L’utilizzo del modello societario è divenuto nei tempi recenti uno strumento alternativo al modello classico di esercizio unilaterale dell’attività amministrativa da parte delle singole amministrazioni.

Nell’ambito del settore dei pubblici servizi si è fatto sempre più frequente il ricorso da parte della pubblica amministrazione a società, con capitale pubblico, privato o misto, al fine di soddisfare i servizi essenziali dei cittadini cui lo stesso ente pubblico è preposto.

In questo contesto si inserisce il modello delle società in house, quali enti societari creati ad hoc dalle amministrazioni locali per la realizzazione di opere o servizi nell’interesse della collettività, guidate e sottoposte al controllo stringente dell’ente affidante.

Le società in house rappresentano una longa manus dell’amministrazione per la quale agiscono e costituiscono parte integrante della stessa, dal momento che non si pongono in  rapporto di alterità tra la società e l’ente amministrativo affidante.

In particolare, l’in house, secondo quanto in proposito specificato dalla Corte di Giustizia Europea, si inserisce nell’ambito del modello di autoproduzione di servizi pubblici, in quanto la pubblica amministrazione decide di affidare determinate attività di interesse pubblico a soggetti che, seppur formalmente presentino una forma societaria, sono sottoposti al suo stretto controllo e sono destinate a svolgere attività di eminente rilievo pubblicistico facenti capo all’ente pubblico. Le società in house – espressione del rischio di impresa pubblica – sono, pertanto,  la manifestazione più evidente del principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e, dunque, della sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche-

È questo il tratto distintivo tra la società in house e le società private affidatarie di servizi pubblici, conformemente a quanto affermato in merito dalla stessa Corte di giustizia.

Nei casi di affidamento a imprese private infatti la p.a. decide di rivolgersi al mercato ed è tenuta a rispettare le regole di evidenza pubblica e del principio di concorrenza. Ricorre quindi un modello di etero-produzione in quanto la gestione del servizio pubblico viene affidata a soggetti privati con i quali intercorre un rapporto interorganico e di alterità.  Le società in house trovano oggi un riconoscimento anche a livello normativo a seguito della riforma che ha coinvolto il Codice degli appalti con il D. Lgs. n. 50/16.

In particolare, il legislatore, recependo le coordinate interpretative della Corte europea, ha previsto all’art. 5 D. Lgs. 50/16 che le procedure a evidenza pubblica previste in materia di concessione o appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non si applicano alle società in house. La norma indica inoltre in modo specifico i requisiti necessari affinché una società possa essere definita in house, riprendendo gli stessi criteri indicati nelle direttive comunitarie. In particolare, l’amministrazione non è tenuto a espletare la procedura a evidenza pubblica quando: I) esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; II) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; III) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Alla luce di questi criteri è evidente la completa soggezione, finanziaria, di gestione e di indirizzo, che connota queste società pubbliche, il cui operare è quindi finalizzato non al profitto in un’ottica di mercato quanto al soddisfacimento dell’interesse pubblico dell’ente affidante cui sono sottoposte.

Sul punto occorre tuttavia rilevare come il Codice degli Appalti abbia limitato l’utilizzo dell’in house per la gestione del servizio pubblico. L’art. 192 D. Lgs. 50/16 subordina infatti gli affidamenti alle società in house al ricorrere di due presupposti: la sussistenza di ragioni che giustifichino il mancato ricorso al mercato nonchè la dimostrazione di effettivi benefici per la collettività della forma di gestione prescelta.

Come rilevato dal Consiglio di Stato, la previsione normativa stride con il principio sancito a livello europeo, secondo il quale la p.a. può decidere in modo libero e discrezionale a quali moduli di gestione affidare i servizi pubblici, purché si rivelino ottimali per il perseguimento dell’interesse pubblico. La Corte di giustizia, infatti, ha sancito per l’amministrazione la libertà di scelta dei modelli di affidamento, senza porre alcun limite o relegare in via sussidiaria il ricorso a forme di autoproduzione. Il problema dell’applicazione delle norme di evidenza pubblica e il ricorso al mercato si pone soltanto laddove la p.a. decida di affidare la gestione a società private.

La scelta del legislatore di restringere l’ambito degli affidamenti in house è, però,  coerente con la tesi sostenuta da tempo dalla Corte Costituzionale, la quale ha affermato il carattere eccezionale delle società in house rispetto agli affidamenti mediante gara pubblica (Corte cost. 20 marzo 2013, n. 46). Il Consiglio di Stato ha quindi rimesso la questione alla Corte di Giustizia al fine di vagliare la conformità dell’art. 192 Cod. appalti al diritto comunitario. In particolare, si chiede al Giudice comunitario se la norma sia coerente con il principio di autodeterminazione delle p.a. nella materia degli affidamenti di servizi pubblici, anche alla luce della equiparazione a livello comunitario dei modelli di affidamento di autoproduzione a quelli di etero-produzione.

