Con sentenza n. 102 del 6/29 maggio 2020, in G.U. n. 23 del 3 giugno 2020, la Corte costituzionale:

  • ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione automatica dell’esercizio della responsabilità genitoriale
  • ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione, nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176;
  • ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 574-bis cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo.

Le questioni di costituzionalità  sopra descritte  sono state sollevate dalla Corte di cassazione, Sezione sesta penale, in relazione al ricorso presentato da un’imputata che aveva riportato condanna in entrambi i gradi di merito per avere eluso, in più occasioni, un provvedimento del Tribunale per i minorenni in ordine all’affidamento condiviso dei due figli minori e per avere sottratto i medesimi al padre, portandoli in Austria contro la volontà di quest’ultimo Oltre alla pena della reclusione, aumentata in appello in accoglimento del gravame del p.m., era stata disposta la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Secondo la Sezione rimettente, l’automatismo applicativo – anzitutto, nell’an – discendente dalle disposizioni censurate in relazione alla pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale era da ritenersi incompatibile con il principio della preminenza degli interessi del minore in ogni decisione pubblica che lo riguarda, desumibile dagli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., nonché dall’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo.

Ulteriore e connesso profilo di contrasto si riteneva, altresì, sussistere fra il predetto automatismo – sia nell’an, sia nel quantum – ed il principio di proporzionalità ed individualizzazione della pena che scaturisce dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

La Corte costituzionale muove da un preciso inquadramento del contesto normativo in cui devono essere inserite  le disposizioni tacciate di incostituzionalità  e precisa che l’oggetto della censura attiene  esclusivamente al terzo comma dell’art. 574-bis cod. pen., nella parte in cui prevede come conseguenza automatica della condanna la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale a carico del genitore che abbia commesso il delitto di sottrazione o trattenimento di minore all’estero in danno del figlio minore, restando del tutto ininfluente la previsione generale di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen. (che prevede che il quantum di durata della pena accessoria sia pari al doppio della pena principale inflitta), dal momento che l’estensione del sindacato di costituzionalità anche a tale seconda norma sui profili dell’automatismo nell’an della pena accessoria sarebbe, per un verso, inutile e, per un altro, eccedente rispetto agli scopi dell’ordinanza di rimessione, tanto più che tale profilo non era stato nemmeno oggetto di censura da parte dell’imputata.

Così delineato il perimetro delle questioni, all’attenzione critica dei giudici delle leggi è stata dichiarata l’inammissibilità della censura formulata in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo; inammissibilità argomentata in coerenza con la costante giurisprudenza della Corte, secondo la quale le «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» cui l’ordinamento italiano si conforma ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost. sono soltanto quelle del cosiddetto diritto internazionale generale, certamente comprensivo delle norme consuetudinarie (cfr. le sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 168 del 1994), ma con esclusione del diritto internazionale pattizio (fra tutte, cfr. le sentenze n. 224 del 2013, n. 113 del 2011, nonché le nn. 348 e 349 del 2007); ne deriva che la citata Convenzione, come la generalità del diritto internazionale pattizio, vincola piuttosto il potere legislativo ai sensi e nei limiti di cui all’art. 117, primo comma, Cost., (il richiamo va alle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 e, con più specifico riguardo alla Convenzione sui diritti del fanciullo, alla decisione n. 7 del 2013), anche se la Corte non esclude che dette fonti pattizie possano valere quale strumento interpretativo delle corrispondenti garanzie costituzionali, tra le quali in particolare gli artt. 2, 30 e 31 Cost., specificamente evocati in sede di rimessione.

Il profilo di merito viene, così, circoscritto a quello sopra enucleato sub a), rispetto al quale – puntualizza la Consulta – le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., sono state declinate dal giudice a quo sotto un triplice profilo: la norma, invero, a) imporrebbe al giudice penale di irrogare la sanzione accessoria in esame anche allorché ciò sia contrario all’interesse preminente del minore; b) violerebbe il diritto del minore di mantenere relazioni con entrambi i genitori; c) introdurrebbe un automatismo incompatibile con la necessità di una valutazione caso per caso dell’adozione di un provvedimento che riguarda direttamente il minore.

Sono pertanto stati ritenuti pertinenti i richiami agli articoli 30 e 31 Cost.: il primo comma dell’art. 30, in particolare, nel sancire il dovere dei genitori di «educare» i figli, «non può che presupporre il correlativo diritto del minore a essere educato da entrambi i genitori; ciò che necessariamente implica il suo diritto a vivere con loro una relazione diretta e personale, salvo che essa risulti in concreto pregiudizievole per i suoi interessi».

