Ai sensi dell’art. 40 c.p., rubricato “Rapporto di causalità”, nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione o omissione. In maniera analoga, l’art. 2043 c.c., rubricato “Risarcimento per fatto illecito”, dispone che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Ebbene, la causalità penale e quella civile presentano differenze, ma anche alcune interferenze. In primo luogo, sia che si tratti di responsabilità penale, sia che si tratti di responsabilità civile, l’evento dannoso dev’essere conseguenza dell’azione o dell’omissione colpevole dell’agente. In secondo luogo, come in ambito penale opera il principio della personalità della responsabilità, sancito dall’art. 27 Cost., e perimetrato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988, la quale ha dichiarato incostituzionale l’art 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della legge penale l’ignoranza inevitabile, così in ambito civile la responsabilità extracontrattuale rinvia ai criteri fissati dagli articoli 40 e 41 c.p.

Ecco, quindi, che possono ravvisarsi le prime interferenze tra causalità penale e civile: entrambe sono rette dai criteri fissati dagli art. 40 e 41 c.p., per mezzo dei quali il legislatore indica come la punibilità di un evento dannoso dipenda dalla sussistenza di un nesso di causalità tra condotta umana ed evento, non solamente ed esclusivamente di natura materiale, ma, alla luce dell’art. 27 Cost., e delle sentenza n. 364 del 1988, anche e soprattutto psichico, dovendo il fatto, per essere punibile in ambito penale e risarcibile in ambito civile, essere imputabile ad un soggetto secondo i coefficienti soggettivi del dolo, o quanto meno della colpa. Invero, nella responsabilità penale il legislatore punisce il colpevole che abbia agito anche con preterintenzione, ovvero mediante un coefficiente soggettivo che dottrina e giurisprudenza hanno definito, dapprima, come dolo misto a responsabilità oggettiva e, infine, come dolo misto a colpa.

Nella responsabilità aquiliana non è previsto che l’evento dannoso sia imputabile per preterintenzione, anche se dottrina e giurisprudenza riconoscono che il rinvio implicito della responsabilità aquiliana all’art. 40 e 41 c.p., debba intendersi fatto anche all’art. 43, secondo comma, c.p.

Peraltro, al di là della natura che si voglia attribuire al coefficiente psichico della preterintenzione, in merito a cui si ritiene di non doversi discostare dall’orientamento pretorio prevalente, che interpreta la preterintenzione come una ipotesi di dolo misto a colpa, la questione dell’ammissibilità della responsabilità oggettiva deve essere affrontata in modo diverso tra responsabilità penale e civile.  Se da un lato, siffatta responsabilità è stata ampiamente negata in ambito penale, non potendo punirsi il soggetto cui venga imputato un fatto antigiuridico per un mero nesso di causalità materiale, poiché  in contrasto al principio di personalità della responsabilità penale, oltre che inammissibile alla luce della funzione di prevenzione generale e speciale del precetto penale, ed in contrasto alla funzione rieducativa della pena, la quale non potrebbe in alcun modo essere accettata dal presunto reo se non ancorata a chiari elementi di colpevolezza, dall’altro lato, ovvero in ambito civile, essa è ritenuta chiaramente ammissibile, rinvenendosi ipotesi speciali di responsabilità oggettiva tra le fattispecie di responsabilità extracontrattuale tipizzate, quali ad esempio gli articoli 2049 e 2051 c.c

Il nesso eziologico in ambito penale si distingue da quello civile per l’alto grado di credibilità razionale e probabilità logica, cui deve giungere il giudizio inferenziale dell’interprete per poter dichiarare la penale responsabilità del reo. È noto, infatti, che la legge di copertura da applicare al caso di specie deve consentire all’interprete di accertare la responsabilità del reo alla luce del cosiddetto principio B.A.R.D. (beyond any reasonable doubt), ovvero oltre ogni ragionevole dubbio e, quindi, con un grado di probabilità controfattuale prossima alla certezza; diversamente l’imputato dovrà essere assolto ai sensi del comma secondo dell’art 530 c.p., poiché manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile. Nella responsabilità civile il nesso causale tra la condotta dolosa o colposa dell’agente e l’evento dannoso contra ius dev’essere accertato secondo il principio della preponderanza dell’evidenza, ovvero del cosiddetto ‘più probabile che non’, ovvero secondo un criterio probabilistico non prossimo alla certezza, ma che superi almeno il cinquanta per cento in base alla legge di copertura applicata.

