Con ordinanza n. 622/2019 la Corte di Cassazione ha ritenuto contrario a buona fede il comportamento del promissario venditore che, richiesto esplicitamente del rilascio del certificato di abitabilità in previsione della stipula del contratto definitivo da parte del promissario acquirente, vi abbia indebitamente opposto un rifiuto.

Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte, l’acquirente aveva corrisposto alla venditrice 2500 euro prima della stipula, altri 2500 da versarsi alla firma del preliminare e circa 54mila con la sottoscrizione del definitivo. La parte acquirente aveva sollecitato a più riprese il venditore a produrre il certificato di abitabilità dell’immobile, ma il documento non era stato mai esibito, sì da causare il recesso dal contratto da parte del promissario acquirente che non aveva voluto più addivenire al rogito. In sede di merito, la causa aveva avuto due esiti di segno differente. Mentre il Tribunale di Velletri aveva rigettato la domanda attorea, non ritenendo sussistente un’ipotesi di inadempimento della promittente venditrice, dal momento che nel contratto non era stabilito alcun obbligo di consegna dei documenti richiesti, a carico della promittente venditrice, entro la data prevista per il definitivo, i giudici d’appello avevano riformato la sentenza di primo grado ritenendo integrato l’inadempimento della parte venditrice in sede di conclusione del preliminare. Avevano, in particolare, ritenuto che, per consentire la stipula del contratto definitivo, il promissario venditore avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante la regolarità urbanistica dell’immobile con particolare riguardo al certificato di abitabilità, il quale era stato richiesto più volte, senza che, in proposito, fosse stata dato giustificata risposta. Secondo i giudici di secondo grado, tale inadempimento contrattuale, giustificava la risoluzione del contratto, con conseguente obbligo restitutorio delle somme ricevute a vario titolo dalla parte appellata.

La Corte di Cassazione ha innanzitutto osservato che la ricorrente  venditrice aveva garantito la regolarità urbanistica così come accertato in fatto dai giudici di merito. Sulla base di ciò il Collegio, dopo aver ricordato che nella vendita di un immobile destinato ad abitazione il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto trattandosi di un elemento “in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità”,  ha ritenuto immune da censure il ragionamento della Corte territoriale competente circa l’attualità dell’obbligo della consegna del certificato di abitabilità anche nella fase della stipula del contratto preliminare e, segnatamente, prima del rogito in ragione delle ripetute richieste del promissario acquirente. Il Supremo Collegio ha infatti ritenuto che la Corte di merito avesse fatto corretta del principio di buona fede oggettiva che impone la reciproca lealtà di condotta ad entrambe le parti in tutte le fasi contrattuali trattandosi di una clausola generale operante “tanto sul piano dei comportamenti del creditore e del debitore, quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione del contratto”. Per i giudici di legittimità, il principio di buona fede e correttezza si concretizza “nel dovere di ciascun contraente di cooperare all’interesse della controparte” sì da porsi come “un impegno od obbligo di solidarietà”. Ciò, soprattutto come nel caso in esame, vi era stata assunzione di una specifica obbligazione a garantire l’abitabilità del bene e quindi all’esistenza del relativo certificato.