Con la sentenza n. 5285/2017 depositata il 15 novembre 2018, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha affrontato la questione relativa alla decadenza della concessione edilizia intervenuta senza una specifica dichiarazione amministrativa. Ha quindi sancito, confermando gran parte della giurisprudenza di primo grado (Cfr. Tar Sicilia Catania, Sez. I, 16 febbraio 2015, n. 528; Tar Sicilia Palermo, Sez. II, 14 marzo 2014, n. 746; Tar Lazio Roma, Sez. II bis, 28 giugno 2005, n. 5370), l’operatività della decadenza della concessione edilizia  solo nell’ipotesi in cui  essa sia stata dichiarata  sulla base di un formale provvedimento amministrativo, seppur avente efficacia dichiarativa (Cfr. Cons. St. 22 ottobre 2015 n. 4823).

In materia di necessaria interlocuzione con il privato attraverso gli apposti strumenti partecipativi, Il Consiglio ha osservato “deve parimenti ricordarsi che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la perdita di efficacia della concessione di costruzione per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione anche ai fini del necessario contraddittorio col privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possono legittimarne la determinazione (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, sent. 12.05.2011, n. 2821; Cons. St., Sez. IV, sent. 29.01.2008, n. 249; Cons. St., Sez. VI, sent. 17.2.2006, n. 671)”. Il Consiglio di Stato non disconosce il principio ribadito anche recentemente dalla sesta sezione (sent. 3 agosto 2017 n. 3887), “e che deve essere tenuto fermo, secondo il quale l’articolo 15, comma 2, del T.U. 380/2001 esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Più precisamente, anche laddove si sia in presenza del c.d. factum principis o di cause di forza maggiore, l’interessato che voglia impedire la decadenza del titolo è sempre onerato della proposizione di una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo stesso. Infatti, la conseguenza di prolungare la durata degli effetti favorevoli dell’originario titolo, ivi compresa la possibilità di realizzare le opere già autorizzate divenute contrastanti con la normativa urbanistica sopravvenuta, è in ultima analisi subordinata al riconoscimento, demandato alla P.A., di una incolpevole impossibilità di ultimazione dei lavori da parte del privato. Ciò esclude qualunque automaticità di ogni effetto sospensivo, dovendosi adeguatamente ponderare le ragioni poste a fondamento della proroga del termine”.

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Con provvedimento Numero 02781/2018 e data 28/11/2018 il Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione speciale del 20 novembre 2018 ha espresso il parere sulla modifica da parte di Anac del Regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art. 211 del d.lgs 18 aprile 2016, n. 50.

Nella relazione di accompagnamento alla richiesta di parere l’Anac aveva chiarito che le modifiche e integrazioni al Regolamento del 5 ottobre 2016 si erano rese necessarie al fine di garantire una maggiore tempestività, adeguatezza ed efficacia dei pareri resi ai sensi del comma 1 del citato articolo 211 del Codice dei contratti pubblici il cui testo è attualmente il seguente:

“ Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprime parere, previo contraddittorio, relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 26 del codice del processo amministrativo. disposizione modificata dal DLgs 56-2017 in vigore dal 20-5-2017.

1-bis. L’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Comma introdotto dal DL 50-2017 come modificato dalla legge di conversione L 96-2017 in vigore dal 24-6-2017.

1-ter. L’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. comma introdotto dal DL 50-2017 come modificato dalla legge di conversione L 96-2017 in vigore dal 24-6-2017.

1-quater. L’ANAC, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter. comma introdotto dal DL 50-2017 come modificato dalla legge di conversione L 96-2017 in vigore dal 24-6-2017.

Le modifiche adottate dall’ANAC  dopo l’emissione di un  parere interlocutorio  della Commissione Speciale e adeguamenti istruttori da parte dell’Autorità, sono state solo in parte approvate.

La Commissione speciale ha rilevato in via preliminare quanto segue:

  • su 976 istanze di parere di precontenzioso, circa la metà “sono state istruite e il relativo procedimento si è concluso con l’adozione di un formale provvedimento (deliberazione da parte del Consiglio o archiviazione diretta da parte dell’Ufficio)”. Non risulta l’esito del restante 50 per cento circa. Non è chiaro al riguardo se il riferito esito solo parziale delle istanze pervenute sia dovuto ai tempi necessari alla lavorazione delle stesse, ovvero se ciò sottenda che, in via sistematica, l’Autorità proceda a non esaminare un numero significativo delle istanze pervenute. Sul punto si segnala la necessità che tutte le istanze abbiano un esito che trovi compiuta disciplina nel regolamento sul rilascio dei parere di precontenzioso ai sensi dell’articolo 211, comma 1, del Codice dei contratti pubblici”
  • in considerazione della percentuale delle istanze di precontenzioso non concluse con l’adozione di un formale provvedimento, l’esigenza di procedere, ad oltre due anni dall’entrata in vigore del Regolamento, ad una verifica sulla tenuta del sistema disegnato con lo stesso Regolamento, al fine di verificare se eventuali ritardi nell’evasione delle istanze dipendano da profili di carattere organizzativo o sia necessario rivedere ulteriormente la disciplina regolamentare.

