I principi ispiratori dell’affidamento ed esecuzione di opere e lavori pubblici con particolare riguardo ai limiti posti dal legislatore alla discrezionalità della p.a. nell’adozione dei bandi di gara

di Alberto Parmentola

Il bando di gara è un atto amministrativo generale mediante il quale l’amministrazione indice una procedura di scelta del contraente; esso è dunque un atto a rilevanza esterna, con il quale la p.a. comunica la propria intenzione di addivenire alla stipula di un contratto che contenga gli elementi essenziali già stabiliti nella determinazione a contrarre. Il bando è rivolto in incertam personam e deve dunque essere pubblicato con modalità tali da essere conosciuto da una pluralità di persone indeterminate, anche a mezzo della Gazzetta Ufficiale dell’UE se di rilevanza comunitaria. Il bando  non è  necessario laddove tale pubblicazione non sia richiesta, come nelle procedure negoziate senza bando, caratterizzate dall’esistenza di un solo contraente possibile o dalla somma urgenza, oppure nel caso di contratti di valore inferiore a € 40.000; inoltre, esso non è richiesto nelle procedure competitive con negoziazione e nelle procedure ristrette, che possono essere precedute da un mero avviso di preinformazione antecedente di non più di 12mesi, che già contenga gli elementi essenziali del contratto e l’avviso che non si procederà alla pubblicazione della gara. Il bando, in quanto attuazione dell’indirizzo politico, è atto di competenza dirigenziale e si accompagna alle specifiche tecniche, che pongono i requisiti tecnici del lavoro servizio o fornitura, e ai capitolati d’oneri, che ne  pongono le condizioni contrattuali.

Tutto ciò premesso, occorre evidenziare che la dottrina si è divisa circa la natura giuridica del bando di gara. Una prima ipotesi l’ha assimilato agli istituti civilistici dell’offerta al pubblico e dell’invito a proporre. Il primo è atto unilaterale con il quale un soggetto formula un’offerta, anch’essa, come il bando, in incertam personam; essa, se dotata di tutti gli elementi essenziali del contratto, è capace di costituire vera e propria offerta contrattuale e integra perciò la conclusione del contratto, se seguita da accettazione. Se invece essa non è dotata di tutti gli elementi essenziali si parlerà di invito a proporre, ancora inidoneo a costituire offerta contrattuale, ma mero invito a terzi ad effettuare la proposta. Ciò che caratterizza questi istituti è la parità di forza delle parti, in quanto segmenti del procedimento di conclusione di un contratto fra soggetti equiordinati. La seconda ipotesi dottrinale, invece, è estranea agli istituti privatistici, atteso che riconosce alla p.a una posizione di sovraordinazione rispetto all’altro contraente. Il nuovo codice dei contratti pare rafforzare il contenuto autoritativo del bando, atteso che dispone, all’art. 34 co. 4, che è il bando medesimo a determinare il periodo nel quale l’offerta del privato rimane ferma: dunque, la p.a. a mezzo del bando è in grado di imporre all’offerente di mantenere ferma la proposta, cosa invece che mal si concilia con un rapporto privatistico, in cui l’apposizione di termine alla proposta è atto unilaterale  del proponente. Si segnala per completezza che la natura autoritativa della procedura di scelta del contraente è ciò che fonda la giurisdizione esclusiva del g.a., che, a mente della sentenza 204/2004 della Corte Costituzionale, non sarebbe ammissibile ove il procedimento non avesse natura amministrativa. Valorizzando dunque detta natura autoritativa occorre concludere che il bando di gara è atto amministrativo che, attesa la sua propensione in incertam personam, si  atteggia ad atto amministrativo generale. Esso comunque non è un regolamento in quanto i destinatari, anche se non individuati ex ante, sono determinabili perchè individuati ex post, successivamente alla presentazione delle offerte. Inoltre, il bando non ha natura normativa, erga omnes, in quanto ha efficacia limitata ad una particolare vicenda, la gara indetta. Escludere la natura di regolamento è foriero di importanti precipitati applicativi, fra cui, in modo particolare, l’impossibilità di disapplicazione.

L’autoritarietà del bando deve fondarsi su norme di legge. Infatti, il principio di legalità è ciò che caratterizza uno stato di diritto, in cui il potere pubblico non può modificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei cittadini ad libitum, come era invece consentito al potere regio nello stato assoluto, ma può farlo solo se autorizzato da una norma di legge, ossia da un atto del Parlamento, rappresentativo della Nazione intera. Se la p.a. agisce in assenza del potere attribuitole dalla legge il provvedimento sarà nullo, o addirittura inesistente, radicandosi la giurisdizione del g.o.; se invece la p.a. agisce in presenza di tale potere, ma violando le norme che lo regolano, il provvedimento sarà illegittimo e come tale annullabile dal g.a. Per vero, secondo una corrente che ha avuto successo soprattutto nella magistratura ordinaria, il provvedimento è da considerarsi emanato in carenza di potere anche quando la violazione della legge è talmente grave da violare le condizioni di esistenza del potere.