E’ interessante notare come la Corte offra ampio riconoscimento alla matrice internazionale del principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere attribuito rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell’ “interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, per arrivare all’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo ed all’art. 24, comma 2, CDFUE; tale principio costituisce, altresì, «contenuto implicito del diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. Grande Camera, sentenza 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk contro Svizzera, paragrafi da 49 a 56 e 135; Grande Camera, sentenza 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 96; sezione terza, sentenza 19 settembre 2000, Gnahoré contro Francia, paragrafo 59)».

Altrettanto palese è la penetrazione di tale principio sia fra i canoni interpretativi del predetto art. 30 Cost. dal momento che in  tutte le decisioni concernenti il minore deve essere  sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”» (sentenza n. 11 del 1981), sia «come incorporato altresì nell’ambito di applicazione dell’art. 31 Cost. (…), il cui contenuto appare dunque arricchito e completato da tale indicazione proveniente dal diritto internazionale (sentenza n. 187 del 2019)».

Analoghe considerazioni sono riservate al diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori; diritto sancito, a livello di legislazione ordinaria, dagli artt. 315-bis, primo e secondo comma, nonché 337-ter, primo comma, cod. civ., oltre ad essere affermato da diversi strumenti internazionali e dell’Unione europea, fra cui l’art. 8, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, che riconosce il diritto del minore alle proprie «relazioni familiari»; il successivo art. 9, comma 1, impone agli Stati parte di vigilare «affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo»; ed il comma 3 del medesimo art. 9 ulteriormente sancisce il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi, a meno che ciò non sia contrario al suo interesse preminente; previsione ribadita dall’art. 24, comma 3, CDFUE. La stessa Corte EDU, nell’interpretare l’art. 8 CEDU, riconosce il diritto di ciascun genitore e del minore a godere di una «mutua relazione» (ex multis, Corte EDU, Grande Camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, par. 202; sezione prima, sentenza 28 aprile 2016, Cincimino contro Italia, par. 62).

Pertinente è anche, per la Corte, il riferimento all’art. 2 Cost., in quanto i diritti del minore, anche sul piano relazionale, su cui fa perno l’ordinanza di rimessione sono senz’altro riconducibili ai «diritti inviolabili dell’uomo» riconosciuti e garantiti dalla Repubblica; né è contestata la correttezza del riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevole equiparazioni di trattamento di situazioni differenziate insita nell’automatismo applicativo della sanzione in esame.

Le questioni di legittimità, così come  precisate quanto all’oggetto ed ai parametri, sono state  ritenute fondate dalla Corte.

Snodo essenziale del ragionamento estrinsecato nella decisione è il riconoscimento che «il carattere intrinsecamente offensivo del delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen. rispetto allo stesso interesse del minore non basta a giustificare – al metro dei parametri costituzionali evocati – l’automatica applicazione della pena accessoria in questione in caso di condanna a pena non sospesa». Invero, il dato saliente e assolutamente peculiare è costituito dal fatto che tale pena accessoria, incidendo sulla relazione genitore-figlio, «colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista». Ciò accade, come puntualmente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, de iure e non meramente de facto.

La sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, infatti, comporta non solo la perdita temporanea della rappresentanza legale del figlio nei rapporti patrimoniali, ma, assai più drasticamente, la privazione, per tutto il tempo della sospensione, «dell’intero fascio di diritti, poteri e obblighi inerenti al concetto legale di “responsabilità genitoriale”, con conseguente venir meno di ogni potere di assumere decisioni “per” il figlio, comprese quelle che attengono alle sue necessità di vita quotidiana» Una situazione, questa, che la Corte riconosce come idonea a rendere oggettivamente più difficile la stessa relazione con il minore, rischiando così di danneggiare primariamente quest’ultimo, in violazione, tra l’altro, dello stesso principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.

Non disconosce, per il vero, la sentenza che la tutela del diritto del minore di intrattenere regolarmente relazioni e contatti personali con il genitore non può che cedere allorché proprio la prosecuzione di tale rapporto sia contraria all’interesse preminente del figlio (art. 9, comma 1, Conv. sui diritti del fanciullo e art. 24, comma 3, CDFUE); nondimeno, resta irragionevole presumere che la sospensione dalla responsabilità genitoriale dell’autore del delitto de quo «costituisca sempre e necessariamente, come pare presupporre il legislatore, la soluzione ottimale per il minore».

