Con la pronuncia n. 73 del 2020 ( Pres. Cartabia, Redattore Viganò) la Corte Costituzionale interviene (nuovamente) a sancire l’illegittimità dell’art 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art 89 c.p., relativa al vizio parziale di mente, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata ex art 99, comma 4, c.p.
La questione afferisce il c.d. concorso eterogeneo di circostanze, e cioè ad una fattispecie penale concreta in cui si ravvisi la ricorrenza tanto di una circostanza aggravante quanto di una attenuante: in tali casi, l’art 69 del codice penale prevede che il giudice debba operare il c.d. bilanciamento tra le due circostanze, al fine di verificare in relazione al caso concreto quale debba considerarsi prevalente – con la conseguenza che troverà applicazione unicamente quest’ultima, con relativo aggravio ovvero diminuzione della pena – ovvero ancora se le due circostanze siano da considerarsi tra loro equivalenti, tale che viene ad applicarsi la pena prevista per il solo reato base ma senza tener conto dell’incremento determinato dalla circostanza aggravante oppure della diminuente prevista dalla circostanza attenuante.
La ratio dell’istituto del bilanciamento risiede nella necessità di operare un giudizio complessivo ed ampio della fattispecie, avendo particolare riguardo alla personalità del reo e gravità del reato da questi commesso.
L’ultimo comma del citato art 69 c.p. preclude al giudice di ritenere la prevalenza delle circostanze attenuanti che dovessero ricorrere con riferimento al caso concreto rispetto ad una serie di circostanze aggravanti, ivi inclusa quella della recidiva c.d. reiterata ex art 99, comma 4, c.p. che comporta l’aumento della pena, a seconda dei casi, della metà ovvero dei due terzi nei confronti del soggetto già (dichiarato) recidivo che abbia commesso un altro delitto non colposo.
La ratio del trattamento sanzionatorio particolarmente severo previsto per tale forma di aggravante personale ad effetto speciale si rinviene nella maggiore colpevolezza e pericolosità del reo – sulla base di una valutazione circa l’esistenza di una relazione qualificata tra quest’ultimo ed il reato commesso – il quale è meritevole di maggior rimprovero perché non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato ammonito, mercé le precedenti condanne riportate, sul proprio dovere di osservare la legge penale e, dunque, di astenersi dalla ulteriore perpetrazione di fatti criminosi.
Orbene, la norma da ultimo citata è stata censurata, ancora una volta, per lesione del principio di ragionevolezza così come di quelli di colpevolezza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena, nella misura in cui il divieto in parola – in relazione al vizio parziale di mente ex art 89 c.p. – non consente al giudice di procedere alla c.d. “individualizzazione” del trattamento penale, che tenga conto della reale situazione soggettiva del singolo condannato, assicurando così che la pena, così proporzionata, possa assolvere alla propria finalità rieducativa.
La questione trae origine dall’ordinanza del 29.1.2019 con cui il Tribunale ordinario di Reggio Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in relazione agli artt 3,27 commi 1 e 3, 32 Cost. – dell’art 69 comma 4 c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente, di cui all’art 89 c.p., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata, ex art 99 comma 4 c.p. Riferisce il giudice a quo di essere stato chiamato a giudicare, in sede di giudizio abbreviato, della penale responsabilità di due imputati per i delitti di furto pluriaggravato ex artt 624 e 625, numeri 2) e 7), 61 numero 5, c.p. commesso in concorso tra loro. A tali imputati era stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, in relazione a plurimi precedenti per reati contro il patrimonio, alcuni dei quali commessi in epoca relativamente recente. Per entrambi detti imputati è stata dal giudice disposta perizia psichiatrica, dalla quale è emersa una infermità mentale tale da scemare grandemente la di loro capacità di intendere e di volere, senza tuttavia escluderla, essendo state riscontrate alterazioni psicopatologiche tali da condurre alla diagnosi del Disturbo della Personalità, così come postumi di Disturbo da Abuso di Sostanza Stupefacenti,ad oggi in parziale remissione.
Tali patologie, ad avviso del perito nominato dal Tribunale, sarebbero di tipologia ed entità tale da incidere in particolar modo sulle capacità mentali di programmazione, valutazione inferenziale, criteri di appropriatezza e di opportunità, valutazione del rischio anche con riguardo all’utilità personale.