In tale ottica, la legge è fondamento e, al tempo stesso, limite della discrezionalità amministrativa. Infatti, ciò che caratterizza l’esecutivo come potere dello Stato è la possibilità di scelta fra alternative possibili, ossia la discrezionalità che, dato il primato della legge rispetto all’azione esecutiva, può esprimersi nell’alveo delle scelte  legislative, con gradazioni differenti a seconda delle caratteristiche  del dettato normativo . È la legge che si incarica di definire la gamma di scelte disponibili alla p.a., gamma che può essere vasta, con conseguente ampia discrezionalità, stretta o addirittura nulla, di fronte alle c.d. “norme totalizzanti”, nel cui caso il potere della p.a. sarà “vincolato”.

Il provvedimento emanato in presenza di potere discrezionale non è quindi annullabile per violazione di legge. Tuttavia, residua un sindacato del g.a. di fronte al potere discrezionale nelle forme dell’”eccesso di potere”: il provvedimento emanato di fronte ad un potere discrezionale sarà comunque illegittimo laddove esso sia espressione di un utilizzo distorto e sviato di detta discrezionalità.

Applicando dunque questi principi al caso del bando di gara, si può ravvisare come molte norme pongano limiti alla discrezionalità della p.a. , al punto tale  da non lasciare, in alcuni casi,  alcuna possibilità di scelta all’amministrazione. Tra queste, per esempio, la norma che impone di adottare, quale criterio di aggiudicazione, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, potendo ricorrere al criterio del prezzo più basso solo in ipotesi residuali.  Altre norme invece lasciano discrezionalità alla p.a. Si pensi per esempio alla necessità di rispettare i bandi-tipo predisposti dall’ANAC, salva congrua motivazione: in questo caso, non sarà possibile invalidare il bando che non abbia rispettato il tipo predisposto per violazione di legge, ma il vizio in cui invece potrebbe incorrere è quello dell’eccesso di potere, nella misura in cui un immotivato discostamento dal modello predisposto consiste in un cattivo uso della discrezionalità.

In ogni caso, la discrezionalità in materia di contratti pubblici  è di natura eminentemente tecnica deve essere esercitata nel rispetto di svariati principi, molti di origine comunitaria, oggi riassunti all’art. 30 d.lgs. 50/2016. E’ sicuramente di origine comunitaria il principio di proporzionalità, a mente del quale il contenuto del provvedimento deve essere misurato al suo scopo, non potendo incidere sulla sfera dei privati oltre quanto necessario per raggiungere la finalità sottesa. Il  principio di proporzionalità consiste in una guida, un principio ispiratore, della discrezionalità che ha la p.a.: ne consegue che un bando contenente clausole abnormi e sproporzionate allo scopo potrà essere invalidato per eccesso di potere.

Si segnala poi il principio di trasparenza, assurto a principio generale del diritto amministrativo con la L. 241/90, ma declinato con accenti diversi in materia di contratti pubblici, attesa la necessità di salvaguardare i segreti industriali involti nelle offerte presentate. Va infine valorizzato il principio di economicità, che però può essere subordinato  ad esigenze sociali,  quali la tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e a promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico.

Di particolare importanza è, infine, il principio di concorrenza, che può essere considerato il fondamento di tutta la normazione attuale dei contratti pubblici. Infatti, se in origine, con la legge di contabilità dello Stato del 1923, le procedure di gara erano finalizzate a garantire allo Stato il miglior contraente possibile in ottica di risparmio ed efficientamento, con l’avvento dell’integrazione europea l’attenzione si è spostata verso la garanzia di pari opportunità a tutti gli operatori economici in tutta l’Unione. Così, in uno col principio di non discriminazione, il principio di concorrenza fonda la necessità di una gara che renda uguali le possibilità di accesso al contratto a tutti gli operatori economici interessati

Precipitato del principio di concorrenza è il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione dalla gara, il quale statuisce che le pp.aa. possono escludere dalla gara un operatore economico nei soli casi tassativamente indicati dalla legge. In altri termini, per evitare che la concorrenza sia limitata a causa di irragionevoli esclusioni, il legislatore, all’art. 83 co. 8 d.lgs. 50/2016, esclude qualsivoglia discrezionalità della stazione appaltante in merito ai motivi di esclusione dalla gara, che possono essere sanciti solamente dal medesimo codice dei contratti o da altre disposizioni di legge. Laddove l’operatore economico non abbia presentato documenti, dunque, non potrà essere escluso se ciò non è previsto esplicitamente dalla legge, potendo altrimenti avvalersi del soccorso istruttorio, ossia di quella procedura, normata all’art. 83, co. 9 d.lgs. 50/2016, che consente di sanare, con un’integrazione in un termine assegnato dalla stazione appaltante, le carenze dell’offerta che non incidano sull’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile dell’offerta. Se invece la carenza riguarda una caratteristica tecnica o economica dell’offerta non sarà possibile il ricorso al soccorso istruttorio, ma l’offerta dovrà essere giudicata ed eventualmente valutata inidonea nel merito.

