La CGUE, nel decidere un caso di rinvio pregiudiziale promosso da un giudice lettone è pervenuta a plurimi interessanti principi in materia di tutela ambientale e di rispetto del principio degli aiuti di Stato in questo specifico settore.

Il caso posto alla sua attenzione riguardava il ricorso proposto da una società acquirente di 7.7 ettari di torbiere situati in una zona naturale protetta e in una zona di conservazione d’importanza comunitaria Natura 2000 in Lettonia. Il 2 febbraio 2017 la Società acquirente aveva richiesto allo Stato lettone  il pagamento di un indennizzo, per gli anni 2015 e 2016 in ragione  del divieto d’impiantare coltivazioni di mirtilli rossi in tali torbiere. Con decisione del 28 febbraio 2017 la domanda  era stata respinta perché la normativa nazionale applicabile non prevedeva un tale indennizzo. La Società acquirente proponeva ricorso innanzi la Corte amministrativa regionale della Lettonia la quale respingeva il ricorso con sentenza del 26 marzo 2018. Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione al giudice del rinvio, l’Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema, Lettonia).

Tale giudice ha sottoposto alla Corte di giustizia diverse questioni riguardanti il regolamento n. 1305/2013, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) 3 , nonché l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»). Ai sensi dell’articolo 30 di detto regolamento, un sostegno è erogato annualmente, per ettaro di superficie agricola o per ettaro di foresta, per compensare i costi aggiuntivi e il mancato guadagno dovuti ai vincoli occasionati, nelle zone interessate, dall’applicazione della direttiva «habitat», della direttiva «uccelli» e della direttiva quadro sulle acque. Tale articolo precisa inoltre che le indennità relative al sostegno in questione sono concesse per le zone agricole e forestali Natura 2000 designate ai sensi delle direttive «habitat» e «uccelli».

La Corte  ha innanzitutto osservato che le «torbiere» o i«terreni torbosi» situati in zone Natura 2000  non rientrano nella definizione di «superficie agricola» o in quella di «foresta» ai sensi del regolamento n. 1305/2013 e non possono beneficiare d’indennità in forza dell’articolo 30 di tale regolamento. La Corte  ha poi esaminato la questione se detto regolamento consenta a uno Stato membro di escludere le torbiere dal beneficio delle indennità Natura 2000 o di limitare la concessione del sostegno per siffatte zone alle situazioni in cui la loro designazione come «zone Natura 2000» abbia l’effetto di ostacolare l’esercizio nelle stesse di un tipo specifico di attività economica, segnatamente la silvicoltura.

A tale proposito, la CGUE  ha precisato che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, di tale regolamento, uno Stato membro può fissare una definizione della nozione di «foresta» avente l’effetto di escludere le torbiere o i terreni torbosi dal diritto a beneficiare d’indennità, quand’anche si trattasse di zone rientranti nella definizione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera r), del regolamento n. 1305/2013.

Ciò in quanto il diritto dell’Unione conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità per quanto riguarda, da una parte, la scelta delle misure che essi intendono attuare tra quelle previste da tale diritto e, dall’altra, la determinazione delle restrizioni o degli svantaggi a motivo dei quali concedere pagamenti. Secondo la Corte, l’articolo 30, paragrafo 6, lettera a), del regolamento n. 1305/2013 deve pertanto essere interpretato nel senso che esso consente a uno Stato membro di escludere dalle indennità Natura 2000, da un lato, le «zone agricole Natura 2000» ai sensi di detta disposizione, comprese le torbiere che rientrino in tali zone, e, dall’altro lato, torbiere situate in zone Natura 2000 che rientrino in linea di principio nella nozione di «foresta» ai sensi del regolamento e, pertanto, in quella di «zone forestali Natura 2000» ai sensi di detto regolamento.

Inoltre, uno Stato membro può limitare i pagamenti di siffatte indennità per zone forestali Natura 2000 comprendenti, eventualmente, torbiere alle situazioni in cui la designazione di tali zone quali «zone Natura 2000» ha l’effetto di ostacolare l’esercizio nelle stesse di un tipo specifico di attività economica, segnatamente la silvicoltura.

Infine, la Corte rileva che, nella sua formulazione, l’articolo 17 della Carta conferisce espressamente un diritto ad indennità solo in caso di privazione del diritto di proprietà, come un’espropriazione, ipotesi che manifestamente non si verifica nel caso di specie. Nel caso di specie, il divieto d’impiantare una coltivazione di mirtilli rossi in un bene rientrante nella rete Natura 2000 costituisce non una privazione del diritto di proprietà su tale bene, bensì una limitazione del suo uso, il quale può essere regolamentato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale, conformemente a quanto previsto dall’articolo 17, paragrafo 1, terza frase, della Carta.

Secondo la Corte, non risulta che una misura che si limita a vietare la coltivazione di mirtilli rossi nelle torbiere affinché siano tutelati la natura e l’ambiente costituisca, in assenza di un indennizzo a favore dei proprietari interessati, un intervento sproporzionato e inaccettabile che lede la sostanza stessa del diritto di proprietà di questi ultimi.

Quanto all’indennizzo in concreto fruito dalla società proprietaria delle torbiere, indennizzo pari ad EUR 30 000, per un periodo di tre esercizi finanziari, previsto dal regolamento n. 717/2014, relativo agli aiuti de minimis nel settore della pesca e dell’acquacoltura, La CGUE  ha ritenuto che l’indennizzo concesso da uno Stato membro per le perdite subite da un operatore economico in ragione delle misure di protezione applicabili in una zona della rete Natura 2000 in forza della direttiva «uccelli»  può essere sensibilmente inferiore ai danni effettivamente subiti da tale operatore.

Ha inoltre osservato che i costi connessi al rispetto degli obblighi regolamentari in materia di tutela dell’ambiente, e in particolare della fauna selvatica, e all’assunzione dei danni che quest’ultima può finire col causare ad un’impresa del settore dell’acquacoltura rientrano nei normali costi di esercizio di una tale impresa. Pertanto, la concessione di un indennizzo per i danni causati alla propria impresa da animali protetti costituisce un vantaggio economico.

Secondo la Corte, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, deve quindi essere interpretato nel senso che un indennizzo concesso da uno Stato membro per le perdite subite da un operatore economico in ragione delle misure di protezione applicabili in una zona della rete Natura 2000 in forza della direttiva «uccelli» conferisce un vantaggio che può costituire un «aiuto di Stato» ai sensi di tale disposizione, qualora siano soddisfatte le altre condizioni relative a una siffatta qualificazione.

 

Infine, il giudice del rinvio domanda se l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 717/2014 debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un indennizzo come quello descritto nella seconda questione soddisfi le condizioni di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, a tale indennizzo si applica il tetto degli aiuti de minimis di EUR 30 000, previsto da tale disposizione. La Corte constata che, nella misura in cui è applicabile il regolamento n. 717/2014, lo Stato membro interessato può, se decide, come nel caso di specie, di introdurre un massimale di EUR 30. 000 per l’aiuto in questione, qualificare quest’ultimo come «aiuto de minimis» e astenersi, di conseguenza, dal notificarlo alla Commissione.