Con pronuncia n. 4477 del 19 febbraio 2021, la Suprema Corte di cassazione, Sez. I, ha enunciato il seguente principio di diritto “L’interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca, deve essere tenuto distinto da quello, affatto diverso ed al primo non sovrapponibile, riguardante la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità postula, giusta la disciplina complessivamente desumibile dagli artt 10 cod. civ., 96 e 97 della legge n.633 del 1941, 137 del d.lgs. n. 196 del 2003 ed 8 del codice deontologico dei giornalisti, il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata ai fini della completezza e correttezza della divulgazione della notizia, oppure il consenso delle persone ritratte, o l’esistenza delle condizioni eccezionali giustificative previste dall’ordinamento”.

La controversia in esame riguarda, utilizzando le parole adoperate dalla S.C. nella pronuncia in commento “…lo specifico problema dei limiti alla lecita utilizzazione dell’immagine di una persona ( maggiorenne e/ o minorenne)contestualmente alla pubblicazione (almeno questa pacificamente autorizzata) della notizia ad essa corrispondente…”. In altre parole, ci si chiede se il diritto di cronaca, in presenza dei requisiti che ne legittimano l’esercizio, con particolare enfasi per la c.d. pertinenza della notizia all’interesse pubblico, possa spingersi al punto tale da comprendere anche la pubblicizzazione dell’immagine delle persone coinvolte, ovvero se tale diffusione, per essere legittima, necessiti altresì di uno specifico consenso degli interessati, ovvero della sussistenza al riguardo di un autonomo interesse (pubblico) affinché la divulgazione della notizia sia corretta e completa, ovvero ancora che ricorrano comunque eccezionali condizioni giustificative previste dall’ordinamento.

La questione trae origine da una vicenda del 2012, quando i genitori di una minorenne all’epoca ricoverata in stato vegetativo presso un istituto di cura e riabilitazione invitavano un noto calciatore a farle ivi visita allo scopo di provocare in lei una reazione positiva.

Il noto calciatore accoglieva dunque l’invito e si recava a far visita alla minore recapitandole in dono una maglietta con il proprio autografo; in tale occasione gli attori si lasciavano fotografare dal personale medico e venivano altresì scattate fotografie che riprendevano il calciatore accanto al letto della minore in compagnia dei genitori mentre tenevano in bella mostra la maglia autografata del calciatore.

Nei giorni successivi, questi ultimi apprendevano che le fotografie in questione erano state diffuse, a loro insaputa e senza consenso, da alcune testate giornalistiche.

Conseguentemente, agivano dinanzi al Tribunale di Napoli per ivi sentir condannare dette testate al risarcimento del danno.

L’adito tribunale respingeva la domanda attorea, sulla base di una serie di considerazioni che possono essere qui di seguito così sintetizzate:

– le fotografie erano state legittimamente pubblicate poiché perseguivano finalità giornalistiche e, dal contesto e dalle modalità con cui erano state effettuate, doveva ritenersi più che plausibile un consenso implicito alla loro diffusione;

– tali immagini  non risultavano lesive dell’onore, decoro, reputazione degli attori ed erano state pubblicate a corredo di articoli giornalistici che riportavano la notizia dell’evento ed esaltavano gli scopi terapeutici dello stesso;

– la pubblicazione, in uno con le fotografie, delle generalità complete della minore doveva ritenersi oggetto di tacito assenso da parte dei genitori di lei, dal momento che risultava la creazione di un profilo Facebook – che riportava i suoi dati anagrafici, come tale la minore essendo conoscibile da parte di un numero indeterminato di persone del suo nome e della sua triste vicenda personale – e non vi era stata una manifestazione di volontà contraria dei genitori;

– l’indicazione delle generalità complete della minore nel corpo dell’articolo giornalistico non era violativa del diritto alla riservatezza della stessa anche in riferimento ai parametri indicati nel Codice Deontologico per l’attività giornalistica e nella Carta di Treviso.