L’irragionevolezza emerge chiaramente sia guardando al variegato e affatto uniforme contenuto di concreta offensività dei fatti riconducibili al paradigma dell’art. 574-bis cod. pen., considerato sia nel rapporto fra le distinte fattispecie riconducibili ai diversi commi (la sospensione della responsabilità genitoriale è prevista tanto per le ipotesi di cui al primo comma, più severamente sanzionate, quanto per quelle più lievi di cui al secondo comma, caratterizzate dal consenso del minore ultraquattordicenne alla condotta illecita del genitore), sia muovendosi all’interno del catalogo di condotte riconducibili sotto l’egida del primo comma (la Corte, esemplificando, richiama il caso non infrequente, in cui, in contesti di elevata conflittualità familiare, un genitore straniero conduca all’estero o ivi trattenga oltre il termine consentito il minore, ritenendo che la condotta dell’altro genitore sia pregiudizievole per il minore stesso; elementi certamente inidonei a giustificare il fatto, ma tali da non escludere geometrico more il mantenimento del rapporto tra il suo autore e il minore).

E tuttavia, annota la Corte, il problema principale determinato dall’automatismo applicativo della pena accessoria di cui si discorre è ancora un altro: esso consiste «nella cecità di questa conseguenza – concepita in chiave sanzionatoria dal legislatore – rispetto all’evoluzione, successiva al reato, delle relazioni tra il figlio minore e il genitore autore del reato medesimo». Qui la sentenza riconosce esplicitamente che l’applicazione della pena accessoria in esame potrà giustificarsi solo ove risponda in concreto all’interesse del minore, vale a dire soltanto nel caso in cui la prosecuzione della relazione tra il figlio e il genitore risulti in concreto pregiudizievole per il primo (cfr. gli artt. 8, comma 1, e 9, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo; art. 24, comma 3, CDFUE), secondo una valutazione ad ampio spettro da condursi sulla base delle circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione: quindi, tenendo conto anche di «tutto ciò che è accaduto dopo il fatto da cui è scaturita la responsabilità penale del genitore».

Il coerente edificio argomentativo eretto dalla Corte viene cementato da una riflessione di chiusura, che ancor più enfatizza, se possibile, la carenza di ragionevolezza – incompatibile con tutti i parametri costituzionali sopra indicati. Viene , in particolare evidenziato come il  ferreo automatismo previsto dalla disposizione censurata comporta che la pena accessoria in esame è destinata ad essere, inesorabilmente, eseguita solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ossia spesso a molti anni di distanza dal fatto, in stridente contrasto con l’ampio margine di discrezionalità che pure, prima di tale momento, l’ordinamento offre alle diverse autorità giurisdizionali che si succedono nel corso del procedimento penale in ordine all’adozione in via cautelare della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, il cui contenuto, per giunta, è opportunamente modulabile sensi dell’art. 288, comma 1, cod. proc. pen.

E’ allora necessario, secondo la Corte, sostituire il censurato automatismo con il potere-dovere del giudice penale di valutare caso per caso se l’applicazione della pena accessoria in questione costituisca in concreto la soluzione ottimale per il minore, sulla base della «situazione esistente al momento della pronuncia della sentenza di condanna – e dunque tenendo conto necessariamente anche dell’evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato». In tale dimensione ricostruttiva, la Corte precisa che la declaratoria di illegittimità costituzionale riguarda le specifiche ipotesi di condanna per il delitto di sottrazione e trattenimento di minori all’estero considerate dal citato art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., non l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen.; norma, quest’ultima, di per sé non interessata dalla pronuncia in commento.

Corollario della pronuncia e del suo fondamento dimostrativo, è l’assorbimento della questione di legittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, citato in riferimento al principio di proporzionalità della pena di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

In chiusura di una sentenza articolata ed approfondita, resta alla Corte lo spazio per invitare il legislatore ad una riflessione sulla questione «se il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda, quale è l’applicazione di una pena accessoria che incide sul suo diritto a mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, ferma restando comunque la necessità di assicurare un coordinamento con le autorità giurisdizionali – tribunale per i minorenni o, se del caso, tribunale ordinario civile – che siano già investite della situazione del minore». Ciò anche nell’ottica di assicurare il rispetto delle puntuali previsioni di matrice convenzionale – come l’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo e gli artt. 3 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli – filtrate anche in disposizioni dell’ordinamento interno, fra cui gli artt. 336-bis e 337-octies cod. civ. – che impongono di sentire il minore che abbia un discernimento sufficiente, e di tenere in debito conto la sua opinione, in relazione a tutte le decisioni che lo riguardano.