L’azienda viene definita dal codice civile come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.

Si tratta quindi di un insieme di beni, considerati unitariamente sia da un punto di vista giuridico che economico, che rimane distinto sia dalla persona dell’imprenditore che dalla stessa nozione di impresa, intesa quale attività economica organizzata al fine della produzione o scambio di beni o servizi

L’azienda si configura come lo strumento di cui si serve l’imprenditore per l’esercizio della sua impresa e può essere ricompresa nell’ambito della categoria del bene giuridico inteso nella sua accezione più ampia. L’art. 2555 c.c. fa infatti espressamente riferimento al “complesso di beni” dell’impresa. Le caratteristiche dell’azienda sono principalmente due: l’organizzazione dei beni da parte dell’imprenditore e la loro destinazione all’esercizio dell’impresa. Questi due aspetti sono tra loro complementari in quanto i beni debbono essere tra loro organizzati dall’imprenditore in modo funzionale e strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa. Tale vincolo di destinazione preordinato all’impresa che connota l’organizzazione dei beni dell’azienda deve altresì desumersi da un chiaro intento dell’imprenditore in tal senso.

In forza delle caratteristiche proprie dell’azienda e della sua natura composita, discussa è la tipologia di bene giuridico entro quale catalogarla. Dottrina e giurisprudenza hanno infatti escluso la possibilità di annoverarla sia nell’ambito dei beni corporali o immateriali, in quanto i beni che la compongono non rilevano singolarmente ma quale complesso di beni avente funzione e natura autonoma, che nell’ambito delle universalità di fatto, costituendo l’azienda la sintesi organizzata non solo di beni ma anche di rapporti giuridici. Si è quindi affermato come l’azienda rappresenti un bene composto e più precisamente una universalità di diritto, quale complesso di beni, sia essi mobili o immobili, e di rapporti giuridici, attivi e passivi, i quali, pur mantenendo una loro autonomia funzionale, sono diretti ad assolvere una destinazione economica unitaria (cfr. art. 816 c.c.). Tale natura composita dell’azienda ha avuto necessariamente dei riflessi anche sulla disciplina inerente la sua cessione.  In particolare, la cessione d’azienda configura un trasferimento della proprietà o del suo godimento, che ricomprende, oltre ai singoli beni, anche i rapporti giuridici nascenti dalle obbligazioni contratte nell’interesse della stessa. Ciò in quanto, mediante la cessione, deve essere garantita una continuità dell’attività imprenditoriale a cui l’azienda è preordinata, finalità che non vorrebbe assicurata con la cessione di un singolo bene inidoneo da solo a soddisfare le esigenze dell’impresa.  Al contrario, non potranno essere oggetto di cessione qualità o attributi che attengono la sfera soggettiva dell’imprenditore, quali a esempio la capacità imprenditoriale dello stesso, trattandosi di aspetti estranei all’azienda.

La legge consente, inoltre, di trasferire parte del compendio aziendale o di un suo ramo. Al riguardo, è necessario che la cessione avvenga senza snaturare la natura tipica dell’azienda e quindi preservando la sua funzionalizzazione all’esercizio dell’impresa.

Nella cessione del ramo d’azienda dovrà quindi essere preservata l’organizzazione dei beni così come predisposta dall’imprenditore (seppur per una limitata parte di attività) e che venga mantenuta la destinazione d’impresa cui il compendio aziendale trasferito era destinato.Si pensi al caso di cessione di un ramo d’azienda che si occupa di parte del processo di fabbricazione di automobili, senza che vengano trasferiti i relativi macchinari necessari alla produzione. In tal caso è evidente l’impossibilità per il ramo d’azienda di operare per quel settore di attività imprenditoriale a cui era preposta

Con riferimento alla cessione d’azienda il legislatore ha prescritto alcune formalità.

Per le imprese soggette a registrazione è necessaria la forma scritta ad probationem, con i limiti previsti dall’art. 2725 c.c. in materi di prova testimoniale, senza che tuttavia la sua mancanza ne infici la validità (art. 2556, c. 1 c.c.). Va tuttavia precisato che la cessione d’azienda rimane vincolata all’osservanza delle forme previste per i singoli beni che la compongono o per la particolare natura del contratto.Pertanto, ove il trasferimento abbia a oggetto la proprietà un bene immobile il relativo contratto dovrà essere redatto per iscritto a pena di nullità o se il trasferimento avviene mediante donazione, il relativo negozio dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico.