Ne ha quindi concluso che:

L’analisi di impatto della regolazione (e della successiva verifica di impatto ex post, AIR e VIR) ha lo scopo di individuare le conseguenze prodotte dalle norme giuridiche da introdurre nell’ordinamento. E ciò, sia con riferimento alla società aperta su cui incidono (e dunque i suoi c.d. stakeholders) sia all’ordinamento nel suo complesso, anche con riferimento alla organizzazione interna delle P.A. Anche se, ordinariamente, l’accento è posto sull’incidenza nei confronti della società, del mercato, dei consumatori, dei cittadini in genere, degli operatori del settore etc., ciò non significa che l’AIR e la VIR debbano essere effettuate solo nei confronti di questi ultimi. Anzi, l’AIR e la VIR rivolte ai profili organizzativi e interni rivestono una notevole importanza ai fini del contenimento dei costi e di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa in aderenza all’art. 97 Cost.

L’AIR deve contenere, quindi, anche una analisi interna delle norme organizzative, procedurali e operative proprie della amministrazione che provvede ad introdurle, anche al di là di un confronto con gli stakeholders i quali, in riferimento a talune norme organizzative puramente interne, evidentemente potrebbero non esistere. Si osserva, per altro, che nella fattispecie, la procedura, l’istruttoria e la individuazione dei casi di inammissibilità, improcedibilità etc., come anche ulteriori norme riguardanti la legittimazione attiva alla richiesta, l’onere di comunicazione a controinteressati etc., sono ben lungi da costituire mere norme di organizzazione interna, avendo al contrario importante impatto sugli operatori interessati. Si raccomanda, quindi, anche per il futuro, di procedere all’AIR e alla VIR, come per tutte le amministrazioni pubbliche, nelle forme e con gli strumenti di analisi anche organizzativa, dei costi, della efficienza ed efficacia dell’organizzazione ipotizzata e con gli interlocutori dovuti a seconda dei casi.

In relazione alle nuove modifiche apportate la Commissione speciale non ha condiviso l’eliminazione dall’elenco delle istanze che hanno priorità quella fatta pervenire dalla stazione appaltante.

Ha infatti sul punto osservato che: “ l’autorevole parere reso dall’Anac al soggetto che ha bandito la gara può evitare sul nascere vizi procedurali che poi conducono, anche dopo molto tempo e a gara conclusa, all’annullamento – in autotutela o giurisdizionale – della procedura.”

Con riferimento all’articolo 10 (“Approvazione del parere”), la Commissione  ha osservato che:“le modifiche apportate al comma 2 in asserito recepimento dei suggerimenti resi nel parere n. 1632 del 2018 non sono sufficienti. Nel citato parere, ribadendo peraltro quanto già affermato nel parere n. 1920 del 14, era stato rilevato che la previsione, contenuta nel comma 2, relativa alla sospensione feriale dei termini di emissione dei pareri dall’1 al 31 agosto di ogni anno è priva di base legale, atteso che tale sospensione riguarda solo i termini processuali e non può quindi essere estesa, in mancanza di una norma che lo preveda, ai procedimenti amministrativi (quale è quello del parere precontenzioso). Ritiene la Commissione speciale che tale rilievo non può considerarsi superato con l’eliminazione del termine “feriale” che qualifica la sospensione.”

Con riferimento all’articolo 11 (“Archiviazione delle istanze”) la Commissione  ha osservato che :“l’archiviazione di una istanza non è compatibile con la sua definizione in termini di inammissibilità o di improcedibilità. La inammissibilità e la improcedibilità, infatti, non hanno valenza procedurale ma sostanziale, nel senso che esse determinano la reiezione della domanda, a prescindere che sia stato valutato il merito della questione sottostante. Quindi, procedere alla mera “archiviazione” costituirebbe semplicemente un non liquet non previsto dalla legge. Ne consegue che la inammissibilità o improcedibilità costituiscono una decisione che può essere assunta solo dal Collegio. Né, al fine di rispettare la competenza decisionale del Collegio, appare sufficiente la mera comunicazione mensile dell’elenco delle archiviazioni disposte. All’uopo appare necessaria, almeno, una ratifica da parte del Collegio delle inammissibilità o improcedibilità proposte dall’Ufficio. Ciò anche al fine di rendere concretamente effettiva la iniziativa del Collegio, prevista nell’art. 7, comma 2, circa la sottoposizione ad esame e decisione delle istanze inammissibili riguardanti questioni giuridiche ritenute rilevanti.”

