La Corte costituzionale, con sentenza n. 143, depositata 1’8 luglio 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevale􀀁za della circostanza attenuante del fatto di lieve entità – introdotta con sentenza n. 68 del 2012 della Corte stessa, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 cod. pen.-sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

La questione era stata sollevata dalla Prima sezione penale della Corte di cassazione  in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, in relazione alla determinazione della pena per una ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione, ai sensi dell’art. 630 cod. pen., con l’aggravante di cui all’art. 112, primo comma, numero 1), cod. pen., per il numero dei concorrenti nel reato, realizzata nel più ampio contesto di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Nel caso di specie, il giudice di appello, in applicazione della sentenza C. Cost. n. 68 del 2012, aveva riconosciuto in favore degli imputati l’attenuante del «fatto di  lieve entità», trattandosi di sequestro operato per poche ore nei confronti di un associato, al fine di costringerlo a versare il ricavato della vendita di una piccola quantità di stupefacente affidatagli, e al fine di ottenere la restituzione della pistola, appartenente al sodalizio criminale e della quale si era impossessato, diversificando le posizioni degli imputati ed. applicando l’attenuante di cui all’art. 311 cod. pen. solo a coloro ai quali non era stata contestata la recidiva, in ragione del giudizio di prevalenza sull’aggravante del numero di persone, con conseguente rilevante diminuzione della pena complessiva rispetto a quella inflitta in primo grado .

La rimettente Corte di cassazione sottolineava in particolare nell’ordinanza di remissione che nella citata sentenza n. 68 del 2012  La Corte Costituzionale aveva affermato che la funzione dell’attenuante del «fatto di lieve entità» è quella di mitigare una risposta punitiva improntata ad eccezionale asprezza «e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale».  Aveva pertanto ravvisato la violazione dell’art. 27, comma terzo, Cost., «nel suo valore fondante, in combinazione con l’art. 3 della Costituzione, del principio di proporzionalità della pena al fatto concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente sproporzionata – e, dunque -inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato – vanifica, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa».

La Corte costituzionale, nell’accogliere la questione, ha innanzitutto richiamato la precedente pronuncia (sentenza n. 68 del 2012) che ha ritenuto ingiustificato il trattamento sanzionatorio differenziato e dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita «quando per Ia natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità». La possibilità di ricomprendere nella fattispecie di reato anche fatti di minore gravità è la ragione dell’introduzione dell’attenuante ad opera dell’art. 3, terzo comma, della legge 26 novembre 1985, n. 718 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale contro la cattur􀀁 degli ostaggi, aperta alla firma a New York il 18 dicembre 1979), in riferimento al delitto – previsto dal medesimo art. 3 – di sequestro di ostaggi: attenuante (ad effetto speciale) in forza della quale «[se il fatto è di lieve entità si applicano le pene previste dall’articolo 605 del codice penale aumentate dalla metà a due terzi». Lo stesso art. 311 cod. pen. stabilisce che le pene comminate per i delitti previsti dal Titolo I del Libro II del medesimo codice – vale a dire, i delitti contro la personalità dello Stato, tra i quali rientra il sequestro terroristico o eversivo (art. 289-bis cod. pen.) – «sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».Si tratta di un’attenuante. che, ove ricorra il presupposto del «fatto di lieve entità», svolge una necessaria funzione riequilibratrice di una pena particolarmente elevata.

Ne deriva che per il principio della necessaria proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto, la scelta normativa deve trovare un necessario bilanciamento proprio nella facoltà del giudice, nei casi di sequestro di persona a scopo di estorsione in cui il fatto è riconosciuto di lieve entità, di applicare la diminuzione della pena, fino alla misura massima non eccedente il terzo (otto anni e quattro mesi di reclusione). In tale marcata estensione si realizza il riequilibrio di un trattamento sanzionatorio di particolare rigore che non può essere disatteso per effetto del divieto di bilanciamento dell’attenuante di cui all’art. 311 c.p. rispetto alla recidiva previsto dall’art. 69 c.cp.

Tale divieto non è compatibile con il principio di determinazione di una pena proporzionata, idonea a tendere alla rieducazione del condannato ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost., che implica «un costante principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra» (sentenza n. 185 del 2015). Ed è in contrasto anche con il principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), in quanto il divieto censurato vanifica la funzione che l’attenuante tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo diverso situazioni differenti sul piano dell’offensività della condotta.