Con sentenza n. 26757/2020  la Corte di Cassazione, dopo aver operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, ha risolto in maniera definitiva, l’annoso caso di una cittadina rumena, residente in Italia sottoposta a reiterate violenze sessuali in Torino, nella notte tra il 15 ed il 16 ottobre 2005 da parte di  due cittadini rumeni condannati in sede penale, in via definitiva, alla pena dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione, in favore della vittima dei suddetti reati violenti ( e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, previsto e punito dall’art. 609-bis del codice penale), di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 50.000,00, importo che ella,  tuttavia, non  era riuscita ad ottenere in quanto i condannati si erano resi latitanti.

La vittima aveva infatti evocato nel febbraio 2009 la Presidenza del Consiglio dei Ministri dinanzi al Tribunale di Torino affinché ne venisse dichiarata la responsabilità civile per non essersi adeguata alla Direttiva  Europea n. 2004/80/CE che aveva imposto agli Stati membri dell’UE  di prevedere la liquidazione di equi ed adeguati indennizzi per le vittime di reati violenti ove non fosse stato possibile percepirli dagli autori del reato.: L’adito Tribunale, con sentenza del 26 maggio 2010, accertò, nel merito, l’inadempimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, con condanna della medesima al pagamento, in favore della vittima del reato, della somma di 90.000,00 euro, oltre interessi di legge dalla sentenza al saldo effettivo, nonché alla refusione delle spese legali. La Corte di appello di Torino, su impugnazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con sentenza resa pubblica il 23 gennaio 2012, accoglieva solo in parte l’appello, riformandola unicamente sulla misura del risarcimento (che riduceva ad euro 50.000, oltre accessori). La Corte ribadiva che lo Stato italiano si era reso inadempiente per non aver dato attuazione alla direttiva n. 2004/80/CE, e, in particolare, per non aver ottemperato all’obbligo previsto dal richiamato art. 12, par. 2, da intendersi come volto a far sì che ogni Stato membro si dotasse di un generalizzato sistema di indennizzo in favore delle vittime di tutti i reati violenti e intenzionali, commessi nei rispettivi territori, ivi compreso quello di violenza sessuale. Quanto al presupposto dell’impossibilità per la vittima di conseguire il risarcimento del danno direttamente dagli autori del reato violento intenzionale, il giudice di secondo grado escludeva, come già affermato dal Tribunale, che l’attrice potesse ottenere dai due diretti responsabili un adeguato ristoro, seppur parziale, dei danni subiti, essendosi gli offensori resisi latitanti nelle more del giudizio di primo grado e non avendo mai manifestato forme di pentimento, né offerto alcun ristoro patrimoniale in favore della vittima. In punto di liquidazione del danno, la Corte di appello riduceva, in via equitativa (facendo applicazione degli artt. 2056 e 1226 e.e.), a euro 50.000,00 la somma spettante all’attrice a titolo di indennizzo -non coincidente con “un pieno risarcimento del danno” in ragione della natura, per l’appunto, indennitaria della responsabilità dello Stato italiano per omessa o tardiva attuazione della direttiva comunitaria non auto esecutiva

Proposto ricorso per cassazione avverso anche tale ultima sentenza, la Corte di legittimità, dopo aver effettuato un rinvio pregiudiziale alla CGUE onde accertare se, secondo la giurisprudenza europea, dovesse o meno ritenersi che il dettato della Direttiva Europea fosse estensibile anche alle vittime residenti nello Stato membro, ha respinto i ricorsi della Presidenza del Consiglio dei Ministeri e confermato la sentenza della Corte di Appello d Torino, prendendo comunque atto che, nel contempo, la vittima del reato era stata indennizzata dallo Stato italiano nella misura di euro 25.000.

Questi i principi di diritto enunciati nella sentenza sopra citata:

  1. L’ambito di applicazione della Direttiva n. 2004/80/CE non è limitato alle situazioni transfrontaliere ma è estensibile anche alle ipotesi in cui la vittima di reati intenzionali violenti sia residente nel territorio dello Stato membro
  2. L’indennizzo liquidabile per effetto dell’oggettiva difficoltà ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli autori del reato è ontologicamente diverso da quello- comunque spettabile alla vittima del reato intenzionalmente violento nel caso di ritardato adempimento alle specifiche obbligazioni ex lege imposte dall’UE, sostanziatosi, nel caso di specie, nell’omessa previsione di un indennizzo nei confronti delle vittime di reati intenzionalmente violenti, ivi compreso il reato di violenza sessuale.
  3. L’inadempimento descritto al capo b) ha natura contrattuale ed è ristorabile ai sensi dell’art. 1223 c.c. Esso deve sostanziarsi in una violazione “manifesta e grave” ed è valutabile alla stregua della persistenza da parte dello Stato membro a non uniformarsi a sentenze passate in giudicate che ne abbiano accertato l’inadempimento.
  4. La liquidazione dell’indennizzo conseguente alla violazione dell’obbligazione descritta al capo c) può essere effettuata anche in via equitativa e deve corrispondere alla gravità del reato e alle sofferenze patite dalla vittima nel caso concreto non potendo essere valutato in via puramente simbolica. Ai fini della sua valutazione, il giudice deve tener conto della compensatio lucri cum damno e quindi degli eventuali importi già percepiti- a qualunque titolo – dalla vittima del reato.

La Corte di legittimità ha quindi conclusivamente preso atto del sopravvenuto pagamento dell’indennizzo in favore della vittima del reato da parte dello Stato italiano nella misura di euro 25.000 ed ha conseguentemente condannato la Presidenza del Consiglio de Ministri al pagamento di euro 30.022,53 pari alla differenza dell’importo liquidato dalla Corte territoriale in secondo grado e quello effettivamente percepito dalla vittima.