Ulteriore adempimento ai fini della cessione è il deposito del relativo contratto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata preordinato all’iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante (art. 2556, c. 2 c.c.) L’iscrizione nel registro imprese previsto dall’art. 2556 c.c. assolve una funzione pubblicitaria ai fini dell’opponibilità della cessione nei confronti dei terzi, alla stregua della trascrizione nei registri immobiliari prevista per il trasferimento della proprietà dei beni immobili. La pubblicità propria dell’iscrizione nel registro imprese impedisce quindi ai terzi di opporre l’ignoranza della cessione di azienda e di far valere eventuali diritto in un momento successivo a quando è avvenuta l’iscrizione (cfr. art. 2193, c. 2 c.c.). Di contro, la mancata iscrizione, come desumibile dall’art. 2193 c.c., impedisce a colui che è obbligato a richiederla di opporre ai terzi i fatti non iscritti, nel caso di specie la cessione, salvo la possibilità di provare che il terzo ne abbia avuto comunque a conoscenza.

 La natura composita dell’azienda ha imposto inoltre una specifica disciplina per ciò che concerne la successione nei contratti, nei crediti e nei debiti relativi all’azienda ceduta. In particolare, come desumibile dal codice civile, le norme in materia appaiono improntate a garantire una continuità dell’azienda e dell’attività imprenditoriale a essa sottesa anche per ciò che concerne i rapporti giuridici facenti capo all’azienda stessa.

L’art. 2558 c.c. prevede infatti che, salva diversa pattuizione, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, diversi da quelli aventi natura personale, ossia contratti intuitae personae o aventi a oggetto prestazioni infungibili

Parallelamente all’art. 1406 c.c., si ritiene che i contratti oggetto di cessione debbono avere a oggetto prestazioni corrispettive e non ancora eseguite. La norma contempla quindi un’ipotesi di successione ex lege nei contratti inerenti l’azienda, senza che necessiti del consenso della controparte contrattuale, così come invece previsto in via generale in materia di cessione del contratto all’art. 1406 c.c.

E’ fatta salva al contraente ceduto la facoltà di recedere dal contratto nei tre mesi successivi  dalla notizia della cessione e purché sussista una giusta causa.

Il riferimento alla giusta causa pone un limite alla facoltà di recesso del ceduto, dovendosi ritenere sussistente una causa ragionevole e non arbitraria. La legittimità e correttezza del recesso pertanto dovrà essere valutata caso per caso, avendo il legislatore fatto riferimento a una clausola elastica, qual è quella della giusta causa, suscettibile di essere adattata a situazioni varie e differenziate. In merito, a titolo esemplificativo, può venire in rilievo la scarsa affidabilità del nuovo contraente/cessionario o l’inopportunità per il ceduto a livello economico o imprenditoriale della continuazione del rapporto contrattuale con altro soggetto.

Il recesso del ceduto dal rapporto contrattuale è inoltre foriero di conseguenze in quanto costituisce fondamento della responsabilità dell’alienante, così come previsto dall’art. 2558, c. 2 c.c..Tale previsione normativa può essere interpretata in un’ottica di garanzia nei confronti dell’acquirente che abbia fatto affidamento ai rapporti giuridici esistenti in capo all’azienda al momento della cessione, ivi compreso il contratto oggetto di recesso. Questa conclusione appare del resto coerente con la disciplina generale prevista per la cessione del contratto, la quale all’art. 1410 c.c. stabilisce che “il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto” nei confronti del cessionario. Pertanto, in presenza di un recesso giustificato, l’acquirente dell’azienda ha diritto a far valere le sue ragioni nei confronti dell’alienante e i danni derivanti dallo scioglimento del contratto.  Per non incorrere in eventuali responsabilità, sarà quindi premura dell’alienante verificare e valutare previamente alla cessione d’azienda se sussistano ragioni tali da giustificare il recesso dell’altro contraente dai contratti aziendali.  Si tratta di valutazioni che rivestono particolare importanza soprattutto nei casi in cui i contratti aziendali oggetto di cessione siano essenziali per l’azienda e per l’esercizio dell’attività di impresa cui sono collegati.

Il recesso può essere esercitato entro il termine di tre mesi dalla notizia del trasferimento dell’azienda. A tal riguardo ci si interroga se sia necessario provvedere alla notificazione della cessione nei confronti del contraente ceduto, quale incombente previsto dall’art. 1407 c.c., al fine di renderla efficace nei suoi confronti e far decorrere il termine per il recesso. Il fatto che l’art. 2558, c. 2 c.c. non faccia menzione della notificazione della cessione nei confronti dell’altro contraente, induce a ritenere che la notizia debba essere trasmessa senza particolare formalità, anche in considerazione del fatto che il subentro nel contratto avviene in via automatica e spiega efficacia ex lege tra le parti interessate. Pare piuttosto plausibile che sia il cessionario del contratto a provvedere a informare il contraente ceduto del trasferimento in quanto interessato alla decorrenza del termine per il recesso e alla conseguente stabilizzazione degli effetti del contratto ceduto.

