Come è noto, il principio di offensività costituisce uno dei principali fondamenti dell’ordinamento penale nazionale ed è il principio in base al quale, al fine di poter comminare una sanzione, più o meno restrittiva della libertà personale, occorre che sia stato commesso dal soggetto sottoposto a sanzione un fatto lesivo di un bene di rango pari o superiore rispetto alla libertà personale, come tutelata dall’art. 13 Cost.. Tuttavia, in determinati settori, caratterizzati dalla particolare importanza dei beni tutelati, il reato si potrà considerare consumato -con la conseguente irrogazione della sanzione- al momento della sola messa in pericolo del bene oggetto di tutela, che costituirà, quindi, l’evento, potendosi considerare come bene della vita tutelato la sola messa in pericolo del bene, senza che si colga una deroga al principio di offensività.

In particolare, al Tit. VI del Libro II del Codice penale sono tutelati i reati contro l’incolumità pubblica, considerata quale insieme di strumenti predisposti dall’ordinamento al fine di assicurare la sicurezza della convivenza sociale: si tratta di un bene tutelato di valore tanto elevato da permettere di identificarne la lesione, con conseguente incriminazione, al momento della semplice messa in pericolo. Per tale motivo il Tit.  VI si compone principalmente di reati di pericolo (concreto, astratto e, talvolta, persino indiretto).

Il menzionato Titolo è diviso in tre Capi: “Dei delitti di comune pericolo mediante violenza”, “Dei delitti di comune pericolo mediante frode” e “Dei delitti colposi di comune pericolo”. Tuttavia, tale distinzione non sempre sembra corrispondere alla realtà, dal momento che alcuni reati del Capo I non presentano il requisito della violenza, così come nel Capo II non è sempre possibile individuare la frode.

Si è operata, per tale ragione, una suddivisione maggiormente coerente tra i delitti di comune pericolo intesi in senso generico e i delitti contro la salute pubblica. Tale seconda categoria di reati condivide con la prima il fatto di essere composta da reati cd. vaganti, in quanto idonei a rivolgersi nei confronti di un numero indeterminato di persone, essendo qualificati più per l’indeterminatezza dei destinatari che per l’elevato numero degli stessi. Tutti i reati contro l’incolumità pubblica devono, infatti, avere una portata non preventivamente determinabile, salvo, altrimenti, l’integrazione di altri specifici reati, quali, ad esempio, le lesioni o l’omicidio

La peculiarità delle fattispecie che appartengono al secondo gruppo introdotto a livello interpretativo (ossia quello dei delitti contro la salute pubblica) è quella di ledere al bene salute, quale bene tutelato dall’art. 32 Cost., da intendersi quale benessere psico-fisico ambientale, secondo una nozione ormai condivisa a livello interno oltre che internazionale. Si distinguono i reati del secondo gruppo tra le offese dirette alla salute e le condotte volte a contraffare dei beni fondamentali per essa come l’acqua o il cibo.

Il reato che apre la seconda categoria di cui si tratta (nonché, a livello formale, il Capo II del Titolo VI) è l’epidemia, ex art. 438 c.p., ovvero un reato di pericolo a forma libera ma a mezzo vincolato, dovendosi l’epidemia verificare quale conseguenza della diffusione -avvenuta in qualsiasi modo- di germi patogeni che, dunque, costituiscono il solo mezzo per poter realizzare la fattispecie criminosa.

Si tratta di un reato che, come molti di quelli appartenenti al Titolo VI in parola, può essere realizzato nella forma dolosa o colposa.  Non sembrerebbero ravvisarsi ostacoli alla commissione dei reati contro l’incolumità pubblica e, in particolare, del reato di epidemia, da parte di più soggetti in concorso tra loro, ex art. 110, tanto tramite un concorso di azioni che, ove possibile, tramite un concorso di omissioni.

Tuttavia, per poter considerare con maggiore attenzione la possibilità di una cooperazione tra più condotte colpose o di una cooperazione colposa nella condotta dolosa di reati contro l’incolumità pubblica e, in particolare, nella condotta di delitto di epidemia, dovranno brevemente prendersi in considerazione le norme volte a disciplinare il concorso di persone nel reato.

