La capacità di agire  (o capacità negoziale) è la capacità di porre in essere atti negoziali destinati a produrre effetti nella propria sfera giuridica Essa si distingue dalla capacità giuridica che si sostanzia nell’idoneità del soggetto ad essere  titolare di diritti e di doveri   e  che si acquista con la nascita (ad esempio  acquisto dei diritti personalissimi, quali il diritto alla vita, all’integrità fisica).  Il diritto all’esercizio dei diritti e dei doveri giuridici si acquista con il raggiungimento della maggiore età e presuppone l’esistenza della capacità giuridica. In alcuni casi il maggiore d’età, pur avendo capacità giuridica, non ha la capacità di agire. Ci si riferisce a tutti quei casi in cui la persona fisica non è in grado, sia per disabilità che per malattia, di attendere ai propri interessi. In questi casi la legge pone a  sua tutela alcuni istituti quali la minore età, l’interdizione giudiziale, l’inabilitazione, l’emancipazione, l’amministrazione di sostegno.

La legge italiana fissa al compimento del diciottesimo anno il raggiungimento della maggiore  età;  prima di questo momento il soggetto è considerato legalmente incapace fatta eccezione per alcuni diritti che può  esercitare  al compimento del sedicesimo anno di età (diritto al lavoro, art. 2 comma secondo c.c.; diritto a contrarre matrimonio, art. 84, II comma c..c; diritto al riconoscimento del figlio naturale, art. 250, comma 5 c.c., diritto ad essere autore di un’opera dell’intelletto o dell’ingegno, art. 108 L. A. ). Gli atti negoziali posti in essere dal minore d’età sono annullabili  e possono essere impugnati dallo stesso minore nei cinque anni successivi al raggiungimento della maggiore età (art. 1425, 1426, 1442, I e II comma c.c.) L’impugnativa, in costanza di minore età, può essere  esperita solo dal rappresentante legale del minore e non dalla controparte. Se l’atto posto in essere dal minore è annullato, quest’ultimo ha diritto alla restituzione di quanto prestato in sua esecuzione e deve, a sua volta, restituire, quanto ricevuto.  In realtà, in ragione della funzione di protezione assolta dall’istituto della minore età, gran parte degli atti negoziali necessari  a soddisfare le esigenze della vita quotidiana sono da ritenersi accessibli.

Peraltro, l’art. 322 c.c. concede al figlio l’azione di annullamento di tutti gli atti compiuti dal genitore esercente la potestà senza rispettare le norme di cui agli articoli precedenti poste a tutela del minore. Fra tali norme rientra quella per cui il denaro del minore deve essere investito previa autorizzazione del giudice tutelare e secondo le modalità prescritte in tale autorizzazione. Orbene, qualora il genitore disattenda tali disposizioni ed impieghi il denaro nell’interesse proprio, anziché nell’interesse del figlio, l’atto va incluso fra quelli suscettibili di annullamento. Legittimato a proporre l’azione de qua è anche il figlio, allorché abbia raggiunto la maggiore età ed il termine di prescrizione comincerà a decorre dalla data del raggiungimento della maggiore età. Tale norma è, dunque, applicabile all’ipotesi di annullamento per incapacità legale ed anche al caso in cui sia la stessa parte (già) incapace a farne richiesta, ritenendo la soluzione conforme ai propri interessi e non ne derivi alcun pregiudizio per la controparte. (Cass. civ., Sez. VI – 3, 29/05/2014, n. 12117).
La gestione del patrimonio del minore viene esercitata dai suoi genitori, se viventi, nell’esercizio della cd. responsabilità genitoriale termine introdotto  nel 2013 al posto di quello della potesta genitoriale al fine di rimarcare l’importanza dei doveri genitoriali rispetto ai diritti che derivano loro da questo status. La responsabilità genitoriale (al pari della potestà) si specifica in due funzioni distinte e complementari, che riguardano un aspetto interno ed un aspetto esterno: il primo, è connesso all’educazione del figlio; il secondo, riguarda il potere-dovere di sostituire il figlio nelle relazioni con il mondo esterno, di carattere patrimoniale, sostituzione che si rende necessaria perché il minore difetta della capacità (di agire) e non può, quindi, intrattenerle personalmente. Secondo T. Modena 2.3.2015 : «Il totale disinteresse e l’irreperibilità del padre giustificano l’attribuzione alla madre dell’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale anche con riferimento all’adozione delle decisioni di maggior interesse per il figlio relative alla salute, all’istruzione, all’educazione e alla scelta della residenza abituale». La responsabilità  genitoriale si perde con la dichiarazione dello stato di adottabilità  che  ha come presupposto uno stato oggettivo di abbandono del minore da parte di entrambi i genitori.  Essa viene dichiarata dal giudice  all’esito di un procedimento giudiziale. Secondo la Corte di legittimità, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva espresso un giudizio di inidoneità dei genitori basandosi solo sulle problematiche vissute da entrambi sino al 2018, senza considerare i significativi mutamenti successivi relativi alla nascita di altre due figlie, al pieno esercizio della responsabilità genitoriale sulle minori, al reperimento di una casa e di un’attività lavorativa) (Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 09/02/2023, n. 4002).