La Commissione ha quindi suggerito  “di sostituire, nella Rubrica dell’articolo, il termine “archiviazione” con il termine “esame da parte dell’Ufficio” delle istanze, nonché di sostituire il comma 1 – la cui formulazione sembra comportare che sulle istanze definite come inammissibili o improcedibili, e che dunque non saranno mai esaminate nel merito, decida solo l’Ufficio e non il Consiglio – prevedendo: “L’ufficio verifica se le istanze sono ammissibili e procedibili e, in caso contrario, dichiaratele inammissibili o improcedibili ai sensi del precedente articolo 7, le invia al Consiglio, che le per la ratifica. In sede di ratifica il Collegio applica il comma 2 dell’art. 7, anche su proposta dell’Ufficio”.

Con riferimento all’ l’articolo 12 (“Parere in forma breve”) la Commissione ha rilevato che “ad essere semplificato non è il contenuto del parere, che semmai è succinto, ma la procedura. Peraltro, proprio perché l’articolo 12 individua anche una procedura diversa e più semplice rispetto a quella ordinaria, si suggerisce di sostituire la Rubrica “parere in forma breve” con “Procedura semplificata”. La Commissione ritiene peraltro che siano configurabili ipotesi in cui gli appalti, anche sopra le soglie previste per demandare la competenza al Dirigente dell’Ufficio (id est, inferiore alla soglia comunitaria per servizi e forniture e inferiore a 1.000.000 di euro per lavori), siano di soluzione pacifica, alla luce della normativa di riferimento, della giurisprudenza intervenuta sul punto, di pareri già emessi sulla questione. Si ritiene che, verificandosi questa evenienza, sia opportuno prevedere la possibilità anche per il Consiglio di emettere un parere reso in forma semplificata, sebbene con la procedura ordinaria. Diversamente, con la modifica proposta si rischia di sortire l’effetto (certamente estraneo alla ratio dell’intervento proposto) di aggravare il lavoro del Collegio, privandolo della possibilità – ad oggi esistente – di definire in forma semplificata le istanze di parere che risultino “di pacifica risoluzione”.

La Commissione ha quindi suggerito: “di aggiungere un comma 5 che preveda: “In caso di pareri non vincolanti in appalti sopra soglia e in caso di pareri vincolanti, ove gli stessi siano di pacifica risoluzione ai sensi di cui al comma 1, l’Ufficio, in deroga all’art. 7 9, comma 4, predispone direttamente una bozza di parere con una motivazione in forma semplificata anche attraverso il richiamo a precedenti pareri già adottati, che, previa approvazione del Presidente, viene sottoposto all’approvazione del Consiglio”;

Con riguardo infine all’articolo 14 (“Adeguamento al parere”) la Commissione ha condiviso con Anac che “sia opportuno distinguere gli adempimenti a cui sono tenute le parti destinatarie del parere a seconda che esso sia vincolante o meno, prevedendo, nel primo caso, termini più stringenti e maggiori formalità in ordine alla comunicazione delle determinazioni adottate a seguito del parere medesimo;”

Con sentenza del 19.10.2018 n. 5983 Il Consiglio di Stato è ritornato sulla tematica delle ristrutturazioni edilizie ed ha ribadito i principi consolidati in materia.

Ha in particolare chiarito che:

Le opere di ristrutturazione edilizia che comportino una significativa modifica dell’organismo edilizio alterandone il volume e i prospetti o che comportino un mutamento della destinazione  d’uso  nelle zone omogenee A  hanno bisogno, per la loro realizzazione del rilascio di un permesso a costruire. Ne consegue che i restanti interventi edilizi di ristrutturazione edilizia “leggera” hanno bisogno di una SCIA, necessaria anche per gli interventi edilizi su immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004  che determinino un’alterazione della sagoma dell’edificio.

Questo, il principio dettato in materia di costruzione di una tettoia:

Il rilascio del permesso  di costruire  per la realizzazione di una tettoia  è necessario  solo quando, per le sue caratteristiche  costruttive, essa sia idonea  ad alterare  la sagoma  dell’edificio (Consiglio  di Stato, sez. VI, 16 febbraio  2017, n. 694). L’installazione  della tettoia  è invece sottratta  al regime  del permesso  di costruire  ove la sua conformazione  e le ridotte  dimensioni  ne rendano  evidente  e riconoscibile la finalità  di mero arredo e di riparo e protezione  dell’immobile cui accedono (Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2014 n. 1272).