La cessione d’azienda implica, altresì, l’automatica cessione dei crediti aziendali nei confronti dell’acquirente e dei terzi, in quanto il subentro nel credito, ai fini della sua efficacia, non necessita di notificazione o accettazione nei loro confronti. L’art. 2559 c.c. subordina infatti l’efficacia della cessione dei crediti d’azienda all’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese, quale sistema pubblicitario idoneo a portare a conoscenza dei terzi la vicenda modificativa del rapporto obbligatorio. Appare quindi evidente la diversità di disciplina rispetto a quella generale prevista in materia di cessione di credito all’art. 1264 e art. 1265 c.c., i quali prevedono la necessaria accettazione o notificazione della cessione al debitore ceduto e ai terzi affinché sia agli stessi opponibile. Il debitore ceduto che paga potrà comunque ritenersi liberato nei confronti dell’alienante solo ove versi in buona fede e quindi l’ignoranza della cessione dipenda da circostanze a lui non imputabili.

L’automatico subentro ex lege da parte dell’acquirente dell’azienda non viene invece contemplato per ciò che riguarda i debiti aziendali. L’alienante infatti non viene liberato dai debiti inerenti l’azienda ceduta anteriori al trasferimento, a eccezione dei casi in cui i creditori vi abbiano acconsentito (art. 2560 c.c.). La ratio di tale previsione si giustifica alla luce dell’affidamento che il creditore depone nei confronti dell’originario debitore, per cui il subentro di un nuovo debitore necessita di una sua preventiva approvazione  La disciplina in esame risulta del resto conforme alle norme previste in tema di modificazione sul lato passivo del rapporto obbligatorio, le quali, ai fini della liberazione del debitore originario,  prevedono in ogni caso il consenso da parte del creditore (cfr. art. 1268 c.c. e ss.). Con riferimento all’acquirente il legislatore ammette un subentro dello stesso nei debiti pregressi inerenti l’azienda solo nel caso in cui si tratti di imprese commerciali soggette obbligatoriamente alla tenuta dei libri contabili e purché dagli stessi risultino i debiti pendenti.  Il subentro nel debito viene quindi subordinato all’effettiva conoscenza da parte dell’acquirente dell’esistenza dei debiti aziendali, (conoscenza) la quale si basa secondo l’art. 2560, c. 2 c.c. su una presunzione di conoscibilità derivante dalla possibilità per l’acquirente di consultare i libri contabili. Incombe quindi sul cessionario/acquirente accertarsi dell’esistenza di eventuali debiti conformemente al dovere di diligenza. Il concorso dell’acquirente dell’azienda nei debiti aziendali pregressi contemplato dall’art. 2560 c. 2 c.c. può essere ricondotto nell’istituto dell’accollo cumulativo (e non liberatorio in ossequio al disposto dell’art. 2560, c. 1 c.c.), in quanto il patrimonio del acquirente va ad aggiungersi a quello dell’alienante, rafforzando la garanzia del creditore.  Si tratterebbe di un accollo esterno ex lege che trova la sua ragion d’essere nel contratto di cessione d’azienda. Secondo altra interpretazione tuttavia la posizione dell’acquirente potrebbe essere altresì accostata alla figura del fideiussore in funzione di garanzia dei debiti aziendali contratti in precedenza. In questo caso, esso, concorrendo in via solidale nel debito altrui, potrebbe comunque valersi del rimedio dell’azione di regresso prevista a tutela del fideiussore dall’art. 1950 c.c

Le norme in materia di successione nei contratti e crediti e debiti aziendali possono ritenersi pacificamente applicabili anche alla cessione del ramo di azienda. Anche in quest’ultima fattispecie il trasferimento deve comunque essere attuato preservando l’attività d’impresa cui quel determinato ramo d’azienda è preordinato a svolgere e dovrà quindi ricomprendere anche i relativi rapporti giuridici attivi e passivi. Tale assunto può desumersi dallo stesso tenore degli artt. 2558 e ss. i quali infatti fanno espresso riferimento ai contratti, crediti e debiti “aziendali”, i quali pertanto potranno rilevare anche nell’ambito del trasferimento di un solo comparto dell’azienda. Al riguardo possono tuttavia porsi questioni per ciò che concerne l’ambito e i limiti della cessione dei contratti e dei rapporti giuridici inerenti quel ramo d’azienda.  In un’ottica funzionale del trasferimento dell’azienda rispetto all’attività d’impresa, la soluzione più opportuna parrebbe quella che consente una successione dell’acquirente in quei rapporti giuridici che consentono al ramo d’azienda ceduto di operare nell’ambito dell’attività d’impresa per il quale esso è preposto. Tale conclusione non osta a una possibile condivisione tra cedente e cessionario di quei contratti che riguardino sia il ramo di azienda ceduto che il compendio aziendale residuo, con conseguente instaurazione di un rapporto solidale tra le due parti nel contratto o nel rapporto giuridico aziendale.