Nelle sentenze 32 e 33 del 2021, la Corte Costituzionale torna ancora una volta a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune previsioni della legge 40 del 2004. Nello specifico, la pronuncia n. 32/2021 trae origine dall’ordinanza del Tribunale ordinario di Padova con la quale si sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 e 250 del codice civile, che, sistematicamente interpretati, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale (ossia non biologica) che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore. La sentenza n. 33/2021, invece, muove da un ordinanza della prima sezione della Corte di cassazione la quale riteneva costituzionalmente dubbie le disposizioni di cui all’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, all’art. 64, comma 1, lettera g), della legge 31 maggio 1995, n. 218 e all’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».
In entrambi i casi la preoccupazione principale dei rimettenti si sostanziava, anche alla luce della più recente giurisprudenza europea, nel vuoto di tutela del minore generato dall’impossibilità di riconoscere giuridicamente il legame esistente con il c.d. genitore intenzionale ossia con il soggetto, partner del genitore biologico, che aveva condiviso il progetto procreativo. Infatti, nel caso di cui alla sentenza n. 31/2021, il Tribunale di Padova riteneva fosse violato il diritto del nato a far valere, nei confronti delle due persone, pur dello stesso sesso, che si sono comunque assunte la responsabilità della procreazione, i propri diritti al mantenimento, all’educazione, all’istruzione, ma anche i diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e di crisi della coppia. Analogamente, la prima sezione della Corte di Cassazione, alla luce della sentenza delle S.U. n. 12193/2019 che ha escluso la possibilità di riconoscere efficacia al provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione, lamentava l’inadeguatezza dell’attuale diritto vivente in Italia rispetto agli standard di tutela dei diritti del minore stabiliti in sede convenzionale giacché sarebbe lesivo dei suoi diritti al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), a non subire discriminazioni, a vedere preso in considerazione preminente il proprio interesse, a essere immediatamente registrato alla nascita e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, a essere da loro allevato e a non esserne separato (rispettivamente, artt. 2, 3, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo), del principio della responsabilità comune dei genitori per l’educazione e la cura del figlio (art. 18 della medesima Convenzione), nonché dei diritti riconosciuti dall’art. 24 CDFUE.
La Corte Costituzionale, nella sentenza 32/2021, riconosce la necessità di tutelare il preminente interesse del minore, che, secondo la giurisprudenza della Corte Edu, comprende la garanzia del suo diritto all’identità affettiva, relazionale, sociale, ed è fondato sulla stabilità dei rapporti familiari e di cura nonché sul loro riconoscimento giuridico, e, in tal ottica, ritiene che effettivamente le questioni sollevate dal Tribunale di Padova palesino la necessità di un intervento volto a rimediare all’insufficienza degli strumenti attualmente previsti (in specie l’adozione in casi particolari che richiede, comunque, il consenso del genitore biologico) riconoscendo in qualche modo il legame tra il minore e il genitore intenzionale. Per la Corte, infatti, occorre evitare che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versino in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Tale intervento, tuttavia, secondo la Corte compete al legislatore giacché diversamente si rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Tiene a sottolineare la Corte, comunque, che l’intervento del legislatore deve essere celere in quanto non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore.
Analogamente, nella sentenza 33/2021, la Corte riafferma la necessità che nelle decisioni concernenti il minore venga sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”» (sentenza n. 11 del 1981) e ritiene indubbio che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo sia quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata. Pertanto, precisa la Corte che oggetto della discussione non deve essere un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino, quanto l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Evidenzia la Corte, tuttavia, che gli interessi del minore devono comunque essere bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore. Tale bilanciamento, invero, è stato operato dalla Corte Edu che, pur ritenendo necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il “genitore d’intenzione”, al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati, ha lasciato alla discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato. Ora, la Corte Costituzionale ritiene che il ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, indicato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite come mezzo di tutela del minore, rappresenta una misura non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali e, pertanto, afferma la necessità di un nuovo procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino. Posto, tuttavia, che le opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, sono molteplici, ritiene la Corte opportuno cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore, al fine di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata.
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