Nell’ordinamento giuridico italiano il principio della causa petendi rappresenta l’ordinario e generale criterio di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.   La regola, sancita dall’art. 103, comma 1, Cost. e confermata dall’art. 7 c.p.a., affida il riparto della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo alla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi. In applicazione del criterio della causa petendi, infatti, al fine di individuare la linea di confine tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa si deve guardare alla consistenza della posizione giuridica soggettiva azionata: spetterà, quindi, al giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi mentre saranno devolute alla cognizione del giudice amministrativo le controversie relative agli interessi legittimi.  L’art. 103 comma 1 Cost., in tema di riparto di giurisdizione, stabilisce un’ampia eccezione attribuendo rilevanza alla particolarità di alcune materie espressamente individuate dalla legge la cui cognizione, anche se concernente diritti soggettivi, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In queste ipotesi, infatti, stante la difficoltà a distinguere tra interessi legittimi e diritti soggettivi il legislatore, per esigenze di concentrazione della tutela, ha ritenuto opportuno attribuire ad un unico giudice la cognizione dell’intera controversia.  Il riconoscimento della giurisdizione esclusiva, infatti, trova il suo fondamento  nella  complessità  delle situazioni giuridiche soggettive oggetto di valutazione da parte dell’Autorità Giudiziaria e  nella conseguente necessità  di comprendere tanto profili di interesse legittimo quanto profili di diritto soggettivo in una fattispecie unitaria.

L’art. 7 co. 5 c.p.a. individua le materie affidate alla giurisdizione esclusiva in quelle indicate dalla legge e dall’art. 133 c.p.a. La norma, quindi, ribadisce la necessità dell’interpositio legislatoris per l’individuazione di tali materie e, nel far salva la possibilità di ulteriori interventi successivi al codice, offre, con l’art. 133 c.p.a., un ampio catalogo di materie nelle quali il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva.   Tra le materie in cui è prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’art. 133 comma 1. lett. l) c.p.a. annovera anche i provvedimenti – inclusi quelli sanzionatori ed esclusi quelli relativi al rapporto di pubblico impiego privatizzato – di alcune autorità indipendenti elencate nominativamente.

Data, infatti, la natura amministrativa delle autorità indipendenti i lori atti possono essere sottoposti al sindacato giurisdizionale.Tuttavia tale statuizione non è stata affatto pacifica in quanto si è lungo discusso sulla natura giuridica delle autorità indipendenti e sulla conseguente assoggettabilità dei loro atti al sindacato giurisdizionale amministrativo.  Le autorità indipendenti sono state istituite per l’esigenza di salvaguardare, in alcuni settori sensibili dell’ordinamento connotati da un elevato tasso di tecnicismo (quali il mercato concorrenziale, i servizi pubblici e così via) il rispetto delle regole del gioco – e quindi del principio di concorrenza (tutelato dall’art. 41 della Costituzione e a livello sovranazionale dagli artt. 101, 102, 106 e 107 TFUE) – e al contempo per tutelare gli interessi di coloro che operano all’interno di quel dato settore. Le autorità indipendenti, infatti, sono organismi super partes che si pongono in una posizione di  neutralità rispetto ai soggetti che operano in quel determinato ambito settoriale e, per tale ragione, sono titolari di poteri e funzioni di varia natura (funzioni amministrative in senso classico, funzioni contenziose, funzioni normative, funzioni ausiliarie, poteri di formazione, di regolazione, di controllo e sanzionatori).

Proprio l’attribuzione dei suddetti poteri ha posto in dottrina la questione della natura giuridica delle autorità indipendenti. Secondo una prima impostazione i suddetti organismi avrebbero natura amministrativa rientrando nell’ampio genus pubblica amministrazione. Altra parte della dottrina, invece, facendo leva sui poteri di cui sono titolari le autorità, in particolar modo quelli di natura contenziosa, considera le stesse dei veri e propri organi giurisdizionali o para-giurisdizionali e, conseguentemente, le colloca al di fuori del circuito dell’amministrazione con tutte le conseguenze che ne derivano. Secondo l’orientamento oggi prevalente, confermato anche dalla recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 13 del 2019, le autorità indipendenti sono organismi aventi natura amministrativa con caratteristiche peculiari. Il dato caratterizzante le autorità è, infatti, la loro posizione di neutralità – e non di imparzialità – e di indipendenza rispetto a tutti gli attori operanti all’interno di un dato settore.