Nell’ordinamento penale italiano non sono previste, come, invece, in altri ordinamenti -tra cui, ad esempio, quello tedesco-, specifiche fattispecie di concorso di persone nei reati, dal momento che le diverse ipotesi di concorso sono generalmente fatte rientrare nella figura disciplinata dall’art. 110 c.p., per cui quando più persone concorrono in un medesimo reato, ognuna risponde della pena per questo previsto.

Da un punto di vista soggettivo, si richiede il dolo di concorso, ossia la coscienza e volontà di commettere un determinato reato, accompagnate dalla consapevolezza di concorrere con altri soggetti, per quanto concerne quest’ultima, è sufficiente che anche un solo concorrente abbia conoscenza dell’apporto fornito dall’altro (o dagli altri). Nel caso in cui nessuno sappia di cooperare con l’altrui condotta dolosa vi sarà un concorso di cause dolose tra loro autonome.

All’art. 113 c.p. è prevista la fattispecie della cooperazione colposa, per il caso in cui, nel delitto colposo l’evento sia cagionato dalla condotta di più soggetti.

In considerazione del fatto che il dolo di concorso di cui si è detto, a fianco alla pluralità di agenti, alla realizzazione del fatto di reato e al contributo apportato da ogni concorrente, costituisce uno degli elementi costitutivi del concorso, si sono incontrate delle difficoltà nel coniugare il detto elemento volontaristico con la struttura della colpa, di per se stessa incompatibile con la volontarietà.

Al fine di risolvere la questione, la tesi maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza ha ritenuto che sia richiesta, in tale ipotesi, la coscienza e volontà di violare in concorso con altri soggetti le regole cautelari -in tal caso, come per la fattispecie di cui all’art. 110 c.p., si ritiene sufficiente che uno soltanto dei soggetti coinvolti conosca l’altrui cooperazione- senza, tuttavia, rappresentarsi, neanche in modo eventuale, la realizzazione dell’evento. Proprio nella mancata rappresentazione dell’evento finale si ravviserebbe la distinzione tra concorso doloso ex art. 110 c.p. e cooperazione colposa ex art. 113 c.p..

Ad ogni modo, per evitare un’eccessiva estensione dell’area di punibilità,  taluni hanno considerato che, per potersi riconoscere la responsabilità ex art. 113 c.p., per giustificare la previsione della fattispecie di cui all’art. 113 c.p., occorre che un coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge o da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio. Infatti, solo l’accostamento della consapevolezza dell’azione altrui al comune coinvolgimento nella gestione del rischio potrebbe legittimare la pretesa di un’interazione prudente, facendo in modo, cioè, che ogni soggetto coinvolto nell’azione agisca tenendo conto anche del ruolo altrui. Si può pensare, a tal proposito, a un’equipe di medici che esegua un’operazione, per cui ognuno sarà tenuto a prendere in considerazione il comportamento anche degli altri. Infatti, per quanto concerne, ancora, la necessarietà o meno della consapevolezza in capo ai cooperanti del carattere colposo dell’azione altrui, si è considerato che tale carattere non dovrebbe essere necessariamente conosciuto, al fine dell’integrazione del concorso di cui all’art. 113 c.p., nei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia reso necessario dalla legge o da esigenze organizzative legate alla gestione del rischio. In tale ultimo caso, si richiederebbe, quindi, la semplice consapevolezza di un soggetto di cooperare con l’altrui comportamento, senza che sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta.

Dopo aver ammesso le due ipotesi di concorso -colposo, ex art. 110 c.p. e doloso, ex art. 113 c.p.- nella forma omogenea, ci si è interrogati circa le ipotesi eterogenee di concorso doloso in delitto colposo e di concorso colposo in delitto doloso.