I tre requisiti sopra citati, necessari per la configurazione e  l’assoggettamento della disciplina delle società in house  sono previsti in via necessaria e debbono sussistere tutti cumulativamente ai fini dell’applicazione della  normativa speciale.

Ai fini della trattazione occorre ora, in particolare,  soffermarsi sul requisito necessario del controllo analogo.

Al riguardo il controllo da esercitarsi sulla società pubblica deve essere dello stesso grado e intensità di quello che l’ente affidante esercita sui propri organi, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.

Pertanto il controllo potrà dirsi analogo quando si estende agli atti, ai comportamenti e alla gestione della società in house, guidando le scelte di gestione e indirizzo della stessa. L’amministrazione potrà quindi intervenire per vagliare la legittimità degli atti e modificarne o annullarne il contenuto, partecipare alle scelte rilevanti della società, indirizzarne gli obiettivi, gestire e alloccare le risorse. L’assunto è stato confermato anche dal nuovo D. Lgs. 50/16 all’art. 5, c. 2, il quale specifica che sussiste un controllo analogo sui propri servizi qualora l’ente eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.   È evidente pertanto la differenza che intercorre tra il controllo che viene esercitato dal collegio sindacale all’interno delle società private e quello invece facente capo all’ente affidante. Si osserva infatti che il controllo effettuato dal collegio sindacale è di carattere privatistico ed esterno incentrato sui profili strettamente societari di andamento e gestione della società senza alcuna ingerenza decisionale (vigilanza sull’osservanza dello statuto e dei principi di corretta amministrazione, poteri ispettivi e di controllo sull’andamento della società e delle decisioni adottate; cfr. art. 2403 e 2403 bis c.c.).

Il controllo analogo previsto per le società in house al contrario viene esercitato dall’interno, anche in via preventiva, in merito alle decisioni adottate e agli indirizzi da intraprendere in vista del perseguimento dell’interesse pubblico.

Allo stesso modo la giurisprudenza ha escluso che il controllo analogo possa svolgersi mediante l’esercizio dei poteri che, secondo il codice civile, sono attribuiti al socio di maggioranza.

In particolare l’art. 2539 c.c., nel definire le società controllate, indica le seguenti situazioni nelle quali è possibile evincersi una effettiva posizione di controllo: maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o sufficienti per esercitare un’influenza dominante, la sussistenza di influenza dominante nei confronti di altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con la stessa.

L’assunto si giustifica alla luce del fatto che la detenzione della maggioranza in seno all’assemblea o l’influenza dominante da parte dell’ente affidante non è idonea a scongiurare la prevaricazione del gruppo di minoranza, il quale potrebbe orientare le scelte della società verso obiettivi divergenti rispetto a quelli voluti dall’ente pubblico. Il controllo analogo non viene inoltre escluso ove esso venga esercitato congiuntamente da più enti pubblici, purché il contributo di ciascun di essi sia idoneo a garantire quell’intensità di controllo necessaria a vincolare l’attività e l’azione della società in house.  Sul punto il Codice degli appalti ha previsto che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore può aggiudicare un appalto pubblico o una concessione senza applicare le regole dell’evidenza pubblica anche in caso di controllo congiunto, ossia quando gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. È richiesto tuttavia che tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica (art. 5, c. 4 e 5 D. Lgs. 50/16). Il legislatore infatti guarda con favore a quei modelli di gestione di servizi pubblici partecipati, che vedono coinvolte diverse amministrazioni territoriali, in quanto garantiscono scelte e indirizzi concertati e quindi una migliore cura dell’interesse pubblico.  Non si esclude inoltre che il controllo possa essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore (art. 5, c. 4 D. Lgs. 50/16). Tale fattispecie prende il nome di “in -house orizzontale”, in quanto il controllo viene esercitato da una società a sua volta sottoposta al controllo dell’ente affidante.

Maggiormente discussa invece risulta essere l’ipotesi di ingresso o partecipazione nella compagine societaria della società in house di un soggetto privato. La fattispecie in esame viene definita in house “spurio” al fine di distinguerlo dalla forma pura di società in house, ove il capitale sociale è interamente detenuto all’ente amministrativo affidante. La giurisprudenza ha per lungo tempo escluso che il socio privato potesse far parte della società pubblica in quanto inidoneo a garantire il controllo analogo proprio dell’in-house puro e, contemporaneamente, esponendo la società al rischio di compromettere la propria attività funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico. Il recente orientamento seguito dal Consiglio di Stato e dalla stessa giurisprudenza comunitaria ha tuttavia ammesso la possibilità di creare società miste, con capitale pubblico-privato, pur entro determinati limiti che scongiurino il rischio di aggirare le regole di evidenza pubblica previste per l’affidamento di servizi pubblici a imprese private.

