La regola d’informazione in ambito bancario è da considerarsi nevralgica affinché il principio della trasparenza possa trovare una prima e importante applicazione.

In generale, l’informazione sul contratto e sul suo contenuto serve a rendere il cliente consapevole di ciò che va a firmare.

Una precisazione di quelle che sono le caratteristiche principali dell’informazione viene prestata dal codice del consumo. L’art. 5, co. 3 dello stesso richiede che l’informazione data dal professionista al consumatore sia “chiara e comprensibile”. In virtù di un’interpretazione orientata al canone della buona fede oggettiva si può ritenere che questo comma possa divenire communis omnium, di modo che sia applicabile a qualsiasi tipo di cliente.

Ma cosa s’intende per chiarezza e comprensibilità? L’informazione è chiara quando è priva di ambiguità, mentre è comprensibile se il cliente è in grado di avere consapevolezza del contenuto del contratto. Se però la chiarezza può essere considerata da un punto di vista oggettivo, lo stesso non si può affermare per la seconda caratteristica. Essa, per essere efficace, necessita di essere parametrata al tipo di cliente cui la banca intende offrire il prodotto. Per questo la banca può prevedere informazioni differenziate per categorie omogenee di clienti o personalizzate per i singoli. A tal fine si parla anche di comprensione agevole. Per tratteggiarne la portata soccorre ancora la disciplina del consumatore. L’art. 123, co. 1, lett. f precisa che al cliente-consumatore debba essere reso noto, se possibile, l’importo totale dovuto alla banca, mentre il 125-bis, co. 1, richiede un’informazione chiara e concisa.

Tra le norme dedicate alla generalità dei clienti, l’art. 119, co. 1, postulava anche il carattere di completezza dell’informazione. Tale inciso è stato abrogato, ma tramite la clausola di buona fede, (che impone di rendere valide erga omnes le disposizioni sul consumatore) questo attributo non può ritenersi scomparso e deve, al contrario considerarsi tuttora imperante.

La regola dell’informazione dovuta dalla banca viene distinta a seconda che essa si collochi nella fase precontrattuale o in quella esecutiva.

Per quanto concerne la prima si possono richiamare gli articoli sopra citati del TUB e il 5, co. 3 del codice del consumo.

Un discorso a parte, nell’ambito delle trattative, merita la formazione del contratto. L’art. 117, co. 1, TUB sancisce due oneri a carico della banca predisponente: quello della forma scritta ad substantiam e di consegna al cliente di una copia del contratto. Si tratta di due obblighi congiunti e differenziati fra di loro, nel senso che in assenza dell’uno o dell’altro si verifica comunque la nullità contrattuale. In tale senso va letta la congiunzione “e” di cui al 117. Pertanto qualora la banca ometta di consegnare il contratto, quest’ultimo dovrà essere dichiarato nullo. Si tratta, in questo caso, di una nullità testuale e non virtuale, perché solo trasmettendo il contratto al cliente si potrà dire che sia stato rispettato il requisito della forma scritta (cfr l’art. 117, co. 3, che sancisce tale tipo di nullità).

Le informazioni durante l’esecuzione del contratto si scindono in due categorie: quella dovuta ex lege dalla banca (119, co. 1) e quella su richiesta (119, co. 4). La prima viene fornita dalla banca almeno una volta l’anno, mediante un supporto cartaceo. Essendo questo un dovere espresso della banca, che l’art. 119, co. 1, si limita a fissare nei confronti del cliente, ci si domanda se sia estensibile anche nei confronti di altri soggetti, come il fideiussore. L’ABF ha seguito due orientamenti contrapposti, negando da un lato tale obbligo, dall’altro riconoscendolo.

L’informazione a richiesta (119, co. 4) si manifesta più ampia. Essa consente al cliente, i suoi eredi o chi amministra i suoi beni di ottenere la documentazione inerente alle operazioni compiute negli ultimi dieci anni. Questa disposizione è interessante, perché non necessita di un titolo e deroga al 2725, co. 2, c.c.; ne deriva che, quando un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa solo quando esso è stato perduto per caso fortuito. L’art. 119, co. 4 non postula un titolo e pertanto viene ritenuto dalla dottrina come un ordine di esibizione stragiudiziale.

La regola d’informazione è strettamente connessa con quella di adeguatezza. Il già citato art. 125, co. 5, TUB, dispone che il finanziatore fornisca al consumatore chiarimenti adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Questo passaggio è centrale, perché anche un’informazione completa sull’offerta del prodotto bancario non la rende idonea a soddisfare i bisogni del cliente. L’offrire un prodotto adeguato s’inserisce all’interno della stessa diligenza professionale della banca. In particolare con riferimento alla “sana e prudente gestione” (art. 5 TUB).

Una delle ramificazioni principali della regola di adeguatezza è legata al credito responsabile. Basandosi sul testo del 124-bis, co. 1, TUB, che addossa alcuni oneri informativi sul cliente destinati alla banca, gli istituti di credito sono giunti a ribaltare la regola secondo cui l’informazione spetta a chi ha predisposto il contratto. Un’applicazione congiunta delle due regole consente di criticare questa ricostruzione. Il cliente non può e non deve essere considerato l’unica fonte di informazione, ma una di esse. Spetterà alla banca fare le opportune verifiche in caso ci siano dubbi sulla posizione debitoria del cliente.