Corte europea dir. uomo, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia

Con la sentenza 28 giugno 2018 GIEM e altri contro Italia, la Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sulla   compatibilità della confisca c.d. urbanistica (disciplinata dall’art. 44 T.U. edilizia) con gli artt. 7, 6.2 e 1 Prot. Add. Cedu. La pronuncia in oggetto ha costituito un revirement rispetto al tema della confisca senza condanna perché giudici di Strasburgo, si sono discostati dalla precedente giurisprudenza  relativa al caso Varvara e hanno dichiarato la compatibilità con l’art. 7 della Convenzione della confisca urbanistica disposta a seguito di un accertamento  richiedendo i requisiti sostanziali della condanna e non quelli puramente formali (nella specie sussistenti e attinenti, sotto il profilo oggetto e soggettivo il reato di lottizzazione abusiva).

L’attuale disciplina italiana – come derivante, da ultimo, dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 49 del 2015 – ha dunque superato il vaglio della Corte Edu in ralazione a tale profilo ma non ha superato il vaglio della CEDU in relazione ad un diverso profilo di ulteriore violazione dell’art. 7 Cedu: quello relativo alla possibilità di disporre la confisca urbanistica nei confronti della persona giuridica che non abbia preso parte al procedimento penale.

L’Italia è stata poi condannata  per violazione dell’art. 1 Prot. Add. Cedu (diritto di proprietà) a causa del carattere sproporzionato della confisca urbanistica, misura obbligatoria scarsamente flessibile.

Va premesso che per lungo tempo la Corte di Cassazione italiana ha ritenuto che in virtù dell’art. 44 c. 2 T.U. (la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite) la sanzione amministrativa della confisca del manufatto abusivo fosse da ritenersi obbligatoria, indipendente dalla condanna nel processo penale, ragione per cui poteva essere applicata nei confronti anche di un terzo del processo e non necessitava di una formale pronuncia di condanna.

Nelle  sentenze relative al caso Sud Fondi (confisca dell’ecomostro di Punta Perotti) la Corte europea dei diritti aveva riconosciuto la natura penale della confisca urbanistica e aveva richiesto un legame di natura intellettiva con la colpevolezza.

La questione, sollevata innanzi alla Corte Costituzionale, veniva dichiarata inammissibile attesa la mancanza di un serio consolidamento del principio della Corte Europea. La Corte Costituzionale prendeva però posizione sul requisito relativo all’assenza di una condanna per poter disporre la confisca e optava per la necessità di una responsabilità sostanziale.

Di qui la questione dell’attuale contenzioso attivato a Strasburgo da quattro persone giuridiche (G.I.E.M S.r.l. – società anche essa proprietaria di lotti a Punta Perotti -, Hotel Promotion Bureau S.r.l. e R.I.T.A. Sarda S.r.l., Falgest S.r.l.) e una persona fisica (F.G., comproprietario al 50% con Falgest S.r.l. di un lotto edificabile), tutte destinatarie di un provvedimento di confisca ex art. 44 c. 2 T.U. Edilizia in assenza di un provvedimento di formale condanna nei confronti degli autori del reato di lottizzazione abusiva.

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha giudicato secondo i seguenti principi:

  1. l’art. 7 della Convenzione trova applicazione solo con riferimento alla matière pénale, da ritenersi tale anche il caso di specie per effetto del diretto collegamento tra la misura della confisca e la commissione del fatto reato, della collocazione della norma all’interno della rubrica relativa alle sanzioni penale e della finalità eminentemente punitiva. La Corte ha tenuto però a precisare che la natura punitiva della sanzione della confisca non comportava anche l’obbligo che essa fosse applicata all’interno di un procedimento penale, potendosi provvedere alla sua applicazione anche all’interno di un procedimento amministrativo purchè quest’ultimo sia connotato da un minimo garanzie.
  2. Passando al merito della vicenda la Corte ha risolto in senso favorevole allo Stato Italiano le questioni relative alla necessità di un elemento psicologico in capo al soggetto agente e all’assenza di un provvedimento formale di condanna ma è pervenuta ugualmente alla condanna dell’Italia per avere applicato la misura della confisca a soggetti (nella specie, persone giuridiche) che non erano state parti del procedimento all’interno del quale la misura era stata inflitta.

Con riguardo, nello specifico, quest’ultimo punto, i giudici di Strasburgo –  partendo dalla distinzione della personalità giuridica dell’ente rispetto a quella della persona fisica che lo rappresenta –  hanno affermato, anche questa volta, il divieto di responsabilità per il fatto altrui. “Con riferimento al principio per il quale un soggetto non può essere punito per un atto relativo alla responsabilità penale di un altro [soggetto]” – si legge al § 274 della pronuncia in questione – “una confisca disposta, come nel caso oggetto di giudizio, nei confronti di soggetti o enti che non siano stati parti nel procedimento [che la infligge] è incompatibile con l’art. 7 della Convenzione”.