La Suprema Corte di cassazione, con le pronunce n. 17350/2020 e 1172/2021, entrambe pronunciate dalla V sezione, interviene nuovamente in tema di atti persecutori ex art 612 bis c.p., ribadendone ancora una volta la natura di reato abituale ed altresì fornendo importanti precisazioni in tema di tempus commissi delicti, con riguardo cioè alla utilizzabilità, ai fini del decidere, degli atti posti in essere dall’imputato senza che sia indicato nel capo d’imputazione l’esatto momento di consumazione del delitto in questione( c.d. contestazione aperta), così come di quegli atti posti in essere dopo che si sia verificato uno degli eventi previsti dall’art 612 bis c.p.; parimenti, la S.C. fornisce importanti chiarimenti in ordine alla rilevanza di fatti non più previsti dalla legge come reato ( l’ingiuria) ai fini delle forme di realizzazione della condotta incriminata, secondo lo schema del reato abituale c.d. proprio.

La prima delle due pronunce in esame ( S.C.,V, 17350/2020, Pres. Morelli, Rel. Sessa) ha ad oggetto il ricorso proposto dalla imputata per la cassazione della sentenza d’appello che la condannava per il delitto di cui all’art 612 bis c.p., nella forma aggravata ex art 8 co. 4 DL 11/2009, poi convertito in L 38/2009, ovvero violando il provvedimento di ammonimento emesso dal Questore: l’imputata era stata arrestata in data 5.12.2016 e sottoposta sino al 3.5.2017 alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, irrogata in sede di convalida dell’arresto, avvenuta in data 7.12.2016.

Ebbene, tra i vari motivi di ricorso proposti assume rilevanza particolare il terzo, con il quale si deduce, ai sensi dell’ art 606 co. 1 lett c) c.p.p.,  l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ex art 522 c.p.p. poiché, con riferimento al tempus commisi delicti, sebbene il capo di imputazione recava la indicazione del periodo a partire dal mese di luglio 2016 “con permanenza”, non potevano considerarsi utilizzabili ai fini del decidere gli atti posti in essere nel periodo successivo al 5.12.2016, giorno in cui l’imputata veniva arrestata, in quanto, secondo la difesa, la permanenza stessa cui faceva riferimento il capo di imputazione sarebbe cessata in tale momento, con conseguente nullità della sentenza per difetto di contestazione ex art 522 c.p.p.

Sul punto, nel dichiarare il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, la Suprema Corte, richiamando peraltro alcuni suoi precedenti ( cfr.  S.C., V, 6742/2018), chiarisce che la natura giuridica del delitto di atti persecutori ex art 612 bis c.p. è quella di reato abituale e non già di reato permanente, con la conseguenza che “… la contestazione si risolve piuttosto nella contestazione aperta … essendo peraltro noto che in caso di delitto di atti persecutori, come per qualunque altro reato abituale, in difetto di contestazione di un termine finale di consumazione, questo non può che coincidere con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processualecfr ex multis Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018 … che ha, tra l’altro, affermato che nel delitto previsto dall’art 612 bis c.p., nell’ipotesi di contestazione aperta, è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell’imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado…” .

La seconda delle pronunce in esame (S.C., V, n.1172/202, Pres. Palla, Rel. Settembre)  ha ad oggetto il ricorso proposto dall’imputato per la cassazione della sentenza d’appello che lo condannava per il delitto di stalking per aver adoperato molestie, minacce ed insulti alla persona offesa, al fine di ottenere la restituzione di una somma di denaro prestatale e fino a che tale restituzione non fosse di fatto avvenuta ( nel mese di agosto del 2011); successivamente, l’imputato aveva pesantemente ingiuriato la parte offesa nel corso di una riunione condominiale tenutasi nel mese di maggio 2013.

Ebbene, con il primo motivo di ricorso, l’imputato lamentava l’erronea applicazione degli artt 124 e 612 c.p., con riguardo alla tempestività della querela, nella misura in cui gli atti persecutori sarebbero cessati nel 2011, al momento della restituzione della somma mutuata, tenuto conto che l’episodio del maggio 2013 rappresentava un fatto a sé – dovuto cioè da altre motivazioni ( rapporti condominiali) ed avente diversa qualificazione giuridica ( ingiuria, ormai depenalizzata a seguito della riforma del 2016) – come tale inidoneo a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela, che peraltro decorre dal verificarsi dell’evento previsto dalla norma incriminatrice.

Sul punto, la S.C., nel dichiarare il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, ritiene destituita di ogni fondamento la tesi difensiva della irrilevanza, ai fini della tempestività della querela, degli atti posti in essere dopo il verificarsi di uno degli eventi previsti dall’art 612 bis c.p. : tanto nella misura in cui “la verificazione dell’evento costituisce – invero- un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi, i quali – saldandosi con quelli precedenti – approfondiscono ed estendono l’offesa al bene giuridico protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all’ultimo atto della serie”.

Se così non fosse, chiarisce altresì la Corte, verrebbe a crearsi una vera e propria “zona franca a vantaggio del persecutore” che finirebbe per giovarsi della tolleranza e sopportazione della persona offesa laddove questa si risolvesse a proporre la querela solo dopo l’ultimo atto persecutorio ma quando fossero già mutate le di lei abitudini di vita, ovvero sia insorto in lei un perdurante e grave stato di ansia o di paura.

Parimenti infondata, ad avviso del Giudice di legittimità, è la pretesa esclusione della ingiuria dal novero degli atti integranti la condotta stalkerizzante, in quanto non più prevista dalla legge come fatto penalmente rilevante.

La Corte, infatti, seppur indirettamente, chiarisce la natura giuridica del delitto di atti persecutori ex art 612 bis c.p., che è quello di reato abituale c.d. proprio, ossia caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di più condotte omogenee ovvero identiche tra loro, anche penalmente irrilevanti, accomunate dalla consapevolezza, sul piano soggettivo, che ognuna di esse si somma alle altre allo scopo di arrecare un pregiudizio voluto dal soggetto agente in danno della persona offesa; ciò allo scopo di evitare che si lascino impunite delle condotte che, pur  non essendo di per sé illecite, poiché vengono a sommarsi finalisticamente  tra loro finiscono per arrecare un pregiudizio al bene giuridico tutelato dalla legge penale.

La Suprema Corte chiarisce infatti che l’ingiuria, seppur non costituisca più reato, può altrettanto rappresentare una forma di molestia, specie quando la persona offesa finisce per essere insolentita in un luogo pubblico ovvero in presenza di altre persone, risultando dunque ben idonea ad incidere negativamente sulla condizione psichica dell’offeso , con la conseguenza che”…ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce nel più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona – l’autore delle stesse sarà sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall’art 612 bis c.p., uno degli eventi previsti da detta norma, risponderà del reato di atti persecutori”.