Il sistema di accesso alla Magistratura ordinaria è stato, come si è visto, da sempre caratterizzato dalla concorsualità. Oggi tale esigenza risponde ad un principio costituzionale consacrato nell’art. 106 a mente del quale “Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”. La selettività nella scelta dei magistrati ordinari trae origine dalla necessità di garantire una scelta imparziale dei candidati e di premiare in tal modo i più meritevoli che abbiano dato prova di possedere conoscenze giuridiche di livello elevato e capacità di ragionamento,  allo scopo di tutelare nella misura più ampia possibile i principi di cui all’art. 97 della Costituzione che sancisce, come è noto, l’obbligo dell’esperimento della procedura concorsuale per tutti gli impiegati pubblici. Il percorso concorsuale è lungo e tortuoso anche per coloro che lo hanno vinto partecipandovi per la prima volta, poiché richiede una notevole preparazione tecnica nelle materie oggetto della prova scritta e della prova orale e una capacità di ragionamento tale da consentire al candidato di dimostrare di essere in grado di affrontare le problematiche che si possono presentare nello svolgimento della funzione giurisdizionale.

Attualmente la procedura di accesso alla magistratura ordinaria è disciplinata dal d.lgs. 160/06 che regolamenta i requisiti per l’ammissione al concorso, la fase iniziale della presentazione delle domande, la composizione e le funzioni della commissione di concorso e lo svolgimento delle prove scritte e orali.

Il concorso nel tempo ha subito una lenta, ma progressiva evoluzione e la  relativa disciplina è stata infatti interessata da numerosi interventi legislativi che si sono stratificati tra di loro senza escludersi totalmente a vicenda, ragione per cui sono ancora imperanti numerose norme previste dal R.D del 1925 riguardanti le modalità operative di svolgimento delle prove, quali  (i) la nomina dei componenti della Commissione  (che viene effettuata 15 giorni prima degli esami  con decreto del Ministro previa proposta del Consiglio Superiore della Magistratura) e dei supplenti  oltre che della messa a disposizione da parte del Ministro di giustizia (che ha l’alta amministrazione del concorso) dell’apparato amministrativo da porre a supporto (art.5),  (ii) le modalità di svolgimento  delle prove scritte di concorso che devono espletarsi nel termine di otto ore dalla dettatura del tema su materie scelte dalla Commissione giorno per giorno sotto la sorveglianza diretta dei membri della Commissione (art. 6 – 7 – 8 ),  (iii) le caratteristiche delle operazioni di correzione dei temi che devono avvenire in contemporanea, previa assegnazione, per ciascuno degli elaborati,  di un punteggio  non inferiore alla sufficienza. Nel caso in cui il singolo elaborato non raggiunga la sufficienza, il voto non viene espresso in termini numerici ma si esprime con la semplice non idoneità.

La principale innovazione della normativa del d.lgs. 160/06 riguarda i requisiti di accesso al concorso che proprio in seguito a questa legge sono stati sottoposti a modifica.  Oltre alla laurea è infatti richiesto il possesso di requisiti aggiuntivi e tra loro, a volte, alternativi, ai fini della partecipazione alla selezione. I candidati,  oltre al possesso dei requisiti di legge previsti per ogni concorso pubblico (essere cittadino italiano; avere l’esercizio dei diritti civili; essere di condotta incensurabile; essere fisicamente idoneo all’impiego; essere in posizione regolare nei confronti del servizio di leva al quale sia stato eventualmente chiamato; non essere stato dichiarato per tre volte non idoneo nel concorso per esami alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda), devono possedere dei  titoli professionali  maturati nel percorso post universitario.  È infatti necessario che l’aspirante rientri, senza possibilità di cumulare le anzianità di servizio previste come necessarie nelle singole ipotesi, in una delle seguenti categorie: – magistrati amministrativi e contabili; – procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti a una delle posizioni corrispondenti all’area C, già prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – abilitati all’esercizio della professione forense e, se iscritti all’albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari; – coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario (giudice di pace, giudice onorario di Tribunale, vice procuratore onorario, giudice onorario aggregato) per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; – laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modifiche ;- laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, e hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche; – laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, e hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162; – laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata almeno quadriennale e che hanno concluso positivamente lo stage presso gli uffici giudiziari o hanno svolto il tirocinio professionale per diciotto mesi presso l’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 73 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, nel testo vigente a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114”.