Con riferimento alla prima ipotesi non si sono rilevate particolari difficoltà in quanto tale meccanismo consentirebbe di punire condotte atipiche che, altrimenti, resterebbero impunite. Maggiori ritrosie da parte della dottrina si sono rilevate per quanto concerne la diversa ipotesi di concorso colposo in delitto doloso. Si è, infatti, considerato, da un lato, che l’art. 113 c.p. disciplina la sola cooperazione nei delitti colposi e non la cooperazione colposa nel delitto e, dall’altro, che, dal momento che, ex art. 42, co. 2 c.p., le ipotesi di delitto colposo devono essere espressamente previste dalla legge, lo stesso deve avvenire anche per le ipotesi di concorso colposo.

Tuttavia, è stato riconosciuto, nel corso del tempo, dalla giurisprudenza di legittimità che, dal momento che, come si è detto, nell’ordinamento italiano il concorso di persone costituirebbe un criterio ermeneutico, non dovrebbe rilevare tanto l’art. 42, co. 2 c.p. (riguardante unicamente le norme incriminatrici), dovendosi, piuttosto, considerare gli artt. 40 e 41 c.p., riferiti al nesso di causalità tra condotta ed evento. Se, quindi, la cooperazione colposa ex art. 113 c.p. si distingue dal concorso di cause indipendenti solo perché nel primo vi è la rappresentazione dell’altrui condotta da parte di almeno uno dei compartecipi, allora, una volta ammesso il concorso doloso nel reato colposo non vi sarebbe motivo per escludere, da un punto di vista causale, il concorso colposo in un delitto doloso.

In considerazione di tale ragionamento, anche la dottrina ha acconsentito che, nel caso di violazione colposa di regole cautelari volte a tutelare il bene leso dalla condotta dolosa, ben potrà ravvisarsi un’ipotesi di concorso della condotta colposa in un delitto doloso. In tal caso, quando la condotta del soggetto titolare di una posizione di garanzia si risolva in un’omissione colpevole, vi sarà concorso con la condotta dolosa posta in essere da un altro soggetto quando quest’ultimo sia agevolato dalla prima condotta omissiva. Si può, a titolo esemplificativo, pensare al custode che, colposamente, ometta di dare l’allarme quando vede entrare i ladri nell’appartamento.

Volendo applicare le riflessioni svolte in tema di concorso ai delitti contro l’incolumità pubblica, si può considerare che le condotte di colui che colposamente abbia violato regole cautelari volte a tutelare il bene aggredito anche a titolo doloso, potrà rispondere di cooperazione colposa in delitto doloso. Ciò si verificherà ogni volta che la condotta sia penalmente rilevante anche nella sua forma colposa.

Inoltre, nel caso un soggetto si trovi coinvolto in un’attività di gestione del rischio insieme ad altri ed abbia consapevolezza dell’altrui comportamento colposo, potrà rispondere della fattispecie colposa -ove prevista dalla Legge- in concorso ex art. 113 c.p. ove anch’esso tenga una condotta caratterizzata da colpa.

Con specifico riferimento al delitto di epidemia, contemplato nella forma dolosa dall’art. 438 c.p., l’art. 452, volto a disciplinare, in via generale, i reati contro la salute pubblica che possono essere integrati nella forma colposa, permette di individuare la fattispecie di epidemia colposa. Da ciò deriva che, alla luce di quanto esposto, nel caso in cui un soggetto commetta nella forma colposa il reato di cui all’art. 438 c.p. potrà rispondere, sia, a titolo di concorso eterogeneo, con colui che volontariamente abbia cooperato alla diffusione dei germi patogeni, sia, a titolo di concorso omogeneo ex art. 113 c.p., con colui con il quale cooperava nella gestione del rischio e di cui conosceva la natura colposa del comportamento, senza, tuttavia, provvedere a porvi fine.

