Il procedimento amministrativo è retto da una serie di principi fondamentali che ne influenzano il regime giuridico e il funzionamento. Essi sono il frutto di un’attenta opera di previsione normativa del legislatore amministrativo che, attraverso essi, ha inteso qualificare il modus operandi della p.a.

In tempi piuttosto recenti, però, con riguardo alla teorizzazione dei principi fondamentali in materia amministrativa, si è assistito ad una rilevante implementazione da parte delle fonti sovranazionali e, in particolare, unionale. L’introduzione di questi principi nell’ordinamento amministrativo è il frutto di quel naturale processo di integrazione delle fonti innescatosi con il rafforzamento del vincolo comunitario che ha portato, secondo la dottrina maggioritaria, al tentativo di omogeneizzazione degli ordinamenti dei singoli stati componenti l’Unione Europea.

I principi europei in materia amministrativa costituiscono una categoria eterogenea. Alcuni presentano matrice legislativa, altri, invece, sono il frutto dell’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Ue. All’interno della predetta categoria è possibile distinguere il principio di proporzionalità, di stretta legalità, di precauzione, di ragionevole durata del procedimento e di legittimo affidamento del privato.

Dall’analisi di questa breve elencazione è possibile notare come il richiamato carattere dell’eterogeneità non riguarda esclusivamente la fonte originaria di essi ma attiene anche al loro ambito di operatività. Ognuno di essi, infatti, è stato enucleato con riguardo ad uno specifico settore dell’amministrazione europea ed è destinato a trovare applicazione anche in quello interno. A titolo di esempio può farsi riferimento al principio di precauzione: esso nasce in ambito ambientale, per sottolineare la necessità di una particolare prevenzione per le scelte che possano incidere significativamente sull’ambito, ma, proprio per la sua latitudine applicativa, è certamente possibile una sua applicazione generalizzata a livello nazionale.

Simili argomentazioni potrebbero svolgersi anche in riferimento alla proporzionalità. Tale principio di materia legislativa europea (protocollo II al TUE) nasce nell’ambito della definizione delle forme e dei poteri dell’atto legislativo dell’Unione ma ha rappresentato il perimetro logico per la creazione, a livello interno, del principio di ragionevolezza.

In sostanza, quindi, si può affermare che i principi in materia comunitaria costituiscono, oggi, dei necessari canoni interpretativi a livello nazionale destinati ad operare unitamente a quelli interni disciplinati dalla Costituzione e cioè quelli di buon andamento, imparzialità, trasparenza enunciati, altresì, nella L. 241/1990.

Tra i principi fondamentali di derivazione comunitaria che informano l’attività della pubblica amministrazione, in virtù del rinvio che opera l’art. 1 L. 241/1990 ai principi generali dell’ordinamento comunitario, rientra il principio di legittimo affidamento, corollario del principio di certezza del diritto.

Il principio del legittimo affidamento, preordinato ad assicurare tutela all’interesse del privato, viene a realizzarsi in tutte le ipotesi in cui una situazione giuridica favorevole al soggetto crea un determinato grado di stabilità nella sfera giuridica del destinatario. Si tratta, dunque, di quell’interesso teso alla tutela di una situazione giuridica realizzatosi consequenzialmente ad un atto o comportamento della p.a. che ha suscitato nel terzo un ragionevole affidamento in un determinato risultato.

Sono, infatti, tre gli elementi che caratterizzano il legittimo affidamento: l’elemento oggettivo ossia il vantaggio, il bene giuridico o altre utilità ottenute dal privato in modo certo, chiaro e definitivo; l’elemento cronologico ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo e l’elemento soggettivo ossia la buona fede di chi difende la sua posizione di vantaggio.

L’elemento soggettivo del principio del legittimo affidamento si concretizza, quindi, nella buona fede del destinatario. Non merita protezione l’aspirazione all’intangibilità di un bene che il privato abbia conseguito con dolo o colpa.

Il legittimo affidamento, infatti, è un precipitato logico della buona fede, presupposto che permea ogni ambito dell’ordinamento giuridico.

Il dovere di buona fede, da ricondursi al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., impone ad ogni soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, di comportarsi lealmente nel compimento di atti giuridicamente rilevanti in grado di riverberare i loro effetti nella sfera giuridica altrui.

La massima espressione della necessità di rispettare il canone di buona fede si pone all’interno del rapporto giuridico. La correttezza opera non solo al momento della nascita e nel corso del suo svolgimento ma, altresì, nella fase precontrattuale ossia la fase precedente al sorgere del contratto. in tale contesto, infatti, la necessità di tutelare l’altrui affidamento, costituisce una delle possibilità applicazioni del dovere di buona fede.

Nel settore civilistico la violazione del precetto di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c. è fonte, nei rapporti obbligatori, di responsabilità precontrattuale ex artt. 1337 e 1338 c.c.

Ciò posto in ordine al principio del legittimo affidamento e al principio di buona fede e le sue ripercussioni in termini di responsabilità, la giurisprudenza si è interrogata sulla configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla p.a. a tutela del legittimo affidamento del privato e, in particolare, nelle procedure di evidenza pubblica.

Com’è noto tale procedura è finalizzata alla stipula di contratti che vengono definiti pubblici in quanto intercorrenti tra un privato e la p.a. La peculiarità della stessa risiede nella natura degli interessi coinvolti: al naturale perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alla conclusione del contratto (si pensi al contratto di appalto per la realizzazione di un’opera pubblica) si contrappone, infatti, l’interesse della controparte privata che agisce per il perseguimento dell’interesse privatistico.

All’interno della procedura di evidenza pubblica, così come delineato nel Codice dei contratti pubblici del 2016, è possibile distinguere una fase di natura pubblicistica che riguarda la determinazione dell’oggetto del contratto e una fase di natura privatistica.

La prima fase si conclude con l’emanazione di un atto amministrativo, la determina a contrarre, che cristallizza la volontà della p.a. di stipulare un dato contratto; la seconda fase, invece, è retta dalle norme e dai principi contrattuali previsti dalla normativa civilistica in quanto si ritiene che l’attività della p.a. rientri nella categoria degli atti iure privatorum.

La citata distinzione tra le fasi della procedura di evidenza pubblica implica un diverso atteggiarsi dell’affidamento del privato e dei relativi mezzi di tutela.

Nel caso in cui la situazione affidata dal privato venga violata nella fase privatistica l’affidamento incolpevole del privato troverà tutela nelle ordinarie forme privatistiche.

Il comma 1 bis dell’art. 1 della L. 241/1990 – norma rubricata “Principi generali dell’attività amministrativa” – prevede infatti che “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, [la PA] agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.

Ebbene, sancendo la piena capacità di diritto privato in capo alla PA e richiamando le norme di diritto privato, il legislatore richiama, quindi, anche la clausola generale di buona fede e, di conseguenza, gli artt. 1337 e 1338 c.c., rispettivamente in tema di svolgimento delle trattative e formazione del contratto secondo buona fede e conoscenza delle cause di invalidità.

Anche tali norme, infatti, troveranno applicazione nella fase precontrattuale del procedimento di evidenza pubblica a tutela del legittimo affidamento del privato.

L’art. 1337 c.c., in particolare, è posto a tutela dell’autodeterminazione negoziale delle parti e mira ad evitare che gli interessi di coloro che partecipano ad una trattativa possano essere pregiudicati da comportamenti altrui scorretti, quand’anche il comportamento scorretto, dunque, sia posto in essere da una PA. Tale disposizione dunque, potrà trovare applicazione prima della fase della stipulazione del contratto, ossia, come risulta dal testo della norma, nella fase delle trattative e della formazione del contratto.

Diversa, invece, è l’ipotesi in cui il legittimo affidamento derivi da un comportamento della p.a. ascrivibile alla fase pubblicistica in cui, invece, il privato non è ancora parte potenziale del futuro regolamento contrattuale. Può, infatti, accadere che nella fase delle trattative, cioè, nelle fasi antecedenti alla stipula del contratto la p.a. receda dall’intenzione di contrarre ovvero tenga un comportamento non in linea con i doveri di buona fede oggettiva previsti per quella fase.

L’esempio potrebbe essere quello del ritiro in autotutela della determina a contrarre. In simili ipotesi l’impressa e il soggetto privato interessato alla stipula del contratto non avrebbero a disposizione gli strumenti di matrice privatistica essendo esclusa la sua riconducibilità alla figura della parte negoziale.

La posizione tradizionale della giurisprudenza era quella di ritenere che, prima dell’aggiudicazione, gli interessati sarebbero solo dei partecipanti al procedimento amministrativo legittimati, esclusivamente, a pretendere la legittimità degli atti compiuti stante la natura pubblicistica di tale fase. E, allora, per evitare il vuoto di tutela del privato la sua situazione di affidamento non potrà che trovare ristoro nello strumento indennitario della p.a. fermo, ovviamente, le ipotesi di ricorso giurisdizionale al TAR nei casi di provvedimento di ritiro illegittimo.

Un successivo orientamento giurisprudenziale, invece, ha sottolineato che, sebbene il procedimento ad evidenza pubblica sia dotato di una doppia natura, i due momenti fattuali (pubblicistico e privatistico) devono intendersi in un rapporto di successione logica. Non rileva, quindi, che la scorrettezza comportamentale si sia verificata prima o dopo l’aggiudicazione definitiva perché la matrice costituzionale del generale dovere di buona fede, ossia l’art. 2 Cost., impone una lettura unitaria della procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente.

Recentemente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha aderito a questo secondo orientamento valorizzando l’evoluzione ermeneutica dei concetti di correttezza e buona fede quali fonte autonoma di obblighi di protezione e di ragionevole affidamento sull’altrui condotta corretta.

Nello svolgimento dell’attività autoritativa, quindi, l’amministrazione è tenuta a rispettare non solo le norme di diritto pubblico che, se violate, implicano l’invalidità del provvedimento ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la cui violazione fa sorgere la responsabilità da comportamento scorretto.

Nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, quindi, i doveri di correttezza e buona fede sussistono anche prima e a prescindere dall’aggiudicazione e, in generale, in tutte le fasi dell’evidenza, con la conseguente possibilità del configurarsi di una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti.

Affinchè sorga la responsabilità il privato, tuttavia, deve dimostrare la sua buona fede soggettiva, ossia che egli abbia maturato un incolpevole affidamento circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere determinate attività; ma anche che tale affidamento incolpevole sia stato leso da una condotta scorretta della p.a., contraria a buona fede intesa in senso oggettivo, a lei soggettivamente imputabile in termini di colpa o dolo ed, infine, dovrà provare il danno nella duplice accezione di danno-evento e danno conseguenza e i rapporti di causalità tra i danni e la condotta scorretta dell’amministrazione.

Il privato, quindi, qualora, nell’ambito di una procedura di evidenza pubblica, abbia riposto incolpevole affidamento in un comportamento della p.a. scorretto, in quanto in contrasto con i doveri di buona fede e correttezza, potrà rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere il c.d. interesse negativo ossia la rifusione delle spese inutili che ha sostenuto ovvero la perdita di occasioni alternative.

L’ipotesi più frequente, in tal senso, è quella derivante dalla revoca degli atti di gara ove cioè il privato non contesti la legittimità del provvedimento di revoca ma la scorrettezza del comportamento complessivamente tenuto dalla stazione appaltante ad esempio perché la revoca, seppur legittima sotto il profilo provvedimentale, è stata adottata con modalità lesive dell’affidamento, nel frattempo maturato, in capo al privato partecipante alla procedura che, quindi, potrà lamentare di aver sostenuto spese inutili per partecipare alla gara poi revocata o di aver rinunciato ad altre occasioni.

In conclusione, quindi, stante l’evoluzione giurisprudenziale culminata nella recente pronuncia dell’Adunanza plenaria la materia dei contratti pubblici deve considerarsi come una fattispecie necessariamente progressiva del contratto in cui la p.a. è tenuta al rispetto delle norme pubblicistiche e delle norme generali dell’ordinamento civile e, pertanto, anche ai doveri correttezza e buona fede che, se violati, potrebbero determinare l’insorgere di una responsabilità precontrattuale della p.a. ex art. 1337 c.c. volta a tutelare l’affidamento incolpevole del privato.

Il principio di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c. e 2 Cost. e il principio di legittimo affidamento, quindi, sono stati utilizzati dalla giurisprudenza per ampliare l’ambito di operatività della “culpa in contrahendo” della p.a. estendendola alla fase precontrattuale del procedimento di evidenza pubblica a maggior tutela del privato che potrà rivolgersi al g.a. per ottenere il ristoro dell’interesse negativo causato dal un comportamento scorretto lesivo del suo affidamento incolpevole, fermo restando i rimedi tradizionali del ricorso al TAR nei casi di provvedimento di ritiro illegittimo.