Già si è osservato nel capitolo che precede come il possesso di tali requisiti ha allungato di circa una decina di anni il percorso formativo degli aspiranti Magistrati;qui preme osservare come, diversamente da quanto poteva supporre il legislatore, il possesso dei pre-requisiti sopra elencati non garantisce affatto una maggior preparazione, né fa presumere l’idoneità all’esercizio della funzione giurisdizionale poiché  la teoria e la pratica di ciascuna professione richiedono competenze diverse, in larga parte indipendenti tra di loro.

Le prove del concorso in Magistratura constano in una prova scritta (costituita dalla stesura di tre elaborati in diritto civile, diritto amministrativo e diritto penale cui i candidati sono ammessi soltanto nel caso in cui non abbiano riportato per tre volte la non idoneità) ed una prova orale cui si è ammessi dopo aver superato almeno 12/12 in ciascuno scritto. La selezione è ogni anno sempre più rigida e spietata, oltre che sempre più lenta e anacronistica. Ne è stato un palmare esempio l’ultimo concorso di Magistratura, bandito nell’anno 2018 per 330 posti di Magistrato e, ad oltre due anni dal bando, non ancora concluso.  Vi avevano inoltrato domanda, in quanto possessori dei pre-requisiti richiesti, oltre 13.000 candidati; si sono presentati alla prova, nel giugno 2019, circa sette/otto mila persone e l’hanno portata a termine in oltre tremila. Hanno conseguito l’idoneità per la prova orale soltanto 301 candidati, 30 in meno dei posti disponibili. Nonostante la crudezza di tali numeri, non sembra sia stata raggiunta la piena garanzia che ad essere selezionati siano stati veramente i più meritevoli. In una recente istanza di verifica formulata al Ministero di Giustizia da  parte di alcuni candidati esclusi al concorso è stato infatti segnalato come un campione consistente dei temi giudicati idonei abbia presentato notevoli criticità sia dal punto di vista grammaticale e sintattico che con riguardo al percorso logico – giuridico seguito dai candidati, oltre a frequenti errori concettuali indicativi di una competenza tecnica esclusivamente mnemonica e non sufficientemente ragionata.

Una delle ragioni di tale profondo insuccesso risiede forse nell’anacronismo del concorso posto che le modalità di svolgimento delle prove scritte è rimasta da oltre cinquant’anni sostanzialmente immutata nel tempo. Il decreto legislativo del 2006 non ha modificato la struttura delle prove (che si svolgono ancora secondo le norme del Regio Decreto del 1925) essendosi limitato ad aggiungere alla normativa ancora vigore altre disposizioni che, invece di semplificare la procedura, l’hanno maggiormente appesantita e resa ancora più inattuale. Valga per tutti quanto stabilito dalla legge circa la tempistica di esaurimento del concorso talmente stringente da essere sistematicamente violata (correzione di 600 temi al mese, 10 sedute di correzione alla settimana, mattina e pomeriggio, disamina di almeno 12 candidati al giorno, esaurimento della correzione entro nove mesi dalla data dell’ultima prova scritta).

Anche per quanto riguarda la nomina della Commissione esaminatrice (costituita da 20 Magistrati, cinque Professori universitari e quattro Avvocati), la legge si limita a stabilire che essa avviene per decreto del Ministro di Giustizia su proposta del Consiglio superiore della Magistratura nei quindici giorni antecedenti la prova scritta senza l’indicazione dei criteri cui l’organo di Autogoverno debba uniformarsi, il che esclude un controllo preventivo circa l’effettiva competenza tecnica dei membri della Commissione. I Magistrati nominati hanno diritto all’esonero dalle funzioni per tutto il periodo dell’espletamento del concorso e possono usufruire delle ferie solo nell’intervallo tra l’esito delle prove scritte e l’inizio degli orali. Nessuna indicazione concreta è dettata per quanto attiene i criteri di correzione e di valutazione degli elaborati se non che vi è l’obbligo da parte della Commissione di procedere alla loro adozione all’esito dell’espletamento delle prove scritte e prima della loro correzione, situazione, questa, che esclude ab origine, la possibilità per i candidati di avere cognizione, in via preventiva, dei criteri di  selezione che possono, così, variare da concorso a concorso. Infine, la legge, nell’individuazione dei criteri di assegnazione dei candidati a ciascuna delle sottocommissioni, costituite, successivamente alla correzione dei primi venti elaborati, si limita al richiamo della sussistenza di “criteri oggettivi” senza alcuna specificazione ulteriore lasciando, ancora una volta, ampia discrezionalità di contenuto alla Commissione d’esame.