La giurisprudenza, infatti, ha escluso categoricamente la possibilità di riconoscere natura para-giurisdizionale alle autorità indipendenti affermando che l’ordinamento non conosce un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione. L’affermata indipendenza delle autorità amministrative non è assimilabile all’indipendenza e la terzietà del giudice. L’istituzione di autorità indipendenti, infatti, risponde all’esigenza di dare corpo non ad una funzione giurisdizionale speciale ma ad una funzione amministrativa di garanzia in ragione della quale è configurata l’indipendenza dell’organo.

Acclarata, quindi, la natura amministrativa delle autorità indipendenti ne consegue che i loro atti possano essere assoggettati al controllo giurisdizionale. Tuttavia, nonostante la previsione di cui all’art. 133 comma 1 lett. l) c.p.a, non è affatto omogeneo il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario. Le autorità indipendenti, infatti, sono state istituite dal legislatore in un arco temporale molto lungo (la prima legge istitutiva fu la legge Bassanini del 1997) per finalità e assetti organizzativi e funzionali del tutto non omogenei, motivo per cui tutt’oggi non costituiscono un fenomeno unitario né sul piano sostanziale né su quello processuale.

Anche il riparto di giurisdizione è un evidente segno di disomogeneità. Non esiste, infatti, un regime processuale unitario in relazione all’impugnazione degli atti delle autorità indipendenti: in alcuni casi la giurisdizione è affidata al giudice ordinario, come per l’autorità garante della privacy, mentre nella maggior parte delle ipotesi è prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L’art. 133 c. 1 let. 1) c.p.a. prevede, infatti, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui provvedimenti, inclusi quelli sanzionatori, ed esclusi quelli relativi al rapporto di pubblico impiego privatizzato, di alcune autorità indipendenti, elencate nominativamente ossia AGCM, autorità per le garanzie nelle comunicazioni, autorità per l’energia elettrica e il gas e le altre autorità per i servizi di pubblica utilità istituite ai sensi della legge n. 481 del 1995, della Covip, della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della p.a. e dell’Ivass.

L’art. 134 co. 1 lett c) c.p.c. attribuisce, altresì, al g.a. la giurisdizione di merito anche sulle sanzioni pecuniarie.

La tendenza dell’ordinamento è quella di prevedere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che assume il ruolo di giudice naturale ed esclusivo sui provvedimenti delle autorità indipendenti salvo eccezioni. Una delle eccezioni è costituita dai provvedimenti sanzionatori della Consob e della Banca d’Italia. Il riparto di giurisdizione sulle sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia è stato ridisegnato da due interventi della Corte Costituzionale del 2014 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 133 co.1 lett. l) c.p.a. nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia.   L’impugnazione degli atti adottati dalle autorità indipendenti è soggetta al rito speciale disciplinato dall’art. 119 c.p.a. che prevede una procedura accelerata per la definizione del giudizio.

Il sindacato del giudice sugli atti delle autorità indipendenti è sinonimo di ricerca di un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze da un lato quella di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale e, dall’altro, quella di evitare che il giudice possa esercitare direttamente un potere in materie rimesse alla competenza tecnica delle autorità indipendenti violando, quindi, il principio di separazione dei poteri.

Il problema di individuare questo punto di equilibrio nasce dal fatto che la legge, nei settori regolati dalle autorità indipendenti, fa spesso riferimento a concetti giuridici indeterminati la cui concreta integrazione richiede l’utilizzo di regole tecniche specialistiche connotate dal requisito dell’elasticità e, quindi, dall’opinabilità delle relative applicazioni.

La valutazione dell’autorità amministrativa è imperniata, quindi, su elementi appartenenti anche a scienze non giuridiche, come in particolare le scienze economiche, che hanno carattere di opinabilità. Si tratta di una valutazione che si colloca, quindi, in una sfera intermedia tra l’attività vincolata e discrezionalità pura. In altri termini la norma, per essere applicata, implica l’utilizzo da parte dell’autorità indipendente di valutazioni tecniche opinabili, ovvero, dell’esercizio di una discrezionalità tecnica.  Le pronunce della giurisprudenza in tema di sindacato sugli atti delle autorità indipendenti hanno, quindi, sempre riservato uno spazio centrale al tema della discrezionalità tecnica.

La problematica delle forme e dell’intensità del sindacato ha visto contrapporsi in giurisprudenza e in dottrina due orientamenti.