L’eventuale provvedimento di esclusione è sicuramente lesivo e, per conseguenza, impugnabile dinnanzi al Giudice Amministrativo. Dovrà ritenersi che la clausola che normi l’esclusione della gara al di fuori delle ipotesi tipizzate deve ritenersi invalida per violazione di legge: non si tratta infatti di un potere discrezionale male utilizzato, ma della violazione di una norma “totalizzante”, ossia del contrasto fra la lex specialis e una norma di legge.

Appurato che siffatta clausola sarebbe illegittima e dunque annullabile, occorre domandarsi quale sia il regime di sua applicazione. Infatti, in termini generali, è possibile affermare che è impugnabile un provvedimento amministrativo che porti ad una lesione concreta ed attuale dell’interesse legittimo del privato. Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche, giurisprudenza ormai consolidata ritiene che il bando di gara non sia impugnabile, se non in relazione a quelle clausole che risultino immediatamente lesive senza necessità di un provvedimento di attuazione. In altri termini, non è data la possibilità di impugnare clausole al solo fine di ripristinare la regolarità della procedura, ma è necessario che il ricorrente lamenti una lesione della propria sfera giuridica. Infatti, attesi gli artt. 24 e 103 Cost., la giurisdizione amministrativa non è giurisdizione di diritto oggettivo, non persegue il rispetto della legge in quanto tale, ma tutela le posizioni giuridiche dei singoli. Ecco allora che il privato non potrà impugnare clausole che non siano immediatamente escludenti, dovendo eventualmente denunziarle unitamente al provvedimento che, facendone attuazione, leda concretamente l’interesse legittimo del privato.  In quest’ottica, è possibile ritenere che la clausola del bando che violi il principio di tassatività delle cause di esclusione sia immediatamente impugnabile ove osti alla possibilità stessa di presentare la domanda o imponga oneri del tutto sproporzionati o irragionevoli; ove invece la clausola porti all’esclusione di chi non abbia presentato documenti  volti ad avvalorare la sussistenza dei requisiti richiesti per accedere alla gara o offerte dotate di determinate caratteristiche non potrà essere ritenuta immediatamente lesiva e dunque potrà essere impugnata solamente con l’atto che ne farà attuazione, unico momento in cui si realizza la lesione dell’interesse legittimo del privato  Tale atto, peraltro, dovrà essere impugnato nel termine di 30 gg dalla sua piena conoscenza. Occorre segnalare al proposito che la Corte di Giustizia ha imposto in materia di appalti un’accezione di detta “conoscenza” diversa da quella generalmente accolta dal diritto interno. Infatti, a livello nazionale, si intende per “piena conoscenza” la notizia del contenuto lesivo del provvedimento, anche nel suo solo dispositivo, riservando ai motivi aggiunti l’impugnazione della motivazione eventualmente sopravvenuta. Per contro, la Corte di Giustizia ha invece imposto che nel capo dei contratti pubblici, dominato dal diritto eurounitario, il termine decadenziale decorra solo dalla conoscenza delle motivazioni, onde evitare di onerare l’operatore economico di effettuare ricorsi esplorativi; peraltro, il termine decadenziale dovrà essere addirittura disapplicato quando il comportamento ingannevole dell’amministrazione abbia reso impossibile per il privato rispettarlo.

Detti principi sono stati ritenuti validi anche in tema di impugnazione dei provvedimenti di aggiudicazione, una volta chiamata “definitiva”. L’impresa esclusa potrà però impugnare detto provvedimento solo ove esso sia il primo a sancirne l’esclusione dalla gara. Altrimenti, essa dovrà impugnare il provvedimento precedente che la abbia esclusa, risiedendo in esso la lesione dell’interesse legittimo . Detta conclusione è oggi vieppiù rafforzata dall’introduzione del comma 2bis nell’art. 120 c.p.a., il quale esplicitamente esclude la possibilità di far valere l’illegittimità derivata dei provvedimenti successivi in caso di mancata impugnazione dell’esclusione.

Si segnala per completezza che il processo per impugnazione del provvedimento di esclusione dovrà seguire il procedimento descritto dall’art. 120 co 6bis c.p.a.