Le Sezioni Unite, con sentenza n. 3585 del 29 gennaio 2021, hanno affermato il seguente principio di diritto:

«Il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’art. 649- bis, c.p., ai fini della procedibilità d’ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata – aggravata, pluriaggravata e reiterata – di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma c.p.»

 

COMMENTO

La recidiva (letteralmente “ricaduta” dal latino recidivum) è una circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole (così espressamente qualificata dall’art. 70 comma 2 c.p.) che si verifica quando un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. Tale circostanza comporta un aggravamento della pena in quanto, nonostante una precedente condanna, il reo non ha nè mostrato pentimento nè compreso la funzione rieducativa e di risocializzazione della pena in precedenza inflittagli. La disciplina, contenuta nell’art. 99 c.p., è stata profondamente rivisitata ad opera della c.d. legge Cirielli (L. n. 241/2005) e, ad oggi, non riguarda più “qualsiasi reato” ma solo i “delitti non colposi” ossia i delitti dolosi o preterintenzionali.

 

L’art. 99 c.p. prevede tre diverse ipotesi di recidiva:

  1. recidiva semplice (art. 99, co. 1, c.p.) che si verifica quando il soggetto, dopo esser stato condannato con sentenza irrevocabile per aver commesso un delitto non colposo, ne commette un altro di tipo diverso. Nel caso di recidiva semplice l’aumento di pena è sino ad 1/3;
  2. recidiva aggravata (art. 99, co. 2-3 c.p.) configurabile in tre diverse ipotesi: quando il nuovo reato commesso dal soggetto corrisponde nelle sue caratteristiche essenziali ed è, quindi, della “stessa indole” rispetto a quello compiuto in precedenza (recidiva specifica); quando il nuovo reato viene commesso nell’arco di cinque anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquennale); e quando il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena (recidiva vera). In caso di recidiva aggravata l’aumento della pena è fino alla metà ma, qualora concorrano più circostanze, l’aumento è della metà.
  3. recidiva reiterata (art. 99, co. 4 c.p.) quando un soggetto, già recidivo, commette un ulteriore delitto non colposo. Nel caso in cui quest’ultimo sia di indole diversa dai precedenti la recidiva è detta recidiva reiterata semplice e l’aumento di pena è della metà, mentre se il nuovo delitto rientra nelle fattispecie previste per la recidiva aggravata, si parla di recidiva reiterata aggravata e l’aumento di pena è di due terzi.

Nelle ipotesi di cui ai art. 99 c.p., commi 2, 3 e 4 si parla di recidiva qualificata. Essa ha natura di circostanza aggravante ad effetto speciale ai sensi dell’art. 63, co. 3, c.p. in quanto comporta un aumento della pena superiore ad un terzo.

Recentemente è sorto un contrasto giurisprudenziale, composto dalle Sezioni Unite con sentenza n. 3585 depositata il 29 gennaio 2021, relativo alla questione se la recidiva qualificata rientri nella nozione di circostanze ad effetto speciale di cui all’art. 649-bis c.p.

Preliminarmente occorre rilevare che il D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, intervenuto in materia di reati a tutela della persona e del patrimonio, ha introdotto un nuovo regime di procedibilità a querela in luogo di quello officioso previgente. Accanto alla sfera dei reati contro la persona attinta dalla riforma, la tecnica di selezione delle fattispecie perseguibili a querela nell’ambito dei reati contro il patrimonio ha riguardato i delitti di truffa (art. 640 c.p.), di frode informatica (art. 640-ter c.p.) e, per quello che più interessa, la fattispecie di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). Rispetto a quest’ultima fattispecie è stata prevista la procedibilità a querela anche in quelle situazioni che, in passato, determinavano la procedibilità d’ufficio, quali la realizzazione del delitto su cose possedute a titolo di deposito necessario (art. 646 c.p., comma 2) ovvero con abuso di autorità o di relazioni domestiche o, ancora, con abuso di relazioni di ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61 c.p., comma 1, n. 11). L’area della procedibilità a querela, tuttavia, ha subito una rilevante limitazione in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale. I nuovi artt. 623-ter e 649-bis c.p., introdotti dagli artt. 7 e 11 D.Lgs. 36/2018, dispongono, infatti, la procedibilità ex officio in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale.

