Sez. Unite N. 22045  del  13/09/2018 -“IUS SUPERVENIENS” – RESPONSABILITA’ AGGRAVATA  – IN  GENERE Condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c.  – Finalità e presupposti  – Fattispecie.162040 – SPESE GIUDIZIALI CIVILI  – “IUS SUPERVENIENS” – RESPONSABILITA’ AGGRAVATA – LITE TEMERARIA

In genere:

La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare  finalità pubblicistiche, correlate  all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte  vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c.,  realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del  potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è  preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non  richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario  l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza  dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta  all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la  pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza  consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la  palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato  la sentenza di appello, che aveva e luso la condanna, nonostante l’artificiosa evocazione in giudizio di una parte, peraltro senza proporre domanda contro di essa, finalizzata a “bloccare”  le azioni promosse all’estero, in quanto la pretestuosità sarebbe dovuta essere eccepita dalla  stessa parte invece rimasta contumace).

Massime precedenti Vedi Sezioni Unite: N. 2951 del 2016

La sentenza della Corte di legittimità sopra indicata  si muove nel solco giurisprudenziale ormai consolidato dell’abuso del diritto, istituto giuridico inteso nel senso di una forma anomala dell’esercizio del diritto che si realizza allorchè il suo titolare, senza servire ad alcun concreto interesse di giustizia, si serva del diritto stesso per mere finalità strumentali, al fine di eludere una sentenza di condanna riportata nel corso del primo giudizio. La particolarità della decisione risiede nel fatto che, nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha evidenziato la sussistenza dell’abuso con conseguente liquidazione del danno in favore della controparte anche in assenza di una specifica eccezione della parte appellata, rimasta contumace e senza che peraltro, ci  sia stata  domanda di liquidazione del danno da parte di quest’ultimo. In questi casi, il giudice procede alla determinazione del danno in via equitativa  che viene collegato ad un comportamento processuale improntato a slealtà processuale, sanzionabile d’’ufficio dal giudice per salvaguardare finalità pubblicistiche. E’ la definitiva conferma nel nostro ordinamento della configurabilità del danno punitivo,  istituto giuridico tipico dell’ordinamento statunitense (e più in generale, seppur in maniera più o meno radicata, dei paesi di Common Law), che prevede per il danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto a quello strettamente necessario a ristorare il pregiudizio subito. Esso spetta ogniqualvolta si dimostri che l’azione del danneggiante è stata posta in essere con dolo o colpa grave e, per tale ragione, coniuga in sé la funzione risarcitoria e quella punitiva tipica, generalmente, dell’ordinamento penale. In questo caso  l’ipotesi di responsabilità aggravata di cui all’art. 88 c.p.c. viene fatta discendere da un comportamento processuale scorretto improntato a mala fede o a colpa grave accertato dal giudice  in conseguenza di una palese infondatezza della pretesa o di un’evidente contrarietà al diritto vivente o alla giurisprudenza consolidata.

Sezioni Unite – Ordinanza n.22433 del 21/09/2018 Presidente: SCHIRO’ STEFANO. Estensore: FRANCESCO ANTONIO  GENOVESE. Relatore: FRANCESCO ANTONIO GENOVESE. G. (USAI ROBERTO) contro R. Regola giurisdizione 131026 PROCEDIMENTI SOMMARI  D’INGIUNZIONE – DECRETO – OPPOSIZIONE – COMPETENZA Opposizione fondata sull’esistenza di una clausola di arbitrato internazionale – Regolamento preventivo di giurisdizione – Esclusione della giurisdizione italiana – Effetti – Nullità del decreto ingiuntivo

In  tema di  opposizione  a  decreto  ingiuntivo,  quando  all’esito  del  regolamento  preventivo  di  giurisdizione sia stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice nazionale, si determina una improseguibilità del giudizio di merito, in quanto il giudice italiano, pure avendo avuto il potere  di adottare il provvedimento poi opposto, non ha più quello di decidere la relativa controversia, se non limitandosi a dichiarare la nullità del ridetto decreto monitorio.

Le Sezioni Unite Civili hanno affermato i seguenti 3 principi di diritto:

«Il regolamento preventivo di giurisdizione, di cui all’art. 41 cod. proc. civ., è ammissibile, anche in pendenza di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo perché esso non resta escluso dall’emissione di tale decreto, che non costituisce decisione nel merito, ai sensi ed agli effetti dell’art. 41 cod. proc. civ.»;

«La deroga alla giurisdizione dello Stato, può farsi valere mediante il regolamento preventivo anche da un soggetto (nella specie società) avente sede nello Stato che sia stato convenuta davanti al Giudice ordinario nazionale e che invochi l’esistenza di un accordo derogatorio della competenza, in tal modo dimostrando uno specifico interesse ad agire con il regolamento, per escludere la giurisdizione nazionale davanti alla quale sia stato convenuto (sulla base dei generali criteri previsti dall’art. 3 della legge n. 218 del 1995) in ragione di un diverso criterio di collegamento esclusivo, quale è un valido accordo per arbitrato estero.»;

«In tema di regolamento di giurisdizione relativo ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, una volta accertato il difetto di giurisdizione del giudice nazionale si determina anche una improseguibilità del giudizio di merito, poiché, essendo radicalmente mancante il potere del giudice adito, questo pur avendo avuto, e perciò esercitato, quello di emettere il richiesto provvedimento, dal momento in cui è stato eccepito il proprio difetto di giurisdizione non ha più il potere di decidere della controversia, se non limitatamente alla declaratoria di nullità del decreto precedentemente rilasciato».

La pronuncia configura la possibilità di esperire il  regolamento preventivo di giurisdizione anche  da parte del convenuto residente in Italia nel caso in cui dia dimostrazione  di  uno specifico interesse ad agire,  tale ritenendosi sussistente quello di vedere affermata la carenza di giurisdizione del giudice italiano per avere le parti demandato la soluzione delle  future controversie ad  un arbitro internazionale  Trattasi di un’eccezione  alla regola generale sancita dalla Corte di legittimità al fine di  impedire la vanificazione della scelta arbitrale nei casi in cui   un soggetto italiano sia stato raggiunto da decreto ingiuntivo  cui essa si oppone per carenza di giurisdizione  del giudice italiano.