L’ art. 1, n. 4, D.lgs. 10.10.2022, n. 149   ha significativamente modificato l’art. 316 c.c.. In particolare, si sono inserite le scelte relative all’istruzione e educazione, fra le questioni su cui i coniugi devono necessariamente – e quindi previamente – concordare. Laddove sorga contrasto su questioni di «particolare importanza», fra le quali si è avuto cura di specificare quelle relative alla «residenza abituale del minore» ed all’istituto scolastico, ogni coniuge potrà adire il giudice al fine di ottenere il provvedimento più adeguato all’interesse del minore per evitare il blocco decisionale, senz’altro dannoso alla migliore cura del minore medesimo. In tal modo la norma lascia intendere che la decisione inerente alla residenza abituale, e all’iscrizione all’istituto scolastico, sia oggi necessariamente da concordare in via preventiva fra i genitori, non essendo tollerabile che uno fra questi adotti decisioni unilaterali, o informi della propria decisione, a posteriori, l’altro genitore. Del pari, il ricorso al giudice potrà consentire di superare dissensi strumentali o non giustificati. A tal proposito le novità normative rendono armonico l’intervento del giudice, di cui alla norma in esame, con la modifica effettuata all’ art. 145, al pari della quale è previsto che sul contrasto fra genitori (e, nel caso della norma richiamata, fra coniugi) il giudice tenti in primo luogo una decisione concordata; solo successivamente (e, nel caso dell’art. 316, senza necessità di espressa richiesta da parte del coniuge, ma anche d’ufficio), ove non sia possibile porre in essere una soluzione concordata, adotta la scelta che ritiene più adeguata all’interesse del minore.

I genitori hanno il potere di rappresentanza del minore disgiuntamente per quanto riguarda gli atti di ordinaria amministrazione e congiuntamente nel caso di attività di straordinaria amministrazione.  In linea di massima sono considerati atti di ordinaria amministrazione gli atti che siano oggettivamente utili alla conservazione dle patrimonio e che comportino un rischio economico modesto in ragione del loro valore (esempio riscossione di canoni di locazione). Sono al contrario atti di straordinaria amministrazione  quelli che, difettando dei requisiti  sopra descritti, incidono fortemente e significativamente sul patrimonio del minore.

A titolo esemplificativo sono  stati ritenuti dalla giurisprudenza atti di straordinaria amministrazione:

la transazione avente ad oggetto la controversia relativa al risarcimento del danno, stipulata dal genitore nell’interesse del figlio minore che costituisce atto di straordinaria amministrazione quando abbia ad oggetto un danno che, per la sua natura e la sua entità, possa incidere profondamente sulla vita presente e futura del minore danneggiato. In questo caso è necessaria, per la validità della transazione, l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. (Tribunale Milano, Sez. I, Sentenza, 13/10/2022, n. 7994)

La richiesta di modifica del cognome del figlio minore che, integrando un “atto civile”, può essere presentata  dai genitori solo nell’esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell’art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale. In caso di disaccordo, stabilisce, in ultima analisi, l’art. 320, comma 2, c.c., si applicano allora le disposizioni dell’art. 316 c.c., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile. (T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 06/05/2022, n. 115)