L’art. 649 bis c.p., in particolare, prevede che «per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640 ter, quarto comma, e per i fatti di cui all’articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero se la persona offesa è incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità».

Ciò posto la giurisprudenza, come accennato, si è chiesta se la recidiva qualificata, prevista nelle ipotesi di cui ai art. 99 c.p., commi 2, 3 e 4 quale circostanza aggravante ad effetto speciale rientri nella nozione di «circostanze ad effetto speciale» di cui all’art. 649 bis c.p.

Nella giurisprudenza di legittimità si sono formati due orientamenti contrapposti. Per un primo orientamento, che si ispira all’insegnamento delle Sezioni Unite Paolini poi seguito da numerose pronunce, alcune delle quali successive alla novella del 2018, la recidiva qualificata, pur potendo comportare un aumento di pena superiore ad un terzo, non determina la procedibilità d’ufficio del reato di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61, n. 11, c.p., in quanto circostanza che, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato. Un orientamento più recente (Cass. pen., Sez. 2, 8/1/2019, n. 17281; Cass. pen., Sez. 7, 24/09/2019, dep. 2020, n. 11440), invece, contesta la fondatezza di tale interpretazione e ritiene perseguibile d’ufficio il delitto di appropriazione indebita aggravata commessa dal recidivo qualificato.

Con ordinanza n. 5555 del 12 febbraio 2021 la prima sezione, rilevata la sussistenza del suddetto contrasto giurisprudenziale, ha rimesso alle Sezioni Unite la risoluzione del seguente quesito di diritto «se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell’art. 649-bis cod. pen. ai fini della procedibilità d’ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 dello stesso codice».

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 3585 del 29 gennaio 2021 hanno aderito all’indirizzo minoritario e più recente secondo il quale la recidiva qualificata, in quanto circostanza che comporta un aumento della pena superiore ad un terzo, è circostanza ad effetto speciale ai sensi dell’art. 63, terzo comma, e per gli effetti di cui all’art. 649-bis c.p. Ne consegue che, per il recidivo qualificato, l’appropriazione indebita è procedibile d’ufficio.

La sentenza ripercorre le origini dell’orientamento maggioritario, risalente alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 3152/1987 Paolini, che aveva risolto un contrasto interpretativo creatosi a seguito della modifica dell’art. 640 c.p. introdotta dall’art. 98, legge n. 689 del 1981. Detta novella aveva aggiunto all’art. 640 c.p. il seguente comma: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante» creando due opposti orientamenti in ordine all’inclusione della recidiva fra le circostanze aggravanti indicate nella nuova disposizione.

Il problema era quello di qualificare o meno la recidiva, al fine della perseguibilità di ufficio del reato di truffa, come “circostanza aggravante”. Nell’escludere tale qualificazione la sentenza Paolini aveva osservato che il codice penale non si occupa della recidiva nella parte che riguarda il reato, ma in quella che si riferisce al reo e, precisamente, nel Capo II del Titolo IV del Libro I, dedicato anche alla abitualità e alla professionalità nel reato, ossia a quelle condizioni personali alle quali più si avvicina la condizione del recidivo. La recidiva, pertanto, qualifica il soggetto ma è estranea al fatto tipico e, in quanto inerente alla persona del colpevole, non era (all’epoca) bilanciabile con le altre circostanze del reato. Per tale ragione, in tema di concorso di persone nel reato, il codice del 1930 aveva riservato alle circostanze inerenti alla persona del colpevole una valutazione diversa rispetto alle altre circostanze soggettive (art. 118 c.p. nella versione all’epoca vigente).

Quanto allo specifico reato di truffa le Sezioni Unite 1987 avevano rimarcato che il legislatore aveva voluto escludere la punibilità a querela del reato di truffa solo in caso di maggiore gravità oggettiva (e non soggettiva) del fatto tipico e che non si riscontravano precedenti ipotesi di perseguibilità d’ufficio per effetto della sola aggravante della recidiva. In ogni caso anche altri due argomenti ostavano alla procedibilità d’ufficio del reato di truffa aggravata dalla sola recidiva qualificata: a) il principio della estensione della querela a tutti i concorrenti, affermato dall’art. 123 c.p., che «postula che il reato debba essere individuato sulla base della sua astratta struttura oggettiva, sia in relazione agli elementi costitutivi sia in relazione a quelli accidentali, con nessuno dei quali può identificarsi la condizione personale di recidivo di un singolo compartecipe»; b) l’assurdità del sottrarre la perseguibilità penale al potere dispositivo della persona offesa in base ad una mera presunzione di maggiore capacità a delinquere del recidivo, la quale può essere esclusa, in concreto, dal giudice del dibattimento.

