La Corte di Cassazione con sentenza N. 17885/2021 conferma il consolidato orientamento di legittimità, in forza del quale la modifica dell’addebito cautelare ad opera del pubblico ministero in sede di riesame non impedisce al tribunale di confermare la misura in riferimento alla nuova ipotesi accusatoria .
Il principio è stato ribadito in tema di sequestro preventivo dopo che con decreto del 03-04/03/2020, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria aveva disposto il sequestro di circa 765 mila euro quale profitto del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 166 d. lgs. 24/02/1998, n. 166, per avere – l’indagato – svolto attività di investimento finanziario e di gestione collettiva del risparmio senza essere abilitato); e il sequestro preventivo della somma di circa 48 mila euro in relazione a molteplici e diversificati reati di cui di truffa, cui, all’esito della modifica disposta dal PM era stata aggiunta l’ulteriore imputazione di autoriciclaggio per avere – l’indagato – impiegato e, comunque, trasferito e sostituito denaro o altre utilità provenienti dalla commissione dei reati già contestati.
Sul punto la Corte di legittimità ha ribadito i seguenti principi di diritto:
la modifica dell’addebito cautelare ad opera del pubblico ministero in sede di riesame non impedisce al tribunale di confermare la misura in riferimento alla nuova ipotesi accusatoria spettando al pubblico ministero il potere di procedere nella fase delle indagini preliminari, in qualsiasi momento e, anche nel corso dell’udienza per il riesame delle misure cautelari, alle modificazioni fattuali della contestazione (Sez. 2, Sentenza n. 10255 del 26/02/2019, Mezzini, Rv. 275776; conf., ex plurimis, Sez. 3, n. 24602 del 26/05/2015, Errico, Rv. 263883; Sez. 2,n. 29429 del 20/04/2011, Scaccia, Rv. 251015).
Tale principio di diritto, secondo la Corte rende ragione anche dell’infondatezza delle doglianze incentrate sul richiamo da parte del giudice del riesame alla disciplina dettata dall’art. 423 cod. proc. pen., posto che, in tema di ricorso per cassazione, qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, Iamonte, Rv. 255515); infatti, se è censurata l’applicazione di una norma processuale, non ha alcuna rilevanza, in sede di legittimità, il fatto che tale scelta sia stata, o non, correttamente motivata dal giudice di merito, atteso che, quando viene sottoposta al giudizio della Corte suprema la correttezza di una decisione in rito, la Corte stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002.
Quest’ultima argomentazione appare di particolare pregnanza dal momento che permette alla Corte, in tema di riesame di prescindere totalmente dalle argomentazioni del provvedimento impugnato e costtuisce, in definitiva, il fondamento el giusizio di legittimità in ambito penale.
Sul punto appare perciò rilevante quanto affermato di recente in Cass. sez. un., 16 luglio 2020, n. 29541 secondo cui: In tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge.
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