Contro tale decisione proponevano dunque gli attori ricorso per cassazione, affidandolo essenzialmente a tre motivi:

1) Violazione/falsa applicazione artt 96 e 97 L633/41, 137 Dlgs 196/2003, avendo il giudice di prime cure equivocato in ordine alla distinzione tra interesse pubblico alla diffusione della notizia, quale espressione del diritto di cronaca che esclude pacificamente la violazione del diritto alla riservatezza, ed interesse pubblico legittimante  la pubblicazione dell’immagine della persona così come avrebbe confuso il giudice tra consenso implicitamente prestato alla diffusione della notizia e quello alla diffusione dell’immagine;

2) Violazione/falsa applicazione degli artt 137 Dlgs 196/2003, 97 L 633/41, 10 cod. civ. e 21 Cost., avendo il giudice errato nella individuazione dell’interesse pubblico legittimante la diffusione dell’immagine e delle circostanze idonee ad evidenziare il consenso dell’avente diritto, motivando la propria decisione con argomenti palesemente contrari alle norme citate;

3)Violazione/falsa applicazione degli artt 97 L 633/41, 10 cod. civ. e 167 c.p.c., per aver il giudice errato in ordine alla sussistenza del consenso alla pubblicazione delle fotografie in questione, nonché avendo erroneamente ritenuto che gli attori non avessero contestato di aver acconsentito alla detta pubblicizzazione.

Fermo quanto precede, i giudici di legittimità, dopo aver correttamente inquadrato i termini della questione, ritengono necessaria una sintetica disamina relativa all’ubi consistam del diritto all’immagine ed alla definizione dell’esatta collocazione normativa del medesimo.

Riferito indirettamente il diritto all’immagine al principio personalista di cui all’art 2 Cost., l’immagine della persona rinviene la propria compiuta tutela negli artt 10 cod. civ., 96 e 97 L 633/41 ( c.d. legge sul diritto d’autore) i quali devono essere per questa via esaminati congiuntamente.

– L’art 10 cod. civ. rubricato “Abuso dell’immagine altrui”prevede una specifica tutela inibitoria, salvo il risarcimento del danno, in favore dei soggetti la cui immagine sia resa pubblica fuori dei casi previsti dalla legge, ovvero in danno del di loro decoro e della reputazione; il richiamo generico alla legge si intende riferito alle richiamate norme della legge sul diritto d’autore.

– L’art 96 di tale legge stabilisce che il ritratto di una persona ( termine questo da intendersi come sinonimo a quello di immagine adoperato dalla summenzionata disposizione civilistica) non possa essere pubblicizzato ovvero commercializzato senza il consenso della persona ritratta, salvo quanto previsto dall’art 97; è chiaro che, affinché il consenso cui la norma si riferisce, debba essere prestato da chi validamente possa disporre di tale diritto, all’uopo avendo raggiunto la maggiore età e godendo della capacità di intendere e di volere: con l’ovvia conseguenza che il soggetto minore di età e/o incapace di intendere  e di volere non possa disporre della propria immagine, dovendo il consenso essere prestato dal rappresentante legale ( esercente responsabilità genitoriale ovvero tutore) nel rispetto delle norme previste in materia, a condizione che ciò determini una qualche utilità per l’incapace ma senza pregiudizio per il medesimo.

Ciò posto, la S.C. rammenta l’orientamento pacificamente riconosciuto, tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza ( cfr., ex multis, Cass. n. 3014/2004; n. 21995/2008; n. 10957/2010; n. 1746/2016) a mente del quale il consenso alla diffusione dell’immagine  possa essere dato, purché liberamente ed in assenza di coercizioni, in qualsiasi forma, dunque anche in modo tacito, implicito o per fatto concludente: conseguentemente, è fatto obbligo al giudice di accertare rigorosamente – in base alle coordinate relative al giudizio prognostico e della causalità adeguata – che il comportamento serbato dall’avente diritto debba inequivocabilmente intendersi alla stregua di un vero e proprio atto autorizzativo.

– L’art 97 della legge sul diritto d’autore individua una serie di ipotesi tassative in cui non è necessario il consenso della persona ritratta ai fini della legittima pubblicizzazione della di lei immagine: trattasi di fattispecie in cui il sacrificio del diritto del singolo è giustificato a fronte di preminenti esigenze di pubblico interesse. Tuttavia, la deroga ad un tale diritto della personalità non  può non ubbidire ad un principio di proporzione, lo stesso giudice di legittimità ammettendo che “… se è giusto un sacrificio dell’interesse del singolo individuo di fronte ad esigenze della collettività, tale sacrificio non deve estendersi oltre i limiti idonei a soddisfare queste esigenze” .

Così ricostruito il quadro normativo nazionale, in cui sussumere i fatti di cui alla vicenda per cui è causa, la Corte si sofferma più specificamente sul requisito del consento tacito.

