La questione circa la natura del c.d. diritto reale di uso esclusivo di una parte comune di un edificio condominiale era controversa da tempo e mai risolta.

La seconda Sezione della Corte Suprema, con ordinanza interlocutoria n. 31420/2019, aveva rimesso la decisione alle Sezioni Unite, stante le non univoche opinioni che si erano formate in giurisprudenza. Esclusa la possibilità di poter ricondurre il diritto in questione al diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c. ,  la giurisprudenza era orientata  nel ritenerlo  come deroga all’art. 1102 c.c. e l’aveva giudicato trasferibile anche ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare. Il diritto non poteva però essere inquadrato, a livello teorico, nella servitù prediale.

Più di recente, si era affermata l’impossibilità della costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo in quanto si sarebbe del tutto privata di utilità la proprietà, oltre che dato vita ad un diritto reale in palese violazione del tradizionale principio del “numerus clausus” dei diritti reali, ispirato ad un’esigenza di ordine pubblico. L’assenza, dunque, di precise soluzioni circa la possibilità di armonizzare l’uso esclusivo del bene comune con la regola generale dettata dall’art. 1102 c.c., ha imposto e giustificato l’intervento delle Sezioni Unite.

La Corte ha risolto il contrasto esistente nel seguente modo:

La pattuizione avente ad oggetto la creazione del  diritto reale di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale, mira alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune sancito dall’art. 1102 c.c.; essa è pertanto preclusa dal principio, insito nel nostro sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi. È sempre fatta salva la possibilità per il legislatore di dare vita a nuove figure di diritti reali, ma in difetto di intervento in tal senso, occorre verificare, per i titoli negoziali che già hanno contemplato simile costituzione, la vera volontà delle parti, o, in ultima analisi, la possibilità di conversione del contratto, ex art. 1424 c.c., in altro avente ad oggetto, alternativamente, la concessione di un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. oppure di un diritto di uso esclusivo perpetuo (inter partes) di natura obbligatoria.

 

COMMENTO

Il caso portato  alle Sezioni Unite della Suprema Corte  riguardava, per l’esattezza una porzione di area cortilizia antistante un negozio, assegnato, tra altri beni, ad una delle tre comproprietarie di un intero edificio in sede di scioglimento della comunione e da questa poi ceduto in proprietà ad un terzo, unitamente al diritto d’uso esclusivo della corte ad esso antistante.

A seguito dello scioglimento della comunione, si era venuto a costituire il condominio. I due condomini, divenuti proprietari degli appartamenti delle altre ex comproprietarie avevano convenuto in giudizio i due comproprietari del negozio per sentirli condannare all’eliminazione delle opere da loro realizzate nell’area antistante il negozio stesso.

Si erano costituiti in giudizio i convenuti contestando le domande formulate nei loro confronti e sostenendo di vantare sulla predetta porzione un diritto di uso esclusivo derivante sia dal titolo intercorso con la loro dante causa, sia dall’atto costitutivo del condominio stesso

Il giudice di primo grado aveva respinto anche in via riconvenzionale tutte le loro domande.

In secondo grado, la Corte, nel confermare, seppure parzialmente la sentenza di primo grado, aveva evidenziato che l’uso esclusivo a cui si riferivano i contratti di compravendita non doveva configurarsi come il diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c., bensì come quell’uso delle parti condominiali disciplinato dagli artt. 1102 e segg.

L’intera questione veniva sottoposta all’esame dei giudici di legittimità sul presupposto dell’errata configurazione che i giudici di secondo grado avevano fornito del diritto d’uso esclusivo di una porzione di cortile (antistante l’unità immobiliare poi assegnatale) concesso alla dante causa dei resistenti in sede di scioglimento della comunione, essendo stato costituito in loro favore, in tal modo, un diritto reale d’uso.

La seconda Sezione delle Suprema Corte, chiamata a decidere della controversia, ha ritenuto opportuno esaminare la questione della natura giuridica del diritto d’uso esclusivo e ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale trasmissione degli atti alle Sezioni Unite affinché componessero l’insorto contrasto tra le varie decisioni della Corte Ha comunque  rilevato che la riserva inerente il diritto esclusivo concesso ad un condomino non riguarda la persona, ma l’unità immobiliare di proprietà del condomino, sulla quale viene a costituirsi un diritto reale e non un semplice rapporto pertinenziale. L’uso esclusivo di cui si discute non può essere però ricondotto alla previsione dell’art. 1021, inteso come diritto per il titolare di servirsi di una cosa per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia, diritto, come tale, strettamente personale e di natura inalienabile ai sensi dell’art. 1024 c.c.

 

Le Sezioni Unite hanno in primo luogo rilevato come il diritto reale esclusivo sia più di creazione dottrinale che giurisprudenziale dal momento che coniuga l’esclusività dell’uso con l’appartenenza della porzione a più condomini”. Prendendo tuttavia atto di essersi sovente trovata a risolvere questioni inerenti un lamentato diritto d’uso esclusivo su parti comuni, siano esse cortili o parti esterne al fabbricato, ha chiarito come il problema dovesse essere ravvisato:

 

  1. nella necessità di armonizzare il diritto d’uso esclusivo di una parte comune con la regola primaria dettata dall’art. 1102 c.c. secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune
  2. nell’individuazione della natura giuridica di un tale diritto, se cioè esso dovesse essere considerato un diritto reale atipico, al contrario un diritto personale di godimento.

 

Le S.U. hanno, in particolare, escluso che potessero essere introdotti limiti all’utilizzo della cosa comune da parte del Regolamento condominiale e, ancora che il diritto reale di uso esclusivo potesse trovare ingresso nel nostro ordinamento attraverso la previsione di cui all’art. 1126 c.c.

Parimenti da escludere è che il diritto di uso esclusivo del bene condominiale possa assimilarsi ad una servitù prediale, vuoi perché il condomino, quando si serve della cosa comune anche per un fine esclusivamente proprio per trarne ogni possibile utilità, lo fa nell’esercizio del suo diritto di condomino e non già in forza di una servitù e vuoi perché la servitù, pur imponendo un sacrificio al fondo servente, non può spingersi sino ad escludere la facoltà di godimento del fondo servente stesso, impedendo ai suoi comproprietari di farne godimento.

La ipotetica costruzione di un diritto reale di uso esclusivo, ribadiscono le Sezioni Unite, trova