L’Adunanza plenaria, sulla questione sollevata dalla III sezione del Consiglio di Stato se:

“le utilità conseguite”, di cui all’inciso finale contenuto sia nell’art. 92 comma terzo, sia nell’art. 94 secondo comma del D. Lgs. n.159/2011, siano da ritenersi applicabili ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo”

ha, in  data 15 luglio 2020  esposto il seguente principio di diritto:

“la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d,. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”.

COMMENTO

                Con la sentenza non definitiva n. 8672 del 2019, la Terza Sezione del Consiglio di Stato deferiva all’Adunanza Plenaria un quesito in tema di interpretazione degli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del D.Lgs. n.159/2011 nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Nello specifico si richiedeva se il limite normativo delle “utilità conseguite” dovesse ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo.

La questione traeva origine da una delibera del 2012 della Giunta Regionale della Regione Basilicata con la quale si era ritenuta finanziabile la domanda di aiuto avanzata dall’Azienda Alfa per la somma di € 251.342,50. Tale contributo veniva liquidato dall’Agea in diverse tranches nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016. La Regione Basilicata, intanto, nel dicembre 2012 e nel dicembre 2014 richiedeva il rilascio dell’informativa antimafia senza tuttavia ricevere alcuna risposta da parte della Prefettura competente. Solo nel maggio 2017, la Regione Basilicata comunicava all’AGEA che l’azienda finanziata era stata attinta da una informativa antimafia positiva, emessa dalla Prefettura di Potenza nel febbraio 2016. Per l’effetto, in attuazione dell’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011, l’AGEA disponeva, nel giugno 2017, la revoca dei contributi concessi e ne intimava la restituzione. Presentava, dunque, ricorso l’Azienda Alfa lamentando l’illegittimità della revoca dei finanziamenti per violazione dell’art. 92, d.lgs. 159/2011, in quanto AGEA non aveva tenuto conto delle opere già eseguite e dei benefici collettivi prodottisi attraverso l’impiego dei contributi erogati. Il Tar Basilicata, con la sentenza n. 707/2018, accoglieva il ricorso aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui gli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, D.Lgs. n. 159/2011, vanno applicati, oltre che alle revoche dei contratti di appalto pubblico anche alle revoche dei finanziamenti e/o contributi pubblici, che vengono corrisposti per finalità di interesse collettivo. Ricorreva, allora, in appello l’AGEA argomentando, in prima battuta, circa la necessità di valorizzare canoni di interpretazione restrittiva in tutte le ipotesi in cui vengano in rilievo disposizioni derogatorie ai principi ispiratori della normativa antimafia e ritenendo, secondariamente, che anche un’interpretazione “estensiva” della clausola di salvaguardia imporrebbe, comunque, una verifica del fatto che le risorse concesse siano state impiegate in modo effettivamente vantaggioso per l’interesse pubblico e rispondente alle finalità sottese al programma di finanziamento; valutazione che, nel caso di specie, sarebbe stata del tutto omessa da parte del primo giudice.

Nel deferire la questione all’Adunanza Plenaria, la Terza Sezione del Consiglio di Stato rilevava i due opposti orientamenti giurisprudenziali circa l’interpretazione da fornire agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del D.Lgs. n.159/2011. Secondo un primo orientamento (cd. estensivo) la norme dovrebbero essere intese nel senso di consentire lo ius ritentionis da parte dell’operatore attinto da informativa interdittiva in tutti i casi in cui il programma beneficiato da finanziamento pubblico sia stato correttamente realizzato e quindi risulti soddisfatto, anche in via indiretta, l’interesse generale sotteso all’erogazione. In base ad un secondo orientamento (cd. restrittivo), invece, la nozione di “utilità conseguite” non sarebbe dilatabile sino al punto da ricomprendervi anche l’ipotesi del finanziamento andato a buon fine mercé l’integrale realizzazione del programma finanziato, e ciò in quanto in tale evenienza l’interesse pubblico risulterebbe essere soltanto “indiretto”.

L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 23/2020, ha risolto il contrasto interpretativo statuendo che “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”. Per giungere a tale conclusione la Corte richiama la sentenza n. 3 del 2018, dalla stessa emessa, nella quale aveva specificato che il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione. Ciò che consegue alla interdittiva antimafia, pertanto, non costituisce un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì il (pur tardivo) accertamento della insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica. Posto, pertanto, l’estremo rigore usato dal legislatore al fine di evitare che la pubblica amministrazione abbia rapporti con soggetti che presentano le caratteristiche dell’infiltrazione mafiosa, ne consegue, secondo la Corte, che gli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d. lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, costituiscono norme di eccezione, e come tali di strettissima interpretazione. Tale conclusione trova fondamento, secondo la Corte, nell’art. 14 delle c.d. preleggi nonché nel fatto che queste norme, in concreto, consentono l’inverarsi di attribuzioni patrimoniali in favore di un soggetto incapace, ed altresì prive di una causa di attribuzione positivamente apprezzata dall’ordinamento. Adottando, dunque, tale approccio interpretativo ci si avvedrà come il dato letterale delle disposizioni in questione si opponga ad una sua estensione dai contratti di appalto ai finanziamenti.