Pur ricordando che “una classica ipotesi si pone nel caso in cui una persona, volontariamente o almeno consapevolmente, si ponga in condizione di apparire accanto a personaggi noti, o di chi sia comunque collocato tra personaggi “pubblici”, così dimostrando gradimento oppure, quantomeno, consapevolezza o indifferenza alla eventualità di essere ripreso accanto al personaggio noto” così pure che …La sussistenza di un consenso tacito,inoltre, può desumersi anche dalle caratteristiche della riproduzione nonché dalle circostanze in presenza delle quali il soggetto si è fatto ritrarre…” é altrettanto chiaro come per verificare la sussistenza di un consenso tacito occorra “…esaminare attentamente le circostanze del caso concreto, in cui venne effettuata la riproduzione dell’immagine, al fine di individuare quegli elementi che possono apparire indicativi di una volontà del soggetto ritratto in ordine alla divulgazione del proprio ritratto”.

Sul punto, però, la S.C. ricorda come “…la circostanza che i dati personali siano stati resi noti direttamente in una pregressa occasione non ha valore di consenso tacito al trattamento anche in contesti diversi dalla loro originaria pubblicazione, poiché l’interessato può essere contrario a che l’informazione da lui già resa nota riceva una ulteriore e più ampia diffusione, dovendosi ritenere che la deroga prevista dall’art 137, ultimo comma, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 concerna solo l’essenzialità del dato trattato e non anche l’interesse pubblico alla sua diffusione, di cui va apprezzata autonomamente l’idoneità…”

Vi è però anche che, poiché la vicenda concerne anche un soggetto minore di età, peraltro incapace di intendere e di volere poiché versante in stato vegetativo semi – comatoso, non può non considerarsi all’uopo pertinente la normativa internazionale relativa alla tutela dei diritti del fanciullo, di cui alla Convenzione di New York del 1989, ratificata dallo Stato italiano con L 176/91: dispone sul punto l’art 16 della suddetta che nessun fanciullo possa essere oggetto di arbitrarie od illegali interferenze nella sua vita privata, nel suo ambito familiare, domicilio o corrispondenza, così neppure offese al proprio onore ed alla sua reputazione.

Tale disposizione è da leggersi congiuntamente a quanto stabilito dal previo art 3 della Convenzione medesima, a mente del quale, in tutte le decisioni assunte anche dalla A.G. nei confronti dei fanciulli deve avere carattere preminente il c.d. Best interest of the child: con la conseguenza che “…  ll diritto alla riservatezza del minore deve essere, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali ( diritto di cronaca e diritto alla privacy) considerato assolutamente preminente …” ( in tale prospettiva, cfr, ex multis, Cass. n. 19069/2006, n.15360/2015 e n. 18006/2018).

Del resto, prosegue la corte che la ricorrenza dei requisiti legittimanti la prevalenza del diritto di cronaca su quello alla riservatezza non comporta che oltre alla notizia, possa automaticamente pubblicizzarsi anche l’immagine dei soggetti interessati, la quale trova una regolamentazione autonoma e più rigorosa, alla stregua di quanto si è ampiamente detto in precedenza: ciò in quanto costituisce una espressione di un principio fondamentale che, pur essendo accostabile alla riservatezza, se ne distingue per la circostanza di avere ad oggetto un dato attinente alla identità personale, la cui fruibilità da parte dei terzi può cessare in qualsiasi momento per scelta dell’interessato medesimo.

In tal senso depone l’art 137 del Codice della privacy, nel testo antecedente alla riforma del 2018 e qui applicabile ratione temporis, il quale prevede che in caso di diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica, restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela, tra l’altro, del diritto alla identità personale e, in particolare, il limite non già del mero interesse pubblico, bensì quello della essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di pubblico interesse.

Tali limiti devono essere integrati con quelli di cui agli artt 7 e 8 del Codice deontologico dei giornalisti, approvato dal Consiglio Nazionale dell’ordine nel 1998, al quale la S.C. ha già avuto modo  di riconoscere valore di fonte normativa, mercé il richiamo operato dal Codice della privacy e poiché pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ed al cui rispetto gli iscritti all’Ordine non possono quindi prescindere, perché la relativa violazione non solo li esporrebbe a sanzioni disciplinari, ma potrebbe anche essere causa di responsabilità civile per l’autore medesimo e la sua testata ( cfr. Cass. n 17408/2012 e n. 16145/2008).

Anche la fonte di autoregolamentazione deontologica citata prevede la prevalenza del diritto del minore alla riservatezza rispetto al diritto di critica e di cronaca.