La Corte di Cassazione con ordinanza del 15 luglio 2021 ha fatto il punto sullo stato della giurisprudenza in tema di diritto di “accesso alle origini” ex art.28 l.184/1983, diritto riconosciuto ai figli adottivi al fine  conoscere l’identità dei propri genitori biologici, con particolare riguardo all’identità della madre naturale..

Ha pertanto esaminato il caso di una donna adottata che aveva richiesto e non ottenuto da parte dei giudici di merito il diritto a rimuovere il segreto sull’identità della propria madre naturale stante l’esistenza in vita della stessa e la verifica della  persistente volontà di non essere nominata nell’atto di nascita” In particolare, i giudici d’appello  avevano sostenuto che la decisione della madre della  ricorrente era  stata , “chiara e consapevole” al momento del parto allorchè la donna era ultratrentenne e che era stata mantenuta «per oltre cinquant’anni» senza che fosse  emerso dall’istruttoria espletata un intendimento di segno diverso.

La ricorrente, in sede di ricorso per cassazione, ha lamentato:

  1. la nullità del procedimento e del provvedimento, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione del diritto al contraddittorio (art.111 Cost.) sulle risultanze istruttorie e del diritto di difesa (art.24 Cost.) in ragione del segreto oppostole nel procedimento di interpello da lei stessa promosso  dal momento che  la normativa italiana prevede il diritto dell’adottato, raggiunta l’età di 25 anni, di accedere alle informazioni riguardanti la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici, senza alcuna limitazione;
  2. la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n 3 c.p.c., dell’art.28, comma 7, l.184/1983, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, per omesso interpello della madre biologica, nonostante la stessa non risultasse legalmente incapace o incapace di discernimento;
  3. la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n 3 c.p.c., dell’art.28, comma 7, l.184/1983, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, e dell’art. 3 Cost, per irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, quale l’ipotesi di decesso della madre biologica, avendo il provvedimento impugnato cristallizzato la scelta per l’anonimato nonostante l’affievolimento delle ragioni di protezione della scelta della madre di partorire in anonimo;
  4. la nullità del procedimento di interpello, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art.28, comma 7, l.184/1983, nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 278/2013, non potendo gli accertamenti, al di fuori delle attività di ricerca della madre biologica, essere compiuti dalla polizia giudiziaria, i cui operanti sono sprovvisti delle qualifiche necessarie in considerazione della delicatezza della situazione, essendo deputati all’interpello della donna unicamente i Servizi sociali ed il giudice onorario delegato;
  5. la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.22, comma 7, e 28, comma 7, l.184/1983, e 32 Cost, in relazione al rigetto della domanda subordinata di accesso alle sole informazioni di carattere sanitario della madre biologica (riguardanti le anamnesi famigliari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’esistenza di malattie ereditarie trasmissibili)

La Corte, nell’accogliere i motivi di ricorso di cui al capo 5),  ha innanzitutto esposto il quadro normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto la questione centrale del giudizio, attinente al  giusto bilanciamento tra diritti fondamentali, il diritto dell’adottato all’accesso alle proprie origini e il diritto all’anonimato esercitato dalla madre naturale al momento del parto. Ha quindi ricordato che con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (sottoscritta il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176) e con la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (sottoscritta il 29 maggio 1993 e ratificata con legge 31 dicembre 1998 n. 476) il diritto di ciascuno di conoscere le proprie radici  ha trovato un seppur parziale riconoscimento,  tanto che  il legislatore italiano ha proceduto alla modifica del più volte citato art. 28 della l. n. 184 del 1983,  a mezzo dell’art. 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149, riconoscendo all’adottato di accedere, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei genitori biologici pur conservando il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile.

Il diritto all’anonimato della madre biologica dopo il richiamo nell’art. 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozioni, è stato però ulteriormente ribadito, sia dall’art. 30 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sia dall’art. 93, comma 2 e 3, del d.lgs. 30 giugno 2003, ragione per cui il diritto al riconoscimento delle proprie origini non ha, ad oggi, trovato piena tutela.

Al contrario la  giurisprudenza europea ha mostrato una maggiore e più incisiva sensibilità al problema tanto che la Corte di Strasburgo, con sentenza del 25 settembre 2012 (Godelli c. Italia, sulla scia della sentenza Odièvre c. Francia n. 42326 del 13/2/2003), pur non negando il diritto della donna di partorire nell’anonimato e, di conseguenza, la legittimità del limite all’accesso alle informazioni sull’identità della madre biologica dell’adottato, ha criticato la legislazione italiana nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di bilanciamento (analogo a quello francese) dei due opposti interessi, entrambi meritevoli di tutela. Ha pertanto ritenuto che la normativa in materia fosse in contrasto con l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui è sancito il «rispetto della vita privata e familiare», che si declina nel rispetto all’identità personale intesa anche come possibilità di conoscere le proprie origini o, almeno, di acquisire informazioni ad esse relative. In particolare, secondo la Corte europea, il diritto alla conoscenza biologica delle proprie origini può nascere anche da un bisogno di salvaguardia della salute e della vita del richiedente, sotteso alla necessità di individuare, ad esempio, particolari patologie di tipo genetico, per le quali sia necessaria un’anamnesi familiare.

Sulla scia di questi importanti arresti giurisprudenziali,  la Corte costituzionale con sentenza additiva n.  278  del  2013 ha dichiarato  «l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione».

