La condizione giuridica di straniero è stata prevista dalla nostra Costituzione all’art. 10 dove viene garantito il diritto di asilo “in conformità delle regole e dei trattati internazionali”.  Ciò, a prescindere dell’esistenza della norma internazionale di un trattato; infatti, in base al principio di uguaglianza di cui all’art. 2 Cost., la tutela  dei diritti inviolabili dell’uomo deve essere riconosciuta a tutti coloro che si trovino  nel territorio dello stato a prescindere dallo stato di cittadino estero, rifugiato, apolide o clandestino. Allo straniero va pertanto garantita la titolarità dei diritti fondamentali della persona, il diritto al segreto e agni forma di corrispondenza, il diritto alla libera manifestazione del pensiero, il diritto all’assistenza sanitaria, il diritto di difesa avverso qualsiasi provvedimento giudiziario o di polizia ecc. ecc.

Il Testo Unico sull’Immigrazione (decreto legislativo 23 luglio 1998, n. 286) disciplina varie forme di espulsione amministrativa, vale a dire di espulsione non applicata dal giudice penale a titolo di misura di sicurezza o di sanzione alternativa alla detenzione.  

L’espulsione amministrativa presuppone che lo straniero permanga sul territorio dello Stato e venga – attraverso il provvedimento amministrativo – rinviato allo Stato di appartenenza o, quando questo non sia possibile, a quello di provenienza. Lo straniero espulso non può fare ritorno nel territorio dello Stato ed è respinto alla frontiera ove tenti il reingresso.

Gli effetti dell’espulsione comportano il divieto di reingresso nel territorio per un periodo di cinque anni (art. 13, comma 14). Tale termine può essere ridotto ad un minimo di tre anni sulla base di motivi legittimi addotti dall’interessato e tenuto conto della complessiva condotta da lui tenuta sul territorio dello Stato. Competente a decidere su tale riduzione è l’autorità giudiziaria (ovvero giudice ordinario o amministrativo a seconda delle ipotesi di espulsione prefettizia o ministeriale) in sede di ricorso proposto dallo straniero avverso l’espulsione. La Corte Costituzionale ha precisato, con sentenza interpretativa di rigetto del 21 febbraio/28 maggio 2001 n. 165, che l’art. 13, comma 13, non prevede alcuna preclusione ad un’impugnazione dell’espulsione limitata alla durata del divieto di reingresso. Il periodo di divieto di rientro può inoltre essere ridotto da un autonomo giudizio amministrativo, di competenza del Ministro dell’Interno, che può accordare una speciale autorizzazione al rientro dello straniero, in possesso dei requisiti necessari, in epoca anteriore allo spirare del periodo di divieto previsto a suo carico. Se lo straniero non ha ricevuto dal Ministro dell’Interno questa speciale autorizzazione ad entrare nel territorio dello Stato, non può farvi rientro prima della scadenza del termine disposto nel provvedimento di espulsione o modificato dal giudice in sede di ricorso. In caso di trasgressione, lo straniero è punito con l’arresto da due a sei mesi ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera (art. 13, commi 13 e 14 T.U.). Ai sensi dell’art. 19 del regolamento di attuazione, il divieto di rientro opera “a decorrere dalla data di esecuzione dell’espulsione, attestata dal timbro d’uscita di cui all’art. 8, comma 1, ovvero da ogni altro documento comprovante l’assenza dello straniero dal territorio dello Stato”.

Un altro effetto del provvedimento di espulsione consiste nell’inserimento nel Sistema informativo Schengen del nome dello straniero, segnalato ai fini della non ammissione, in attuazione dell’art. 96 della Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen del 1990. L’inserimento delle norme dello straniero nel SIS comporta per tutte le altre parti contraenti una serie di conseguenze, che vanno dall’obbligo di non rilasciare ai segnalati visti d’ingresso, a quello di revocare o non rinnovare il permesso di soggiorno, qualora la segnalazione avvenga successivamente alla concessione di tali autorizzazioni. Lo straniero ‘positivo Schengen’ può dunque trovarsi privato del suo permesso di soggiorno pur non avendo violato in alcun modo le norme del paese in cui risiede, a seguito della semplice segnalazione effettuata da un altro paese Schengen. In questo caso, qualora la questura responsabile del permesso di soggiorno non ritenga di revocarlo o non rinnovarlo immediatamente, lo straniero ottiene un permesso di soggiorno provvisorio, valido soltanto per il territorio nazionale in cui risiede e rinnovabile fino alla conclusione della procedura. Dopo aver richiesto alle autorità del paese responsabile della segnalazione i motivi dell’inserimento nell’elenco degli ‘indesiderabili’, le autorità che hanno rilasciato il permesso di soggiorno provvisorio devono decidere se ricorrere alla possibilità di deroga prevista dall’art. 25 della Convenzione, o se dar seguito alla segnalazione revocando il permesso di soggiorno. La decisione di rinnovare il permesso di soggiorno comporta, per la parte che ha effettuato la segnalazione, l’obbligo di ritirarla mantenendola, se del caso, solo a livello nazionale. Se è revocato il permesso di soggiorno provvisorio,  la segnalazione viene mantenuta e il provvedimento di revoca costituisce il presupposto per l’adozione di un decreto di espulsione anche dal territorio nazionale in cui lo straniero risiede.

