Sull’inadempimento dello Stato italiano alla trasposizione legislativa delle Direttive non esecutive in tema di retribuzione di medici specializzandi

Le Sez. Unite della Cassazione, a risoluzione di contrasto, hanno con sentenza  N. 30649/2018 confermato l’orientamento secondo il quale, in caso di azione giudiziale diretta a far valere l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo “ex lege” di trasposizione legislativa, nel termine prescritto, di direttive comunitarie non autoesecutive (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), la legittimazione passiva spetta esclusivamente alla Stato italiano, e per esso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la precisazione che in, caso di erronea evocazione in giudizio di un diverso organo dell’apparato statale, trova applicazione l’art. 4 della l. n. 260 del 1958, il quale deve essere correttamente interpretato nel senso che, qualora l’Avvocatura dello Stato non sollevi tempestiva eccezione con contestuale indicazione dell’organo legittimato, l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale non potrà più essere eccepita dalla parte né rilevata d’ufficio dal giudice.

La sentenza sopra richiamata appare pregevole perché ha fatto definitivamente chiarezza sul concetto di autonomia soggettività giuridica delle Amministrazioni statali”, interpretazione contrastata fra più Sezioni della Corte di Cassazione, divise tra un orientamento che riteneva esservi una completa divaricazione fra la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i singoli Ministeri ed un altro che, al contrario, riteneva esservi una mera suddivisione fra organi.

Le Sezioni Unite, dopo aver richiamato  il principio di legittimità  da ritenersi definitivamente acquisito in virtù del quale la legittimazione passiva sostanziale nelle azioni aventi ad oggetto l’inadempimento dello  Stato Italiano all’obbligo  ex lege di trasposizione legislativa di Direttive italiane non autoesecutive, spetta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quale “articolazione dell’apparato statuale” abilitata “a rappresentare lo Stato nella sua unitarietà”, ha esaminato le conseguenti derivanti dall’erronea interpretazione dell’art. 4 della legge n. 260/58 , in tutte le ipotesi in cui sia stata evocata in giudizio una “persona” (e cioè nel caso della PA una specifica articolazione dell’organizzazione dello Stato) non fornita di legittimazione processuale. Ha così ritenuto che in un’ottica interpretativa adeguatrice del sistema processuale, volta a restringere – per quanto più è possibile – i casi di inammissibilità dell’azione giudiziale contro la PA onde non rendere eccessivamente difficile l’esercizio della tutela giurisdizionale, i rapporti fra la Presidenza del Consiglio ed i singoli Ministeri fossero da intendersi esistenti non tra distinte persone giuridiche pubbliche ma tra organi, cioè tra articolazioni dello Stato, fornite, tutte di distinta legittimazione.  Di conseguenza, la carenza di legittimazione dell’organo dello Stato convenuto in giudizio deve essere considerata una mera irregolarità. Per avere rilevanza processuale devono ricorrere le seguenti tre condizioni:

  1. L’eccezione relativa alla carenza di legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere eccepita dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza e deve essere accompagnata dall’indicazione dell’organo competente.
  2. L’eccezione deve essere seguita dall’imposizione – d’ufficio – del giudice di un termine entro il quale disporre la rinnovazione della notificazione dell’atto all’organo legittimato,
  3. In difetto degli atti sub a) e sub b) resta preclusa la possibilità di far valere in giudizio l’irrituale costituzione del rapporto processuale, ferma restando, naturalmente, la  facoltà dell’organo legittimato  di intervenire spontaneamente in giudizio.