La Corte di Cassazione a Sezioni Unite penali con sentenza N. 29541 /20 ha risolto l’annoso contrasto esistente fra più Sezioni della Corte in merito alla qualificazione giuridica del reato in concreto configurabile nelle ipotesi in cui a riscuotere con violenza e minaccia il credito altrui siano soggetto estranei al rapporto di credito e tuttavia incaricati dal creditore stesso alla riscossione.

I quesiti di diritto esposti nell’ordinanza di remissione erano i seguenti:

  1. se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione si differenzino tra loro in relazione all’elemento oggettivo, in particolare con riferimento al livello di gravità della violenza o della minaccia esercitate, o, invece, in relazione al mero elemento psicologico, e, in tale seconda ipotesi, come debba essere accertato tale elemento”;
  2. se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni debba essere qualificato come reato proprio esclusivo e, conseguentemente, in quali termini si possa configurare il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile”.

 

La Corte ha risolto il contrasto enunciando i seguenti principi di diritto:

  1. I reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno natura di reato proprio non esclusivo»;
  2. il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione a/l’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie»;
  3. Il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità

COMMENTO

Tra i fatti posti all’attenzione del Supremo consesso va annoverato un caso emblematico ai fini della distinzione fra i due reati. Si trattava, in particolare, di un creditore che, agendo con metodo mafioso, aveva dato alle fiamme una minipala nel giardino di una villa di proprietà della persona offesa, con il rischio che il fuoco si propagasse anche all’immobile, arrecando un danno ben superiore rispetto all’entità del credito vantato: In una situazione siffatta la Corte non ha  mancato di evidenziare come il contrasto inerente la distinzione dei due reati era più apparente che reale non potendosi dubitare del fatto che l’impiego del metodo mafioso e la promessa di passare ad ulteriori e più gravi danneggiamenti  avevano assunto  nella fattispecie esaminata connotati talmente esorbitanti rispetto all’entità del credito vantato da integrare il necessario dolo di estorsione anche (e soprattutto, viene quasi da dire) in capo al creditore. Una conseguenza di tal fatta, in termini puramente ragionativi, avrebbe perciò dovuto comportare l’esclusione ab initio – anche con riguardo alla persona del terzo concorrente – del concorso nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Passando alla disamina delle questioni di diritto poste alla sua attenzione, la Corte ha comunque ribadito che, in ragione della natura giuridica propria del reato di estorsione e dell’esistenza dell’unico criterio discretivo dell’elemento psicologico fra i reati di cui all’art. 393 c.p. e 629 c.p., non era possibile attribuire alcuna rilevanza effettiva alla partecipazione al reato di terzi concorrenti non creditori (avessero, o meno, posto in essere la condotta tipica)  essendo, a tale fine, determinante una sola circostanza, vale a dire il fatto che detti terzi avessero, o meno, perseguito (anche o soltanto) un interesse proprio. Ha pertanto ritenuto che, nell’ipotesi in cui ciò fosse avvenuto, tutti (terzi e creditore) avrebbero risposto del reato di estorsione, e al contrario, ove i concorrenti del reato avessero perseguito proprio e soltanto l’interesse del creditore, nei limiti in cui esso fosse stato in astratto giudizialmente tutelabile, tutti avrebbero risposto di concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Ha comunque tenuto a  precisare che, nei casi in cui ricorra la circostanza aggravante della c.d. “finalità mafiosa” (art. 416-bis.1 cod. pen.: per essere “i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi ( … ) al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste” dall’art. 416-bis cod. pen.), la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto a quello di ottenere la mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato, comporta la sussumibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera di tipicità dell’art. 629 cod. pen., anche con riguardo alla persona del creditore reo di avere agevolato il perseguimento di una finalità (anche soltanto lato sensu) di profitto di terzi.