La Corte Costituzionale ha evidenziato, in proposito, l’irragionevolezza dell’irreversibilità del segreto conseguente alla scelta di anonimato operata dalla madre partoriente e ne ha sancito il contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. rimettendo al legislatore la facoltà di « introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto

Le Sezioni Unite (Cass. 1946/2017) hanno quindi enunciato il seguente principio di diritto, nell’interesse della legge: «In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre  che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione” E’ stata comunque ribadita la necessità di assicurare, in termini rigorosi, la riservatezza della madre. Potrà, conseguentemente, essere espletata “un’interrogazione riservata, esperibile una sola volta, con modalità pratiche nel concreto individuate dal giudice nel rispetto dei limiti imposti dalla natura dei diritti in gioco, reciprocamente implicati nei loro modi di realizzazione”.

Con sentenza  n. 6963/2018 La corte di Cassazione  ha successivamente ribadito che «l’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28, comma 5, della l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto».

Con la sentenza n. 15024/2016, la Corte ha poi affermato che sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre; il rispetto di tale termine determinerebbe la cristallizzazione della scelta dell’anonimato della madre, anche dopo la sua morte, con la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la reversibilità del segreto e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre.

Questione diversa è infine quella dell’accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre per la tutela della vita o della salute del figlio o di un suo discendente, essendo necessario consentire l’accesso alle informazioni sanitarie, con modalità tali, però, da tutelare l’anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio.

Venendo all’esame del ricorso la Corte lo ha ritenuto  solo parzialmente fondato.

Ha infatti considerato che:

  1. a) la garanzia della assoluta riservatezza delle informazioni acquisite dall’Ufficio giudiziario comporta necessariamente, come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, che il fascicolo sia trattato con peculiari modalità, in fase di istruttoria, rimanendo nell’esclusiva disponibilità del giudice ed essendo indisponibile per il ricorrente, che non potrà compulsarlo, essendo abilitato soltanto a estrarre copia del suo ricorso;
  2. b) il diritto al riconoscimento delle proprie origini non può essere esercitato senza più alcuna limitazione in virtù della persistenza della vigenza del comma 7 dell’art.28 l.184/1983 che introduce comunque un limite all’accesso alle informazioni in questione («L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato). Va inoltre evidenziata la necessità di un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre in caso di parto anonimo ed il diritto di conoscere le proprie origini, vale a dire tra il segreto materno successivo al parto anonimo ed il diritto del figlio biologico ad accedere alle informazioni sulla madre e sulla famiglia biologica, tali da permettere una ridefinizione del proprio paradigma identitario;
  3. c) l’esigenza, evidenziata al comma 6, art. 28, legge adoz., di evitare che l’accesso alle notizie sulle proprie origini biologiche non procuri «grave turbamento dell’equilibrio psico-fisico del richiedente» (l’adottato) va estesa anche a quello della madre biologica.
  4. d) la sentenza impugnata non risulta viziata da motivazione apparente o contraddittoria, avendo la Corte d’appello affermato, essenzialmente, che l’istanza di interpello, ex art.28 l.184/1983, era infondata in diritto perché, alla luce delle risultanze istruttorie, la madre naturale risultava essere un soggetto che, per età e condizioni di salute, non era ormai in grado di esprimere una scelta consapevole in ordine alla revoca dell’anonimato, espressa oltre cinquant’anni prima.
  5. e) non può riscontrarsi alcuna diversità di trattamento, tra l’ipotesi in cui la madre naturale che aveva scelto l’anonimato al momento del parto sia ancora in vita o sia, al contrario, deceduta, perché solo la madrevivente può manifestare il proprio dissenso alla richiesta del figlio, nell’esercizio di propri personalissimi diritti soggettivi; in caso di decesso, invece, il figlio può essere liberamente autorizzato dal Tribunale minorile ad accedere alle informazioni riservate sull’identità della propria madre, senza particolari ostacoli (Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024; Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838; Cass. civ.,S.U., 25 gennaio 2017, n.1946).
  6. f) il procedimento di ricerca e di interpello della madre biologica non è regolato per legge, ma, come chiarito dalle Sezioni Unite nel 2017, dalle prassi virtuose dei Tribunali e delle Corti d’appello che hanno colmato, allo stato, la lacuna legislativa.

La Corte ha invece ritenuto fondati il settimo e l’ottavo motivo di ricorso. Ha infatti ribadito che la domanda di accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, è ulteriore e distinta rispetto a quella di puro accesso alle origini, avendo come finalità la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente. Il diritto va garantito, con modalità tali, però, da tutelare l’anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio, che potranno essere desunte dall’art. 93, d.lgs. n. 196 del 2003, Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, ai sensi del comma 3, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora «attestazione di avvenuta nascita») o alla cartella clinica della partoriente può essere accolta relativamente ai soli dati sanitari, non identificativi, relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, «osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile».

La motivazione della Corte di merito in ordine alle ragioni del diniego, se non con il richiamo alle condizioni di età e di salute della madre biologica ed alla sua incapacità di esprimere il consenso a rivelare la propria identità alla figlia, è stata ritenuta inconferente perché “ la richiesta di consultazione, meramente cartolare, dei dati sanitari, quali ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica della partoriente, potrà comportare, non potendosi consentire un accesso indiscriminato al documento sanitario in oggetto, un diritto di accesso sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica”.