La prima forma di espulsione amministrativa  è  quella che più comunemente viene chiamata respingimento differito (art. 10, comma secondo T.U. sull’immigrazione) ed è disposta dal Questore con accompagnamento alla frontiera. Essa si applica agli stranieri che siano privi di requisiti per l’ingresso in Italia. L’atto di respingimento è sottoposto a controllo giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario secondo quanto in proposito conformemente stabilito dalla Corte di legittimità (Cass. Civ. S.U.  17 giugno 2013 n. 15115) trattandosi di un diritto soggettivo alla protezione internazionale che trova il suo fondamento dell’art. 2 della Costituzione.

Il respingimento differito è misura differente dall’espulsione disposta dal  Prefetto cui segue l’ulteriore decreto di  accompagnamento alla frontiera da parte del Questore ai sensi dell’art. 13, II comma T.U. sull’immigrazione. Tale ultimo provvedimento, emanato in esecuzione del primo, è sospeso  fino alla decisione del Giudice di pace che provvede alla convalida in udienza camerale, con decreto motivato, entro le 48 ore successive alla comunicazione in cancelleria del decreto di espulsione, verificata l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti di legge e sentito l’interessato, se comparso, assistito da un difensore. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto nel più vicino centro di identificazione ed espulsione (CIE), salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di espulsione anche prima del trasferimento nel centro. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo; in caso contrario (o se non è osservato il termine perentorio per la convalida) perde ogni effetto. Il decreto di convalida del giudice di pace è ricorribile per cassazione e l’eventuale ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale

Il Questore può disporre l’eventuale trattenimento dello straniero presso un centro di identificazione ed espulsione (art. 14): dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il più vicino centro di identificazione ed espulsione quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché:

  • occorre procedere al soccorso dello straniero
  • servono accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità;
  • serve acquisire documenti per il viaggio, ovvero è indisponibile il vettore o altro mezzo di trasporto idoneo.

Per la convalida del provvedimento di trattenimento è competente il Giudice di pace cui sono, senza ritardo e comunque entro 48 ore dall’adozione del provvedimento stesso, trasmessi gli atti da parte del questore del luogo ove si trova il centro. Il giudice di pace decide in udienza in camera di consiglio con le stesse garanzie per la difesa apprestate in sede di ricorso contro l’espulsione. Verificata l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti (escluso quello della vicinanza del CIE), sentito l’interessato, se comparso, il giudice di pace emette il decreto motivato di convalida del trattenimento entro le 48 ore successive. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione.

La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni, elevabile fino ad un massimo di 180 giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Contro i decreti di convalida e di proroga è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione della misura.

Il prefetto – salvo i casi di espulsione da parte del ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e sicurezza – è l’autorità competente per l’espulsione amministrativa dello straniero. Essa  è sempre disposta dal prefetto: a) quando lo straniero è entrato clandestinamente in Italia e non è stato respinto ex art. 10 TU; b) quando lo straniero, lavoratore dipendente di una persona fisica o giuridica avente sede nella UE si è trattenuto sul territorio dello Stato in assenza della comunicazione alla prefettura del contratto oggetto della prestazione ai fini del rilascio del permesso di soggiorno; quando lo straniero si è trattenuto in Italia senza aver richiesto nei termini il permesso di soggiorno o quando questo è scaduto da oltre 60 gg. e non è stato chiesto il rinnovo o è stato revocato o annullato; c) quando lo straniero è ritenuto persona pericolosa per la sicurezza pubblica o è indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o similari.

Entro 60 giorni dalla data del decreto di espulsione prefettizio può essere presentato ricorso al giudice di pace territorialmente competente; il ricorso, sottoscritto anche personalmente dallo straniero, è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. Ove il ricorso sia tempestivamente proposto, il giudice di pace fissa l’udienza in camera di consiglio con decreto, steso in calce al ricorso. Il ricorso con in calce il provvedimento del giudice è notificato al prefetto, a cura della cancelleria. L’autorità che ha emesso il provvedimento di espulsione può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati; lo straniero è ammesso sia all’assistenza legale da parte di un difensore di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all’autorità consolare che, se del caso, al gratuito patrocinio e alla difesa d’ufficio; se necessario gli è garantito un’interprete. Il giudice di pace accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro 20 giorni dalla data di deposito del ricorso stesso. La decisione del giudice di pace non è reclamabile, ma impugnabile per cassazione.

