Con sentenza 182, depositata il 30 luglio 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 578 del codice di procedura penale, sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Conv. EDU), nonché in riferimento allo stesso art. 117, primo comma, e con l’art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali «nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni· o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore. della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili».

Il giudice rimettente  aveva denunciato la violazione delle norme sopra indicate con riguardo al diritto di presunzione di innocenza garantito dalla norma convenzionale ( così come interpretata nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo) e da quelle dell’ordinamento dell’Unione europea assunte a parametri interposti, in quanto  avrebbe imposto al giudice dell’impugnazione di formulare, sia pure in via incidentale ed al solo fine di provvedere sulla domanda risarcitoria, un nuovo giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato, da ritenersi preclusa in ragione della declaratoria di estinzione del reato assunta con sentenza irrevocabile.

In particolare, il giudice dì appello non potrebbe procedere alla conferma delle condanne risarcitorie sul  mero rilievo dell’assenza dì prova dell’innocenza dell’imputato  dal momento che tale possibilità  è preclusa dal  principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo .il quale, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili. La conferma delle condanne risarcitorie, infatti, potrebbe seguire solo ad un compiuto esame nel merito dei motivi di gravame (tutti incentrati sull’assenza di penale responsabilità in capo all’imputato), in mancanza del quale la sentenza di appello sarebbe viziata da omessa o insufficiente motivazione e soggetta, in ipotesi di ricorso per cassazione, ad annullamento con rinvio. Ne deriva che il necessario esame dei motivi di impugnazione, comportando una rivalutazione del compendio probatorio, non potrebbe che tradursi in un nuovo apprezzamento, sia pure· «incidenter tantum», della colpevolezza dell’imputato.

In tal senso, del resto, si porrebbe l’orientamento del giudice di legittimità (vedi Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009; Sez. 6, n. 16155 del 20 marzo-2013; Sez. U, n. 40109 del 18 luglio 2013; Sez. 5, n. 3869 del 7 ottobre 2014 (dep. 2015); Sez. 2, n. 38049 del 18 luglio 2014), che interpreta il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen. nel senso di ritenere necessaria, in funzione della conferma delle statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado da parte del giudice di appello che pure abbia riscontrato l’esistenza di una causa estintiva del reato, l’incidentale riaffermazione della responsabilità penale dell’imputato, pena l’annullamento con rinvio della sentenza.  Tale indirizzo interpretativo, assunto come “diritto vivente”, avrebbe trovato riscontro anche nel recente arresto di Sez. U, n.6141 del 25 ottobre 2018 (dep. 2019), che, risolvendo in senso positivo il contrasto circa l’impugnabilità, con il rimedio straordinario della revisione, della· sentenza di appello contenente, unitamente alla dichiarazione .di estinzione del reato, la conferma delle statuizioni civili restitutorie o risarcitorie, l’avrebbe equiparata, nella sostanza ad una vera e propria sentenza di condanna.

A sostegno di tale tesi il giudice remittente aveva segnalato la sentenza Corte EDU, Terza Sezione, 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San Marino, che, in relazione ad una norma perfettamente sovrapponibile all’art. 578 cod. proc. pen., in un caso di conferma di condanna al risarcimento del danno e declaratoria di prescrizione del reato, aveva ritenuto violato dal giudice sammarinese il secondo aspetto della presunzione di innocenza, avendo egli emesso un provvedimento che rifletteva una indebita opinione di colpevolezza, e quindi una oggettiva imputazione di responsabilità penale dell’imputato, Con riguardo all’ordinamento dell’Unione europea, sono state inoltre citate plurime decisioni della Corte di giustizia in cui – movendo dal presupposto che il diritto alla presunzione di innocenza riconosciuto dall’art. 48 CDFUE, in quanto corrispondente a quello garantito dall’art. 6, paragrafo 2, CEDU, ha significato e portata identici a quello conferito dalla norma convenzionale (art. 52 CDFUE) -sarebbe stato ‘affermato il principio generale per cui, in assenza di indicazioni precise nella direttiva 2016/343/UE e nella giurisprudenza relativa al citato art. 48, ai fini dell’interpretazione del contenuto della direttiva medesima, occorrerebbe ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

La Corte costituzionale osserva che in precedenti pronunce ( ex plurimis, sentenze n. 176 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 217 del 2009) è stato più volte rilevato come, nell’ipotesi in cui la domanda risarcitoria venga proposta con la costituzione di parte civile nel processo penale, i rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale continuano ad essere informati, anche nel sistema accolto nel codice vigente, al principio dell”‘accessorietà” dell’azione civile rispetto a  quella penale, principio che trova la sua principale ‘ espressione nella regola secondo la quale il giudice penale «decide» sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile. La condanna penale, dunque, costituisce il presupposto indispensabile del provvedimento del giudice sulla domanda civile.

Tuttavia, la Corte rileva che il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Si tratta di un accertamento di natura civilistica sugli elementi costitutivi del fatto dannoso del tutto diverso da quello penalistico.

Tale questione è stata tenuta ben presente dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo laddove è stato chiarito che: «se (da un lato) la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione che imputa la responsabilità penale alla parte convenuta, ciò solleverebbe una questione che rientra nell’ambito dell’articolo 6 [paragrafo] 2 della Convenzione» (Corte EDU, 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San Marino), dall’altro lato, l’applicazione del diritto alla presunzione di innocenza in favore dell’imputato non deve ridondare a danno del diritto della vittima al risarcimento del danno (in particolare, Corte EDU, 11 febbraio 2003, Ringvold contro Norvegia).

La Corte Costituzionale ha quindi ricordato come la natura civilistica dell’accertamento richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale dell’impugnazione, si differenzia dall'(ormai precluso) accertamento della responsabilità penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile,  ed emerge  chiaramente con riguardo sia al nesso causale, sia all’elemento soggettivo dell’illecito.

Il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all’evento in base alla regola dell’«alto grado di probabilità logica» (Sez. U., n. 30328 del 10 luglio 2002). Né l’autonomia dell’accertamento dell’illecito civile presenta mutazioni in base al fatto che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc. pen.). L’applicazione dello statuto della prova penale è pieno e concerne sia i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall’art. 246 cod. proc. civ.), sia le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 cod. proc. pen. e non per interrogatorio diretto del giudice).

CONCLUSIONI

Una volta dichiarata la sopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., l’imputato ha diritto a che la sua responsabilità penale non sia più rimessa in discussione, ma la parte civile ha, a sua volta, diritto al pieno accertamento dell’obbligazione risarcitoria. Il bilanciamento fra queste due opposte esigenze è sotteso all’operatività della norma di cui all’art. 578 c.p.p. che tempera il principio generale di accessorietà dell’azione civile rispetto all’azione penale (che esclude la decisione sul capo civile nell’ipotesi di proscioglimento) con le esigenze di tutela dell’interesse del danneggiato.

Il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), provvederà pertanto sull’impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che riguarda unicamente gli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto.