La proprietà pubblica, che riceve un avallo costituzionale dall’art. 42 della Costituzione, comprende i beni che appartengono al patrimonio dello Stato e degli enti pubblici territoriali, i quali si distinguono in beni demaniali, beni patrimoniali disponibili e beni patrimoniali indisponibili.

E’ l’Agenzia del demanio l’amministrazione deputata per legge a individuare e catalogare i beni demaniali e i beni facenti parte del patrimonio dello Stato, siano essi disponibili o indisponibili, con decreti dirigenziali, che sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e che, con orientamento oramai univoco, hanno un effetto meramente dichiarativo.

Ognuna delle categorie dei beni pubblici sopra individuate è caratterizzata da uno specifico regime giuridico. I beni che fanno parte del demanio pubblico, sia esso necessario (come quello marittimo, idrico e militare), sia esso accidentale o eventuale ricomprende beni che non sono naturalmente di proprietà pubblica. Essi acquistano carattere demaniale solo se divengano di proprietà degli enti pubblici territoriali, quali strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti) sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritto a favore di terzi, se non nei casi espressamente previsti dalla  legge.

I beni naturali diventano demaniali con la nascita, mentre per i beni artificiali occorre, oltre alla loro venuta ad esistenza anche l’atto di destinazione all’uso pubblico. I beni patrimoniali indisponibili  sono elencati nell’art. 826 c.c. (solo a titolo di esempio, le foreste, le miniere, le cose di interesse storico-archeologico) e sono destinati ad un pubblico servizio e non possono essere alienati o comunque sottratti alla loro destinazione se non attraverso le modalità stabilite dalla legge che li riguarda. E’ stato pure affermato che i beni patrimoniali indisponibili sono soggetti ad usucapione se per il tempo utile ad usucapire non sia stato posto in essere alcuna atto concreto di utilizzazione del fondo per scopi pubblici. Più in particolare, se il regime di incommerciabilità dei beni demaniali comporta la nullità di eventuali atti dispositivi degli stessi per impossibilità dell’oggetto ai sensi dell’art. 1418 c.c. (fatte salve alcune eccezioni per i beni che presentano un interesse storico, archeologico e artistico, che possono essere venduti, previa specifica autorizzazione, parchè sia mantenuta una destinazione d’uso compatibile), con specifico riferimento ai beni patrimoniali indisponibili non vale il divieto di alienazione.

Questi beni, infatti, sono commerciabili, pur essendo gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico. La condizione necessaria per la commerciabilità è, in ogni caso, la sdemanializzazione, ossia il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato, con conseguente cessazione dell’assoggettamento dei beni medesimi al regime giuridico dell’incommerciabilità.  L’art. 829 c.c., al riguardo, prevede che il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio «deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa» e che dell’atto sia dato «annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Poiché nulla si dice in ordine alla efficacia dichiarativa o costitutiva della dichiarazione di sdemanializzazione, qualche autore ammette anche forme di sdemanializzazione tacite e per facta concludentia.

Negli ultimi anni, lo Stato ha attuato una politica di privatizzazione degli immobili dello Stato che richiede da un lato la riconduzione dei beni pubblici al regime di disponibilità dei beni e dall’altro all’individuazione di regole dirette a stabilire le modalità di alienazione. In questo ambito una parte della dottrina ha differenziato tra beni pubblici demaniali e beni pubblici patrimoniali indisponibili, mentre altra parte della dottrina, seguita anche dalla giurisprudenza, ha voluto superare tale dicotomia e parlare esclusivamente di beni che hanno una «pubblica destinazione», nel senso che può essere venduto ciò che non è più utile ai fini pubblici.

Alcune disposizioni, per esempio, hanno consentito la sottoscrizione di quote di fondi immobiliari mediante l’apporto di beni immobili o di diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato o la cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.

Tanto premesso, va evidenziato che la procedura di evidenza pubblica è quella che la P.A. è tenuta a seguire per giungere alla stipula di un contratto di diritto privato e, per quel che rileva in questa sede, un contratto di alienazione. E’ utile precisare, infatti, che la P.A. può perseguire i propri fini o facendo ricorso ai poteri autoritativi o mediante l’uso di strumenti di diritto privato e fra questi la stipula di contratti di diritto privato. In tale veste, tuttavia, la P.A., che rimane sempre soggetta ai principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., deve porre in essere una serie di atti procedimentali, improntati a trasparenza e pubblicità, diretti ad evitare trattamenti preferenziali nei confronti dei soggetti contraenti.

Il settore di pertinenza è quello dei contratti di appalto e, in genere, tutti i settori in cui la P.A. stipula un contratto di diritto privato e come già detto anche il settore delle alienazioni dei beni pubblici.

In generale la procedura ad evidenza pubblica consta di diverse fasi che comprendono la decisione di stipulare un contratto; la pubblicazione dell’avviso o della lettera di invito contenente l’indicazione dell’oggetto del contratto e i requisiti di ammissione per partecipare alla selezione, oltre i criteri di scelta tra le varie offerte pervenute; l’esame delle domande di partecipazione e la comparazione delle diverse offerte; l’approvazione della graduatoria finale ed, infine, la stipula del contratto.

Questi principi trovano anche una matrice europea nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che impone alla P.A. la scelta del contraente tramite l’espletamento di una procedura comparativa ad evidenza pubblica, nel rispetto del principio della concorrenza, oltre che della parità di trattamento e di  non discriminazione.

Anche la Commissione europea ha affermato l’importanza dei principi di evidenza pubblica e la loro applicazione diretta e self-executing perché ricavabili direttamente dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Coerentemente con quanto affermato in sede europea anche il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti hanno affermato che i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto il trasferimento di beni pubblici devono svolgersi con le procedura di evidenza pubblica e con modalità tali da agevolare una trasparente e non discriminatoria competizione tra i soggetti  che vi partecipano.