In ordine alle modalità della decisione del Giudice di Pace, va detto che, nel caso in cui il provvedimento espulsivo si fondi su di un atto assoggettato alla giurisdizione del giudice amministrativo (esempio revoca o annullamento del permesso di soggiorno) al giudice ordinario chiamato a decidere sul decreto di espulsione è preclusa ogni valutazione si legittimità dell’atto presupposto  anche ai fini della sua disapplicazione, trattandosi di un sindacato spettante unicamente al giudice amministrativo. Non sarà neanche possibile la sospensione del giudizio ordinario finchè non venga deciso l’eventuale giudizio di impugnazione dell’atto presupposto  dal momento che non se ne ravvisa la pregiudizialità.

Un’ultima forma di espulsione amministrativa è quella disposta dal Ministro dell’Interno, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato ed è, anch’essa,  sottoposta a controllo giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, il cui sindacato appare molto contenuto trattandosi di un atto di alta discrezionalità amministrativa, come tale, sottoposto al controllo di legittimità limitato agli aspetti esteriori, quali la mancanza di motivazione adeguata o la sussistenza di eventuali profili di travisamento, illogicità e arbitrarietà. Questa misura è adottata nei confronti dello straniero, anche non residente nel territorio dello Stato per la tutela di esigenze di ordine interno e di sicurezza pubblica. Prima di disporre l’espulsione il Ministro deve darne comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli Affari Esteri. Si tratta un provvedimento amministrativo altamente discrezionale, molto poco utilizzato.  Può essere adottato anche se lo straniero da espellere non ha commesso reati.

Costituiscono fatti impeditivi dell’espulsione quei casi nei quali viene meno l’obbligo, da parte del Prefetto, di adottare l’atto di espulsione. Si segnalano le seguenti ipotesi:

a) lo straniero entrato irregolarmente o sprovvisto di un valido titolo di soggiorno, che ottiene il permesso di soggiorno per motivi familiari, quale familiare di rifugiati regolarmente soggiornanti in Italia (art. 30, comma 2, lett. c), ovvero che è genitore, anche naturale, di figlio minore italiano residente in Italia, sul quale esercita la potestà genitoriale (art. 30, comma 2, lett. d);

b) lo straniero titolare di un permesso di soggiorno scaduto da meno di un anno ed in possesso dei requisiti previsti nell’art. 29 T.U., che ottiene il permesso di soggiorno per motivi di mantenimento dell’unità familiare con altro cittadino italiano o dell’Unione europea o straniero extracomunitario regolarmente soggiornante in Italia, perché (art. 30, comma 2, lett. c);

c) lo straniero che, pur sprovvisto di documenti, faccia richiesta di asilo, ottenga un permesso provvisorio, che gli consente il soggiorno durante l’esame della domanda, fatti ulteriormente salvi gli effetti del ricorso giurisdizionale avverso il relativo diniego (art. 7, art. 26, comma 4 ed art. 32, comma 4, del D.lgs. n. 25/2008);

d) lo straniero che, non potendo essere rinviato in un Paese dove rischia di subire persecuzioni, ottiene un permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 19, comma 1, del T.U. ed art. 28, comma 1, lett. d, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394);

e) lo straniero minorenne, salvo che debba lasciare il territorio dello Stato insieme col genitore col quale convive (art. 19, comma 2, lett. a, del T.U. ed art. 28, comma 1, lett. a, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394);

f) lo straniero coniuge o parente fino al secondo grado convivente con cittadino italiano, che ottiene un permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 19, comma 2, lett. c, del T.U. ed art. 28, comma 1, lett. d, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394);

g) la donna straniera incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi il figlio a cui provvede ed il marito con essa convivente, che ottengono un permesso di soggiorno per cure mediche, valido non oltre i sei mesi dal parto (art. 19, comma 2, lett. c, del T.U. ed art. 28, comma 1, lett. d, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394);

h) lo straniero vittima di violenza o di grave sfruttamento che, in ragione del pericolo attuale per la propria incolumità, sia stato ammesso a partecipare ad un progetto di assistenza ed integrazione sociale, previsto dall’art. 18 T.U. ottenendo un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

i) il familiare del minore straniero che si trova sul territorio italiano, autorizzato dal Tribunale per i minorenni all’ingresso od alla permanenza in Italia tempo determinato, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore stesso, anche in deroga alle disposizioni del T.U. sull’immigrazione (art. 31, co. 3, del T.U.);

l) lo straniero proveniente da Paesi non appartenenti all’Unione europea, quando ricorrano rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali od altri eventi di particolare gravità, accertati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che stabilisce le misure di protezione temporanea da adottare, anche in deroga alle disposizioni del T.U. immigrazione (art. 5, comma 6 ed art. 20 del T.U ed art. 11, comma 1, lett. c-ter, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).