Il giudice rimettente, pur ritenendo per il caso di specie la ricorrenza dei presupposti di applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata, rileva che l’applicazione dell’automatismo di cui all’art 69 comma 4 c.p. condurrebbe all’esito di escludere la possibilità di adeguare la pena alla effettiva gravità del fatto ed alle particolari condizioni soggettive degli imputati, attraverso il riconoscimento, invece precluso dalla norma sospetta di incostituzionalità, della prevalenza dell’attenuante del vizio di mente rispetto alla aggravante di cui alla recidiva reiterata. Senza considerare, peraltro, la violazione del principio di ragionevolezza tale da compromettere gli equilibri che la Costituzione impone nella strutturazione della responsabilità penale ( cfr. sul punto Corte Cost. n. 68/2012 e n. 251/2012).
Sul punto, il rimettente richiama la copiosa giurisprudenza costituzionale che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art 69 comma 4 c.p. in relazione a specifiche circostanze attenuanti. Tutte queste pronunce hanno richiamato il principio di offensività ed il connesso necessario riferimento al “diritto penale del fatto”, in cui cioè non è dato assumere, nel processo di personalizzazione del trattamento penale, che aspetti relativi alla colpevolezza e pericolosità del reo possano tracimare prevalendo rispetto al fatto oggettivo.
Parimenti, nel caso di specie, appare palese anche la lesione del diritto alla salute ex art 32 Cost., dal momento che l’o.g. dovrebbe, nei confronti di chi sia, seppur parzialmente, insano di mente, prevedere una reazione alla commissione di un reato che sia al contempo improntata alla tutela della sua salute.
Così riassumibili i termini della problematica posta a base dell’incidente di incostituzionalità, la Consulta, con la pronuncia in commento, ritiene fondata la questione ritenendo, nuovamente,l’art 69 comma 4 c.p. violativo dei principi di cui agli artt 3 e 27, commi 1 e 3, Cost.
Ricorda il Giudice delle leggi, anzitutto, la propria giurisprudenza, costantemente intesa ad ammettere deroghe al regime ordinario di bilanciamento tra circostanze eterogenee, all’uopo rientrando nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, a condizione che non siano manifestamente irragionevoli ovvero arbitrarie ( cfr. sul punto le richiamate sentenze della Corte Cost. n. 68 e 251 del 2012 e Corte Cost. 88/2019), dovendo la responsabilità penale essere strutturata sulla base di equilibri costituzionalmente imposti e che non possono, e non devono, subire alcuna alterazione di sorta. Per questa via, la Corte rammenta che a più riprese è dovuta intervenire a sancire tali postulati con riferimento all’art 69 comma 4 c.p., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza, rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, di circostanze attenuanti particolarmente significative ai fini della definizione della gravità concreta del reato.
Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva: si considerino, in tal senso, le pronunce 251/2012, 105/2014, 106/2014, 205/2017 della Consulta.
Particolarmente interessante è anche la pronuncia n. 74/2016, nella quale il Giudice delle leggi ha censurato l’art 69 comma 4 c.p. nella parte in cui non consentiva la prevalenza dell’attenuante che mira invece a premiare l’imputato per la propria condotta post delictum – essendosi cioè adoperato al fine di evitare che il delitto fosse portato a conseguenze ulteriori – e che è stata ritenuta significativa nella misura in cui l’autore del reato, poiché si dissocia fattivamente dall’ambiente criminale in cui era inserito, esponendosi così a pericolose ritorsioni, dimostra concretamente di anelare ad una cambiamento di vita improntato al riconoscimento dei valori della legalità e della civile e pacifica convivenza sociale.
Con riguardo al caso di specie ritiene la Corte che la circostanza attenuante ex art 89 c.p. afferisca non già al profilo oggettivo della offensività del fatto concreto rispetto al bene protetto dalla norma incriminatrice, e nemmeno ad una finalità premiale per la condotta post delictum , quanto piuttosto al minor grado di rimproverabilità soggettiva dell’autore, che deriva dal minor possibilità di discernimento circa il disvalore sociale della propria condotta e dalla minore capacità di controllo dei propri impulsi, per via del ricorrere di patologie che, come previsto dallo stesso art 89 c.p., si sono rivelate idonee a scemare grandemente la di lui capacità di intendere e di volere. Ora, tra i fattori suscettibili di scemare grandemente la capacità di discernimento del reo, con conseguente applicabilità della relativa attenuante, figurano anche i c.d. disturbi significativi della personalità, così come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla nota pronuncia a Sezioni Unite della S.C. n. 9163 del 2005.