In merito, poi, alle implicazioni processuali poste dai diversi ambiti di responsabilità, la necessità di dover fornire una prova più forte del nesso eziologico in ambito penale, con inferenza della colpevolezza e della verificazione dell’evento mediante un elevato grado di probabilità logica e credibilità razionale, richiede un’istruttoria adeguata, anche alla luce della più puntuale applicazione nel processo penale dei principi chiovendiani di oralità, concentrazione e immediatezza.  Peraltro, non si può sottacere come i regimi processuali dell’accertamento delle responsabilità  penale e civile siano sottoposti non solo a diverse modalità di accertamento, ma altresì a diversi termini prescrizionali.

Se da un lato, nel processo penale le prove sono formate avanti il giudice in un dibattimento che riveste prevalentemente forma orale, dall’altro, il processo civile è un processo che si sviluppa per fasi e per atti scritti: la proposizione di domande, deduzioni ed eccezioni è sottoposte a termini decadenziali e prescrizionali ben precisi, con loro introitazione mediante forma scritta.

In particolare, si precisa che, se da un lato l’azione per ottenere il risarcimento del danno derivante da responsabilità aquiliana si prescrive nel termine di cinque anni, ai sensi dell’art.2947 c.c., dall’altro, la responsabilità penale, sia essa accertabile mediante la procedibilità ex officio, o previo deposito di querela di parte, si prescrive nei termini fissati dal legislatore e parametrati alla gravità del reato, ovvero alla misura della pena edittale applicabile.

Nell’ipotesi in cui il fatto illecito contra ius, di aquiliana rilevanza, integri anche un fatto antigiuridico, l’art. 2947, terzo comma, c.c., prevede che il termine di prescrizione del reato si applichi anche all’ azione avviata, ai sensi dell’art. 2043 c.c., in un separato giudizio civile, ovvero mediante la costituzione di parte civile nel processo penale, da realizzarsi tramite il deposito di idonea dichiarazione entro l’apertura del dibattimento. Entrando ora nel fuoco della trattazione, si sottolinea come, in relazione ai reati omissivi colposi, il nesso eziologico si atteggi in maniera specifica rispetto a quanto previsto dall’art. 40, primo comma, c.p.

È opportuno specificare come per i reati omissivi propri, quali il delitto di omissione di soccorso, previsto e punito dall’art. 593 c.p., il nesso eziologico, da accertarsi secondo il principio B.A.R.D., si realizza se il soggetto agente, pur avendo in concreto la possibilità e la capacità di agire, ometta di intervenire. Nell’omissione di soccorso è punito chiunque, avendo trovato abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, ometta di darne immediato avviso all’autorità, ovvero, avendo trovato un corpo umano che sia o sembri inanimato, piuttosto che una persona ferita o altrimenti in pericolo, ometta di prestare l’assistenza necessaria o di darne avviso all’autorità. In siffatta fattispecie il nesso causale è provato, oltre ogni ragionevole dubbio, se si accerta che il soggetto, ben consapevole della situazione di fatto e in grado di adempiere il precetto della norma, abbia scientemente omesso di eseguire l’azione prescritta dal legislatore all’art. 593 c.p.

Per converso, i reati omissivi impropri, ovvero quelli che si configurano quale fattispecie complessa frutto della combinazione dell’art. 40, secondo comma, c.p., con un reato commissivo di parte speciale, il nesso eziologico sussiste se il soggetto, ben consapevole dell’obbligo giuridico cui è tenuto, per legge o per obbligazione paritetica, ometta di adempiere il dovere cui è tenuto.

Ecco allora, che nel caso di soggetto che sia titolare di una posizione di garanzia, quale, ad esempio, l’assistente bagnanti nei confronti degli utenti di una piscina che ometta di prestare l’assistenza cui è tenuto dal suo ruolo, contrattualmente assunto, incorrerà nella responsabilità omissiva mediante commissione; ad esempio, se non fornisca l’assistenza salvifica pur avendone in concreto la possibilità, egli incorrerà in omicidio e non in omissione di soccorso.