotesi di termini differenziati di adempimento; ciò perché l’esercizio della facoltà di sospendere l’esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, non è subordinato ad alcuna condizione.
Laddove, infine, la domanda di risoluzione sia stata respinta, non è precluso all’interessato il diritto di agire per l’esatto adempimento del contratto; la Cassazione (Sez. 2, n. 12637/2020) ha affermato, in proposito, che il divieto posto sul punto dall’art. 1453 c.c. non ha più ragion d’essere, giacché rimane in vita il vincolo contrattuale facendo risorgere l’interesse all’esecuzione della prestazione, con inizio di un nuovo termine di prescrizione del diritto di chiedere l’adempimento. Quando, tuttavia, sull’infondatezza della pretesa risolutoria si è formato il giudicato, la parte non inadempiente non può proporre una nuova domanda di risoluzione fondata su altri inadempimenti, conosciuti o conoscibili alla data di proposizione della prima domanda e non fatti valere con essa dal momento che il giudicato sulla domanda copre il dedotto e il deducibile.
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