La giurisprudenza ha in particolare evidenziato che la scelta del socio privato avvenga necessariamente con la gara pubblica, mediante la quale vengono verificate e selezionate le sue qualità finanziarie, tecniche ed economiche. In questo modo viene assicurata l’efficienza e la tecnicità del soggetto privato, anche in vista della funzione pubblica assolta dalla società della quale lo stesso entra a far parte. Tuttavia si è posta l’ulteriore questione se, una volta effettuata la scelta del socio privato, sia necessario indire un’ulteriore gara pubblica per l’affidamento dell’opera o del servizio cui è preposta la società in house.  Parte della dottrina e della giurisprudenza, affermando la necessità di bandire una nuova gara, ha posto in luce come la gara indetta per la scelta del socio privato si fondi su presupposti e funzioni differenti. Quest’ultima infatti è diretta a garantire l’ingresso nella compagine sociale di un soggetto affidabile finanziariamente e tecnicamente preparato. Al contrario, la gara di affidamento è destinata alla ricerca di un soggetto che presenti le caratteristiche necessarie per la realizzazione dell’appalto o della concessione, così come sancite nel codice degli appalti, garantendo al contempo il rispetto della concorrenza tra i partecipanti privati. A tale orientamento si è contrapposto quello di coloro che ritengono non necessario bandire un ulteriore bando in quanto la scelta del socio privato mediante la gara pubblica è idonea a garantire altresì la sussistenza dei requisiti necessari per l’affidamento dell’opera o del servizio, oltre al principio di concorrenza e trasparenza.

Il Consiglio di Stato è di recente intervenuto sulla questione, rilevando come nulla osta che l’affidamento del servizio alla società in house con socio privato avvenga in modo diretto, senza l’indizione di una seconda gara.

Tuttavia la scelta del socio privato con gara pubblica deve svolgersi secondo modalità tali da garantire la sussistenza anche dei requisiti necessari per l’affidamento stesso. Si tratta in quest’ultimo caso della gara cd. a doppio oggetto. Il Consiglio di Stato ha sottolineato inoltre la necessità che l’ente sia all’uopo autorizzato da una norma di legge e l’affidamento sia comunque limitato nel tempo e nell’oggetto. Ciò evita che si vengano a creare affidamenti diretti perpetui a società in house spurie, che sarebbero di per sé idonei ad aggirare le norme di evidenza pubblica cui sarebbe altrimenti sottoposto il socio privato. L’orientamento della giurisprudenza amministrativa pare oggi essere confermato dal legislatore, il quale ha previsto la possibilità di costituire società miste per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica o per l’organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, purché la scelta del socio privato avvenga con procedure di evidenza pubblica (art. 5, c. 9 D. Lgs. 50/16). Di preminente rilevo è in questo contesto anche l’introduzione del recente T.U. in materia di società partecipate, diretto alla razionalizzazione e disciplina della materia. Il testo unico riprende i criteri delineati dal Consiglio di Stato e stabilisce all’art. 17 l’ammissibilità della creazione di società miste con capitale pubblico e privato sulla base dei seguenti presupposti: a) la quota di partecipazione del soggetto privato non deve essere inferiore al trenta per cento; b) la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell’articolo 5, comma 9, del D. Lgs. 50/2016, con la gara a doppio oggetto (al contempo la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista); c) il socio privato deve possedere i requisiti di qualificazione previsti da norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; d) il bando di gara deve specificare l’oggetto dell’affidamento, i necessari requisiti di carattere tecnico ed economico-finanziario dei concorrenti, nonché il criterio di aggiudicazione che garantisca una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva; e) la durata della partecipazione privata alla società non può essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione. Al comma 6 dell’art. 17 citato è inoltre previsto che dette società sono sottratte alle regole dell’evidenza pubblica ove ricorrano i seguenti presupposti: la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica, il quale deve comunque possedere i requisiti di qualificazione previsti dal Codice Appalti in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita e la società provvede in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo.

Si ritiene che la norma, pur non facendovi espresso richiamo, presuppone che l’ente affidante eserciti sulla società mista un controllo analogo, così come richiesto pure  per le società in house.

In controllo analogo cui sono sottoposte le società in house spurie è elemento fondante la distinzione rispetto alle società partecipate con capitale misto.  Quest’ultime infatti vedono l’ingresso nella compagine sociale dell’amministrazione in veste di socio ma in assenza dei poteri di controllo analogo tipico dell’in house, mantenendo la società autonomia gestionale e di indirizzo rispetto all’ente subentrante, se non nei limiti dei poteri conferiti ai soci all’interno dell’assemblea.