Cass. Civ.  4 dicembre 2018 n. 31234

Il paziente vanta la legittima pretesa di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza; il giudice di merito avrebbe dovuto accertare se il corretto adempimento, da parte dei sanitari, dei doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato, ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo; l’attore avrebbe dovuto provare, anche con presunzioni, che, se adeguatamente informato, non avrebbe autorizzato l’intervento anche nell’ipotesi di operazione salva vita.

 

Con la massima sopra riportata la Cassazione Civile ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Bari  del 5 novembre 2009 che, in riforma della sentenza di primo grado del  Tribunale di Foggia del 1 marzo 2002, aveva riconosciuto all’appellante, soggetto laringectomizzato per effetto di un intervento chirurgico  non  preceduto da adeguato consenso informato, l’importo complessivo di  euro 244.000,00, a titolo di risarcimento del  danno  conseguente alla mancata  informazione sulle conseguenze occorse al soggetto, con particolare riguardo alla  perdita totale della funzione fonetica.  La Corte di territoriale aveva infatti ritenuto che l’omessa prestazione da parte della casa di Cura del consenso informato  aveva determinato la violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente  prescindendo da un’effettiva lesione alla salute.

La Corte di legittimità, pur prendendo atto  della sussistenza  in astratto del danno derivato al  paziente per effetto dall’assenza di adeguata informazione circa le conseguenze pregiudizievoli derivanti da un trattamento chirurgico sanitario particolarmente demolitivo, come quello in esame,  ha tuttavia ritenuto che, essendosi trattato di un intervento chirurgico effettuato   in un contesto salva-vita,  sarebbe stato necessario accertare  se, in presenza di adeguata informazione, il paziente ne avrebbe opposto il rifiuto.

Pertanto, poiché tale circostanza in  fatto non era stata né allegata né dimostrata  dal paziente, la sentenza di secondo grado difettava di adeguata motivazione  sulla sussistenza del nesso eziologico circa il danno in concreto liquidato, con conseguente annullamento della decisione oggetto di ricorso.