Con specifico riguardo alla vendita, la fonte normativa che regola la fattispecie giuridica in esame è la legge sulla contabilità di Stato (R.D. n. 2440/1923) e il regolamento che ne disciplina la procedura (R.D. n. 827/1924).

Il legislatore afferma che i contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con il regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata (art. 3 del r.d. n. 2440/1923).

La stessa legge consente il ricorso alla trattativa privata quando, per speciali ed eccezionali circostanze, che dovranno risultare nel decreto di approvazione del contratto, non possano essere utilmente seguite le forme indicate nell’art. 3, oppure quando gli incanti e le licitazioni già esperite siano andate deserte o si abbiano fondate prove per ritenere che ove si sperimentassero andrebbero deserte (art. 6 del r.d. n. 2440/1923). In base alle norme richiamate, l’asta pubblica costituisce, quindi, la forma principale, per la vendita dei beni pubblici; tuttavia, il legislatore da più di un decennio è intervenuto con modifiche normative al fine di incentivare le dismissioni del patrimonio immobiliare e allo scopo di rinvenire maggiori risorse finanziarie. Le forme messe in atto sono state quella dell’alienazione diretta e quella della costituzione di società, cui è stata affidata la gestione e l’alienazione degli immobili delle amministrazioni (le cosiddette società per la cartolarizzazione, esperienza tuttavia non più perseguita dal legislatore).

Con riferimento all’alienazione diretta, un ruolo importante è svolto dall’Agenzia del demanio che può alienare i beni immobili di proprietà dello Stato, che non formano oggetto delle procedure di dismissione speciali, singolarmente o in blocco, mediante trattativa privata o asta pubblica ovvero invito pubblico ad offrire a seconda del valore unitario o complessivo del bene posto in vendita (400 mila euro). L’Agenzia del demanio stabilisce poi le modalità di presentazione delle offerte, le forme di pubblicità e l’aggiudicazione che può avvenire a favore dell’offerta più alta rispetto al prezzo di base ovvero, nelle procedure ad offerta libera, a favore dell’offerta migliore, previa valutazione della sua convenienza economica sulla base dei valori indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento e avuto riguardo alla tipologia di immobile e all’andamento del mercato.

Le regioni e gli enti locali territoriali, sul cui territorio si trovano gli immobili oggetto di vendita, possono esercitare il diritto di opzione all’acquisto entro quindici giorni dalla comunicazione della vendita o il diritto di prelazione all’acquisto nel caso di vendita con procedure ad offerta libera.

L’Agenzia può fare ricorso alla trattativa privata quando oggetto di vendita sono quote indivise di beni immobili, fondi interclusi e diritti reali su immobili di cui è titolare lo Stato.

In questo caso, è necessaria l’autorizzazione, con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, e il prezzo di vendita viene stabilito secondo criteri e valori di mercato, tenuto conto della particolare condizione giuridica dei beni e dei diritti.

Il legislatore ha, poi, previsto ulteriori ipotesi di alienazione diretta, per esempio per le aree appartenenti al patrimonio o al demanio dello Stato, interessate dallo sconfinamento di opere eseguite entro il 31 dicembre 2002 su fondi attigui di proprietà altrui o per gli alloggi di proprietà pubblica e per gli alloggi di proprietà pubblica.

Con specifico riguardo alla vendita degli alloggi di proprietà pubblica, il legislatore ha stabilito espressamente che non trova applicazione la nullità prevista al secondo comma dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in caso di immobili abusivi), e che, nell’ipotesi in cui l’immobile può essere sanato, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento.

Altre norme sono dettate con riferimento alla vendita di immobili ad uso non prevalentemente abitativo appartenenti al patrimonio pubblico. In questi casi sono state previste modalità di vendita di natura «straordinaria» aventi lo scopo di introitare maggiori risorse finanziarie.

L’Agenzia del demanio è autorizzata a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i predetti immobili, con il divieto, tuttavia, di vendere a società la cui struttura non consente l’identificazione delle persone fisiche o delle società che ne detengono la proprietà o il controllo bene

E’, inoltre, vietato, a pena di nullità dell’atto di trasferimento, l’utilizzo di società anonime, aventi sede all’estero e sono esclusi dalla trattativa privata i soggetti condannati, con sentenza passata in giudicato, per reati fiscali o tributari.

Proprio la finalità di finanza pubblica giustifica alcune agevolazioni previste dalla legge in materia di diritto di prelazione, di consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni; di regolarità urbanistica-edilizia; di domanda di sanatoria, di attestato di prestazione energetica e di esenzioni fiscali.

Merita, in ultimo, qualche considerazione la fase della stipulazione.

Già si è detto che le principali fasi della procedura ad evidenza pubblica sono la deliberazione a contrarre, la scelta del contraente, la stipulazione del contratto e l’approvazione del contratto stipulato

Con specifico riferimento alla stipulazione del contratto, l’organo deputato a tale attività, in seguito all’emanazione del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è il direttore responsabile delle Direzioni territoriali dell’Agenzia medesima, mentre la forma è quella scritta ad substantiam.

Dopo la stipulazione, il contratto deve essere approvato nei modi di legge.

L’approvazione è un controllo interno che concerne sia i profili di legittimità, che i profili di merito ed è di competenza del dirigente che ha la rappresentanza dell’amministrazione; assume la forma del decreto dirigenziale ed è l’atto dal quale scaturiscono due effetti negoziali: l’obbligatorietà e l’esecuzione, ovvero da quel momento le pattuizioni negoziali sono obbligatorie anche per la pubblica amministrazione e le prestazioni contrattuali possono essere eseguite.

Il decreto di approvazione del contratto è, in ultimo, sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei Conti.