Il corpus normativo e regolamentare fin qui riassunto necessita di ampia revisione sia nella determinazione delle materie oggetto di prova scritta che con riguardo alle modalità di espletamento delle prove. In primis, è del tutto anacronistico insistere nel richiedere ai candidati lo studio approfondito di una materia, qual è il diritto amministrativo che non costituisce oggetto di giurisdizione e che appesantisce oltre modo lo studio delle materie- base quali il diritto civile e quello penale, lasciando alla sola prova orale lo studio delle procedure cui invece i candidati, ad avviso di chi scrive, dovrebbero avere contezza fin dalla prova scritta, se non altro perché le avrebbero dovute praticare nell’acquisizione dei titoli propedeutici alla domanda di concorso. Neanche ha senso escludere la possibilità della consultazione di Banche dati o l’uso della scrittura computerizzata, vera garanzia di anonimato, oggi, peraltro, imposta come condizione imprescindibile all’esercizio della giurisdizione atteso il massiccio ingresso nel mondo della Giustizia del processo telematico.

Non minori criticità si riscontrano nella prova orale che, pure, a differenza di quella scritta, ha conosciuto una lunga evoluzione per quanto concerne il numero e l’oggetto delle materie, molte delle quali sono state aggiunte a quelle originarie secondo la solita tecnica della stratificazione della normativa, già riscontrata a proposito del materiale svolgimento del concorso. Si è passati così da una prova orale di 12 materie,  la cui preparazione creava già non pochi problemi ai candidati in ragione del fatto che  essa interveniva per alcuni a distanza di appena un mese dalla conoscenza dell’esito delle prove scritte, all’introduzione (a partire dall’anno 2004) di ulteriori materie quali il diritto commerciale, fallimentare, diritto internazionale pubblico e privato, materie che oltre a presentare serie complessità in sé, necessitano di continui aggiornamenti. Attualmente le prove orali vertono su 17 materie e precisamente: diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano, procedura civile, diritto penale e procedura penale, diritto amministrativo, costituzionale e tributario, diritto commerciale e fallimentare, diritto del lavoro e della previdenza sociale, diritto comunitario, diritto internazionale pubblico e privato, elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario. Tenuto conto della crescente integrazione con realtà extranazionali è previsto poi un colloquio in lingua straniera che, in base alla scelta del candidato, può vertere sull’inglese, francese, spagnolo o tedesco.

Oggi, la prova orale è la parte più difficile di tutta la procedura concorsuale perché si tratta di un esame che si svolge quasi a ridosso della conoscenza degli esiti delle prove scritte su di una mole smisurata di materie in relazioni alle quali l’unico strumento valido è la memoria e la capacità di poter effettuare veloci collegamenti tra i vari istituti giuridici. Insomma, tutto il contrario di ciò che avviene nelle prove scritte dove, invece, si ha a disposizione molto tempo (otto ore) per risolvere una traccia che, per quanto complessa, può essere risolta attraverso l’ausilio di strumenti quali i codici non commentati. Nonostante ciò – e questa appare a chi scrive la vera singolarità del concorso di oggi  – quasi tutti i candidati (di solito ammessi in numero inferiore ai posti disponibili) superano la prova orale. Se ne deve concludere che la vera selezione è operata – del tutto incongruamente – solamente con riguardo alla prova scritta, a scapito del rispetto delle previsioni normative che avrebbero dovuto far presagire una prassi esattamente contraria.