In base ad un primo, e ormai superato orientamento, il giudice amministrativo poteva verificare la legittimità dell’iter logico seguito dall’autorità rilevando soltanto i vizi di manifesta illogicità e incongruenza, senza entrare nel merito della decisione (si parla in questi casi di sindacato estrinseco).A partire dalla storica sentenza del Consiglio di Stato del 1999 la giurisprudenza ha superato l’originaria assimilazione della discrezionalità tecnica alla discrezionalità amministrativa segnando il passaggio dal sindacato giurisdizionale estrinseco ad un tipo di sindacato intrinseco in cui si ammette che il giudice, pur senza potersi sostituire all’amministrazione, possa comunque censurare le valutazioni tecniche attraverso il controllo di attendibilità del criterio tecnico utilizzato e del suo esito applicativo. Il giudice, quindi, può verificare direttamente l’attendibilità del criterio tecnico adoperato esercitando un sindacato intrinseco e avvalendosi a tal fine delle stesse conoscenze tecniche dell’autorità grazie all’introduzione nel processo amministrativo della consulenza tecnica d’ufficio ex art. 61 e 67 c.p.a. E così a fronte di una norma che presenta margini di elasticità, e quindi è compatibile con una pluralità di soluzioni tecniche, il giudice non deve imporre la soluzione tecnica in cui crede di più (in quanto diventerebbe amministratore e violerebbe il principio di separazione dei poteri) ma deve verificare se l’amministrazione abbia rispettato quel margine di elasticità collocandosi entro i confini di attendibilità. Acclarato che il sindacato del giudice amministrativo sugli atti delle autorità indipendenti è intrinseco la discussione del recente passato si è spostata sull’intensità del controllo.

Si è molto discusso se il sindacato giurisdizionale possa essere sostitutivo (sindacato forte) o invece debba arrestarsi all’annullamento della decisione senza che l’autorità amministrativa possa sovrapporre la propria valutazione a quella in precedenza svolta dall’autorità (sindacato debole). La dicotomia sindacato forte/debole può dirsi oggi superata in quanto al giudice amministrativo è attribuito un sindacato pieno ed effettivo. Egli, infatti, ha il compito di verificare se il potere attribuito all’autorità sia stato correttamente esercitato e, di conseguenza, il giudice può giungere a sindacare la congruità e l’attendibilità della scelta amministrativa ma mai la sua opportunità. La conferma della pienezza del sindacato da parte del giudice si trae anche dal dato normativo: l’art. 7 del d.lgs. 3 del 2017 in materia di tutela della concorrenza stabilisce che il sindacato del giudice si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità. L’effettività, la pienezza e l’intensità del sindacato del giudice amministrativo sono state valutate anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alla luce dell’art 6 CEDU in relazione ai provvedimenti sanzionatori c.d. quasi penali delle autorità indipendenti.

Infatti a fronte della natura quasi penale di alcune sanzioni della autorità (qualificabili come tali alla luce dei c.d. Engel criteria) la CEDU comporta l’applicazione delle sue garanzie tra cui quella di full jurisdiction. La Corte EDU nella sentenza Grande Stevens, infatti, ha chiarito che la Convenzione non preclude  a che una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale possa essere applicata anche da un’autorità indipendente – che non presenti le caratteristiche sostanziali del giudice (indipendenza e terzietà) – in questo caso, però, è necessario che il soggetto sanzionato abbia la possibilità di impugnare la sanzione di fronte a un giudice (terzo, indipendente e imparziale) il quale deve poter esercitare sulla sanzione un sindacato pieno (c.d. di full jurisdiction).

Si tratta, quindi, di stabilire se il sindacato del giudice interno, nel caso di sanzioni quasi penali delle autorità amministrative, sia di piena giurisdizione e quindi rispetti le garanzie delle CEDU oppure no. La Corte europea dei diritti umani si è espressa sulla questione con la sentenza Menarini e i giudici di Strasburgo hanno affermato che in astratto il sindacato offerto dal modello giurisdizionale italiano che concede al giudice un accesso totale al fatto, agli elementi di prova raccolti dall’autorità e delle prove a difesa offerte dai soggetti sanzionati, potendo giudicare da vicino la correttezza dei criteri tecnici utilizzati (anche grazie alla consulenza tecnica d’ufficio ex art. 61 e 67 c.p.a.), appare in linea con le garanzie sancite dalla CEDU. Il giudice amministrativo, quindi, avendo accesso diretto al fatto posto a fondamento della sanzione esercita un sindacato intrinseco, quindi pieno, sulle valutazioni tecnico-discrezionali dell’Autorità potendo verificare se la soluzione tecnica individuata dall’amministrazione sia attendibile cioè se rientri nei margini di elasticità consentiti dal concetto giuridico indeterminato.