In definitiva, secondo la Sezioni Unite Paolini e le pronunce ad essa successive, la recidiva deve essere intesa come una circostanza aggravante “speciale” che non incide sulla gravità del fatto-reato a differenza di quelle che “ordinariamente” sono chiamate a qualificarlo in termini di maggior disvalore.

Nel disattendere tale orientamento, le Sezioni Unite con la pronuncia n. 3585 del 2021, hanno affermato, in via preliminare, la natura di circostanza aggravante a tutto tondo della recidiva, in alcun modo qualificabile come sui generis, sottolineando come tale natura sia stata ribadita anche dalla Corte costituzionale, intervenuta in più occasioni in materia di recidiva, e dalla più recente giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite. Ciò, nel solco della sentenza Sezioni Unite n. 35738/2010, Calibè,  che aveva affermato che in presenza di contestazione della recidiva (qualificata o meno che sia), è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.

La recidiva, infatti, «esplica un’efficacia extra-edittale», permettendo di fissare la sanzione finale oltre i limiti propri della comminatoria edittale e, al contempo, «assolve alla funzione di commisurazione della pena», adeguando la sanzione al fatto, considerato sia nel suo obiettivo disvalore, sia nella relazione qualificata con il suo autore. Trattandosi di una vera e propria circostanza aggravante, la recidiva è soggetta a giudizio di bilanciamento con le altre circostanze ai sensi dell’art. 69 c.p.

Anche la Corte costituzionale, intervenuta a più riprese dopo la legge Cirielli nel ricostruire i principi sottesi all’istituto della recidiva, ne ha individuato il fondamento nella più accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosità del reo, escludendo la conformità ai principi costituzionali di una lettura dell’art. 99 c.p. basata su qualsiasi forma di automatismo tale da elidere la discrezionalità del giudice (sentenza n. 192 del 2007, ordinanze n. 409 del 2007, nonché n. 33, 90, 193 e 257 del 2008, e n. 171 del 2009).

Proprio perché da sempre insensibile a tali automatismi, la peculiarità della recidiva come circostanza aggravante, risiede nel fatto che il suo riconoscimento è produttivo di effetti unicamente se il giudice ne accerta i requisiti costitutivi e la ritiene sussistente, verificando non solo l’esistenza del presupposto formale rappresentato dalla previa condanna, ma anche del presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla più elevata capacità a delinquere del reo da accertarsi discrezionalmente, con obbligo specifico di motivazione sia nel caso che venga riconosciuta sia nell’ipotesi che venga esclusa (Sezioni Unite n. 5859/2011 Marcianò e Sezioni Unite n. 31669/2016, Filosofi).

Le Sezioni Unite, allora, concludono affermando che costituisce vero e proprio diritto vivente la qualificazione della recidiva come circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole. Essa, nei suoi meccanismi applicativi, non differisce dalle ulteriori circostanze del reato e, nella sua espressione “qualificata”, è una circostanza aggravante ad effetto speciale. Da ciò ne consegue che ove ritenuta sussistente dal giudice, in quanto circostanza aggravante, rientra nel giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dall’art. 69 c.p. Il giudizio di equivalenza o di sub-valenza della recidiva rispetto alle circostanze attenuanti nell’ambito del giudizio di bilanciamento ai sensi dell’art. 69 c.p. non elide la sussistenza della recidiva stessa e gli effetti da essa prodotti ai fini del regime di procedibilità e non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata.

Affrontano, infine, per ultimo il grande problema della non comunicabilità delle circostanze soggettive ad effetto speciale ai correi del reato affermando in maniera molto chiara che, ai sensi dell’art. 118 c.p., l’eventuale perseguibilità d’ufficio del reato aggravato dalla recidiva qualificata non si comunica ai correi non recidivi, che continueranno così a beneficiare, in relazione alla loro singola posizione processuale, della  perseguibilità a querela.