Orbene, è noto che la giurisprudenza costituzionale – a partire dalla nota pronuncia 364/1988, relativa al ripudio, da parte dell’o.g. italiano, della responsabilità penale c.d. oggettiva – individua nella rimproverabilità soggettiva il presupposto essenziale affinché, in nome del principio di colpevolezza ex art 27 Cost. e dei relativi corollari, un determinato fatto di reato possa essere imputato al suo autore: ciò in base all’elementare considerazione per cui se è vero che la pena abbia una finalità rieducativa, tale da essere irrogata a seguito del giudizio di riprovevolezza del fatto di reato commesso dal reo – il quale ben avrebbe potuto, in concreto, astenersi dalla violazione della norma penale ma non lo ha fatto – è anche vero l’opposto: se un soggetto ha si commesso un reato, ma poiché in relazione al caso concreto non si poteva da lui attendere la condotta doverosa, perché, come nel caso che qui occupa, è insano di mente, allora nessun giudizio di riprovevolezza può essere mosso nei suoi confronti e dunque, non potendo rieducare chi non può essere rieducato, non potrà essere considerato bisognoso di pena.
Ancora, se al soggetto che ha commesso un reato può essere mosso un addebito di riprovevolezza solo parziale, di grado minore proprio in virtù del parziale vizio di mente che ha scemato la di lui capacità di discernimento, allora, in nome del principio di proporzionalità e personalizzazione del trattamento penale ex artt 3 e 27 comma 3 Cost., dovrà essere applicata una pena inferiore rispetto a quella comminabile, a parità di disvalore oggettivo del reato, nei confronti di chi invece goda di una capacità di intendere e di volere pienamente effettiva,trovandosi in uno stato di completa normalità psichica: con la conseguenza che equiparare il trattamento sanzionatorio, pur a parità del disvalore oggettivo, per fatti che esprimono un diverso grado di rimproverabilità soggettiva collide, prima ancora che con i principi di personalizzazione e finalità rieducativa della pena, con il basilare principio di ragionevolezza di cui all’art 3 Cost ( cfr Corte Cost. 26/1979).
Conclude infine la Corte, prima di dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma censurata nei termini già sopra ricordati, che le statuizioni di principio che precedono non devono però essere intese come il sacrificio delle esigenze di tutela della collettività contro l’accentuata pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterato: infatti, se è certo che il quantum della pena debba riflettere opportunamente il grado di rimproverabilità soggettiva dell’agente, si rammenta che l’o.g. consente di assoggettare coloro che siano stati condannati ad una pena diminuita in ragione della infermità psichica di cui sono affetti ad una misura di sicurezza ( oggi da individuarsi secondo quanto disposto dall’art 3 – ter comma 4 DL 211/2011, convertito con modificazioni nella L 9/2012) se e nella misura in cui ne persista la pericolosità sociale, così come valutata ex art 679 c.p.p. dal magistrato di sorveglianza, una volta che la pena sia stata scontata.
Tale misura di sicurezza, d’altronde, dovrebbe essere conformata in modo da consentire non solo l’efficace contenimento della pericolosità sociale del reo ma anche adeguati trattamenti delle patologie o disturbi che lo affliggono ( secondo il medesimo principio espresso da Corte Cost. 253/2003 in relazione al soggetto affetto da vizio totale di mente) unitamente ad attività di sostegno efficaci in vista del riadattamento di questo alla vita sociale ( obiettivo espressamente ascritto alla libertà vigilata, cfr. Corte Cost. 24/2020, ma sicuramente estensibile alla generalità delle misure di sicurezza).
E forse proprio in ciò risiede il merito della pronuncia 73/2020 della Corte costituzionale, laddove il Giudice delle leggi prende atto della necessità, a discapito di quanto si verifichi nella prassi, di una effettiva razionalizzazione del sistema di coordinamento tra pene e misure di sicurezza che dovrebbe consentire una protezione adeguata dal rischio che il soggetto affetto da vizio parziale di mente commetta ulteriori reati. Il tutto, quindi, senza che si addivenga ad ingiustificate forzature della fisionomia costituzionale della pena, la quale non può che essere intesa esclusivamente come reazione proporzionata dell’o.g. ad un fatto penalmente rilevante che sia oggettivamente offensivo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e soggettivamente rimproverabile al suo autore.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.