La sanzione è quindi sottoposta ad un sindacato giurisdizionale pieno sia sul fatto sia sui presupposti della potestà punitiva. (BENE)Un problema di intensità e di natura del sindacato si pone anche in relazione ad una particolare categoria di atti: le linee guida dell’ANAC. L’ANAC, autorità indipendente istituita dalla legge 190 del 2012 per arginare il fenomeno corruttivo nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, nel corso degli anni ha visto ampliarsi notevolmente i suoi poteri in particolar modo con il d.l. 90 del 2014 e dal d.lgs. 50 del 2016 (ossia il nuovo Codice dei contratti pubblici) che le ha affidato anche le attività di regolazione, vigilanza e controllo sui contratti pubblici. Nell’ANAC quindi si sommano due funzioni fondamentali: vigilare sul settore dei contratti pubblici e prevenire e contrastare l’illegalità nelle pubbliche amministrazioni. La prima missione è strumentale alla seconda in quanto la vigilanza sui contratti pubblici non è fine a se stessa ma è funzionale al perseguimento della finalità di anticorruzione.  Il collegamento della materia dei contratti pubblici con quella dell’anticorruzione si riflette nell’attribuzione all’ANAC di funzioni molto eterogenee e, complessivamente più ampie di quelle assegnate alla precedente autorità di vigilanza sui contratti pubblici.

I poteri e i compiti dell’ANAC sono, in particolare, di indirizzo e regolazione, di vigilanza e di controllo, di segnalazione e sanzione, e di gestione del contenzioso. La prima serie di poteri corrisponde all’adozione di un complesso di regole che costituiscono gli atti di riferimento per l’applicazione del D. Lgs.  50/2016 come le c.d. linee guida, i bandi-tipo, i capitolati-tipo, i contratti-tipo e altri strumenti di c.d. regolazione flessibile.Tale attribuzione di potere, tuttavia, crea incertezza circa la natura e la reale forza giuridica degli atti emanati dall’autorità rendendo dubbia la collocazione degli stessi nel sistema delle fonti nonché il regime procedimentale e processuale ad essi applicabile.

Il sistema delle fonti del diritto amministrativo, infatti, basato sulla distinzione tra leggi e regolamenti e sull’ulteriore distinzione tra regolamenti e atti amministrativi generali ha subito negli ultimi anni una vera e propria destrutturazione dettata dall’esigenza di una regolazione più flessibile veloce e meno formale. Si tratta di un processo di progressiva erosione della sfera della regolazione formale, noto come fuga dal regolamento, in favore di strumenti di normazione flessibile, atipica e concentrata che si pongono ai margini del perimetro di operatività del principio di legalità. Il più evidente esempio di questa fuga è rappresentato proprio dalle linee guida vincolanti ANAC con le quali l’autorità disciplina gli aspetti determinanti del regime normativo delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Riguardo a tali linee guida si pone il problema, tuttavia, della loro qualificazione giuridica e proprio la difficile catalogazione della natura giuridica di tali atti complica l’analisi del tema dell’intensità del sindacato giurisdizionale. La dottrina ha suggerito di riconoscere alle linee guida la natura di atti normativi extra ordinem. Ma tale qualificazione suscita non poche perplessità di tipo sistematico e ordinamentale soprattutto in assenza di un fondamento chiaro per un’innovazione così diretta del sistema delle fonti.

Il Consiglio di Stato, nel 2016, ha aderito all’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale delle linee guida vincolanti con la natura del soggetto emanante la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità amministrativa indipendente con funzioni anche di regolazione.In questa prospettiva le linee guida vincolanti dell’ANAC sono state ricondotte alla categoria degli atti di regolazione delle autorità indipendenti che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e appunto di regolazione. Si tratta quindi di una sorta di tertium genus: né regolamento né atto amministrativo generale. Il problema che si pone è quello della disciplina applicabile: occorre stabilire, infatti, se, per le linee guida, si segua il regime del regolamento o quello dell’atto amministrativo generale anche per quanto concerne la possibilità per il giudice amministrativo di esercitare il potere di disapplicazione dell’atto non ritualmente impugnato.

La giurisprudenza mostra di considerare che le linee guida più alla stregua di regolamenti che di atti amministrativi generali applicando il regime giuridico dei primi piuttosto che dei secondi. La qualificazione delle linee guida vincolanti come atti amministrativi generali e di regolazione consente la loro giustiziabilità di fronte al giudice amministrativo. Di ciò si ha conferma anche nella legge delega del nuovo codice dei contratti pubblici e nel parere su di esso espresso dal Consiglio di Stato. In tale parere si chiarisce che le linee guida vincolanti sono impugnabili e disapplicabili dal giudice amministrativo laddove non ritualmente impugnate.

Il sindacato del giudice amministrativo sarà interamente sostitutivo e non diverso da quel che accade per i regolamenti governativi e tutti gli altri atti di normazione secondaria. Si tratterà, infatti, di vagliarne tout court la legittimità vigilando sull’istruttoria procedimentale e sulle relative garanzie.