In concreto, potrebbe affermarsi che se un soggetto, affetto da malattia risaputamene contagiosa, ammalatosi, ipoteticamente, per dolosa diffusione di germi patogeni da parte di altro soggetto, non si curasse di tutelare gli altri consociati, continuando a restare in luoghi pubblici, così determinando una diffusione del contagio, potrebbe essere chiamato a rispondere di epidemia colposa in concorso con epidemia colposa. Per aversi, invece, un’ipotesi di cooperazione colposa ai sensi dell’art. 113 c.p., più soggetti tenuti a cooperare con coloro che hanno, al loro volta, una posizione di garanzia nella gestione del rischio dovrebbero porre in essere condotte colpose sapendo di cooperare con le condotte altrui -delle quali, per il caso in cui l’obbligo di cooperazione sia previsto dalla legge o da esigenze organizzative per la gestione del rischio, non dovrà essere necessariamente conosciuta la natura colposa.

In definitiva, nel momento in cui vi sia interferenza tra condotte di soggetti diversi, a prescindere dall’elemento soggettivo delle stesse, si deve accertare che almeno uno degli agenti abbia consapevolezza della cooperazione della condotta altrui al fine di potersi individuare la fattispecie di concorso di persona. Sempre che da ogni condotta sia derivato un contributo causale, attivo o omissivo, per la realizzazione dell’evento finale.

Da quanto detto, deriva che l’applicazione della disciplina del concorso, anche eterogeneo, in particolare nell’ambito di reati quali quelli contro la pubblica incolumità, per cui si cerca di rafforzare sempre più l’effettività della tutela del bene giuridico tutelato -come si è detto con riferimento all’anticipazione della tutela nel genus dei reati di pericolo- è fondamentale per riuscire a sanzione tutti i contributi causalmente legati alla realizzazione della messa in pericolo del bene oggetto di tutela.

Una questione che potrebbe porsi con particolare riferimento al reato di epidemia, al fine di poter considerare o meno integrata la fattispecie di cui all’art. 113 c.p., sarebbe quella di comprendere quando si possa parlare di un comune coinvolgimento nella gestione del rischio, ricercando, quindi, i soggetti in capo ai quali gravi una posizione di garanzia in tal senso. Si tratta, infatti, di una fattispecie di reato peculiare, per cui sarebbe restrittivo considerare tale posizione gravante unicamente in capo ai sanitari o alle forze dell’ordine, potendosi (rectius dovendosi), forse, pensare ad un coinvolgimento comune nella gestione del rischio di diffusione dei germi patogeni in capo a tutti i consociati. In ciò, comunque, non si debbono abbandonare i presupposti richiesti imprescindibilmente per riconoscersi la fattispecie di concorso di persone, doloso o colposo che sia. Da ciò si potrebbe far discendere la fondamentale conseguenza per cui, nel caso in cui un cittadino colga il comportamento colposo di un altro (che, ad esempio, pur essendo affetto da un virus fortemente infettivo, frequenti i luoghi pubblici) e non lo richiami alla prudenza ma, anzi, cooperi nella condotta colposa, imitando la sua violazione delle regole cautelari, sarebbe ravvisabile un concorso di cause colpose autonome tra loro, non potendosi individuare una cooperazione. Nel caso in cui, invece, si possa ravvisare un’agevolazione colposa della condotta altrui da parte di colui che pur avendo il dovere di impedirla, non l’ha fatto si potrà parlare di cooperazione colposa ex art. 113 c.p., in tale ultimo caso, l’art. 113 c.p. svolge la funzione  di estendere l’incriminazione anche a condotte diverse rispetto a quelle espressamente previste dalla norma incriminatrice, per cui, ad esempio, risponderà a titolo di concorso colposo nel reato di epidemia l’agente pubblico che abbia omesso colposamente di denunciare un soggetto privo delle adeguate garanzie previste dalla legge al fine di garantire il contenimento di un virus.

Grazie all’estensione della punibilità, raggiungibile non solo con il concorso di cui all’art. 110 ma anche, ricorrendone i presupposti -volontariamente ampliati dalla giurisprudenza-, con la cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p., si permette di estendere la punibilità anche a comportamenti diversi rispetto a quelli espressamente sanzionati dalle norme che disciplinano la materia, particolarmente in contesti che mirano a tutelare beni fondamentali quali la vita, la salute e l’integrità fisica.