Le fonti secondarie per eccellenza sono i regolamenti, espressione del potere esecutivo; essi presentano una duplice natura, quella amministrativa in ragione del soggetto dai quali promanano e  quella sostanzialmente normativa   con riguardo al loro contenuto  generale ed astratto. In considerazione di questa particolare natura, come si vedrà nel proseguo della trattazione, il regolamento produce rilevanti effetti in ordine alla tutela giurisdizionale. L’art.134 Cost. esclude il sindacato di costituzionalità per le fonti di rango secondario;  tuttavia è possibile un controllo indiretto della Corte Costituzionale qualora la legge sul quale si fonda  sul regolamento  e quest’ultimo  abbia determinato il contenuto minimo dello stesso; infatti, in casi siffatti,  il giudizio di incostituzionalità travolgerà oltre alla legge anche il regolamento. Al di fuori di questa ipotesi i regolamenti sono sottoposti al regime giuridico degli atti amministrativi, sicché potranno essere disapplicati dal giudice ordinario o annullati dal giudice amministrativo; si discute inoltre se possano, al pari di tutti gli atti amministrativi, essere disapplicati anche dal giudice amministrativo.

Il sindacato sulla legittimità dei regolamenti da parte del giudice ordinario avviene incidentalmente ogni volta che la questione oggetto del giudizio attiene a diritti soggettivi e rispetto alla quale il regolamento è il presupposto della controversia. In questi casi ai sensi dell’art.5 L. n 2248 del 1865, il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il regolamento illegittimo.

Particolarmente problematico è il regime impugnatorio del regolamento a causa della sua natura ibrida – amministrativa e normativa. La Giurisprudenza  ne ammette, infatti, anche se in via eccezionale, l’impugnabilità limitandola all’ipotesi in cui il regolamento determini una lesione soggettiva prima ancora della sua concreta attuazione da parte della p.a. A tal proposito, la dottrina distingue i regolamenti che si attestano nella fase preliminare non idonea ad incidere nella sfera giuridica del destinatario che, in ipotesi potrebbe essere leso; in tal caso, l’impugnazione del provvedimento dovrà essere fatta congiuntamente con l’atto amministrativo e il termine decadenziale decorrerà dalla data di adozione dell’atto applicativo. Se, invece,  il regolamento si attesta nella fase volitiva di azione, il termine decadenziale decorre dalla data in cui esso ha provocato la lesione. Nel caso, infine, dei regolamenti misti vale a dire contenenti sia prescrizioni di carattere programmatico che statuizioni lesive, il regime dell’impugnazione varierà a seconda della natura delle disposizioni oggetto di contestazione.

In conclusione, la natura ibrida del regolamento impone una disamina approfondita del contenuto programmatico o meno dell’atto, dovendosi procedere, volta per volta, ad una scissione fra le parti del provvedimento che siano meramente precettive e quelle che determinano un’immediata lesione di carattere soggettivo. In tali casi l’annullamento del regolamento, in ragione della sua naturale portata precettiva, non può che avere efficacia erga omnes e legittimare, conseguentemente, la pubblicazione del regolamento annullato con le stesse modalità pubblicistiche osservate in occasione della sua emanazione.

In ragione delle peculiarità appena esposte,  emergono  molteplici problematiche processuali. La sentenza di annullamento emessa in sede di doppia impugnativa, secondo giurisprudenza costante del Consiglio di Stato, produce effetti erga omnes in deroga al principio generale per cui la sentenza fa stato solo tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa art.2909 c.c.

Un primo aspetto problematico è  proprio l’efficacia ultra partes del giudicato nei confronti di soggetti indeterminati e indeterminabili a priori, essendosi in presenza di un atto a contenuto generale. Il processo amministrativo è regolato dal d.lgs. 104 del 2010 – codice del processo amministrativo – rispetto al quale, in assenza di norme ad hoc, suppliscono le disposizioni processualcivilistiche, secondo le quali il giudicato opera solo inter partes, art.2909 c.c. I casi di giudicato amministrativo con effetti ultra partes non possono che essere eccezionali. Secondo una recente Adunanza plenaria del Consiglio di Stato,  la ragione di una tale eccezionale efficacia  risiede nell’inscindibilità degli effetti dell’atto o nell’inscindibilità del vizio dedotto: in specie, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato. In base a tale criterio, dottrina e giurisprudenza hanno individuato alcune ipotesi eccezionali di estensione ultra partes degli effetti del giudicato. La prima è quella dell’annullamento del regolamento prevista indirettamente dall’art.14 D.p.r. n.1199 del 1971; la seconda è l’annullamento di un atto plurimo inscindibile, come il caso del decreto di esproprio di un bene in comunione; altra ipotesi, infine è l’annullamento di un atto plurimo scindibile, ad esempio il decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale travolto per un vizio comune.

Il sistema della doppia impugnativa del regolamento e dell’atto applicativo determina il problema dell’individuazione dei soggetti controinteressati. Questi ultimi, secondo la giurisprudenza amministrativa sono titolari di una posizione giuridica di vantaggio, attribuita dal provvedimento impugnato e possono essere identificati alla stregua dello stesso. Ai sensi dell’art.41 del C.p.a., il ricorso amministrativo deve essere notificato, a pena di inammissibilità, sia all’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato, ovvero in caso di regolamento all’amministrazione che lo ha emanato, se diversa da quella che ha emesso l’atto applicativo, sia ai controinteressati, ovvero coloro che ricevono un beneficio dal regolamento oppure che hanno l’interesse alla conservazione dell’atto applicativo. La giurisprudenza maggioritaria, in virtù della natura normativa dell’atto, non ritiene configurabili posizioni di soggetti controinteressati in sede di impugnazione del regolamento. In alcune sentenze minoritarie, tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto per i regolamenti che contengano prescrizioni concrete – è il caso dei regolamenti volizione azione – la possibilità di individuare dei controinteressati, pur se persistono serie  difficoltà  per  individuare in concreto tutti coloro che hanno una utilità diretta dall’atto normativo, rivolgendosi – quest’ultimo –  ad un numero indeterminato di individui.

Altro problema è quello della sorte dei provvedimenti attuativi del regolamento annullato. A tal fine si distinguono due ipotesi. La prima, attiene al caso della doppia impugnativa, situazione che comporta l’annullamento dell’atto di esecuzione – c.d. invalidità derivata -; la seconda ipotesi,  riguarda l’impugnativa del solo regolamento e la sorte degli atti applicativi medio tempore non impugnati tempestivamente. In quest’ultimo caso si prospettano due tesi: secondo un primo orientamento l’eliminazione del regolamento produce un effetto caducante nei confronti dell’atto applicativo, sussistendo tra il regolamento e provvedimento un nesso di presupposizione – consequenzialità. Altra tesi dominante ritiene che l’annullamento del regolamento abbia efficacia viziante ma non caducante dell’atto applicativo. Ne consegue che gli effetti dell’annullamento prodotti dalla doppia impugnativa o dall’impugnazione del solo regolamento lesivo non si propagano agli atti emanati medio tempore divenuti definitivi per effetto del decorso dei termini per l’impugnazione. La P.A. in taluni  casi può esercitare il potere di autotutela nelle forme della revoca art. 21 quinquies – L.241 del 1990 – o dell’annullamento d’ufficio art. 21 nonies della medesima legge. In tali casi l’esercizio del potere di autotutela (che può essere sollecitato dal privato in presenza di un pubblico interesse) determina l’obbligo a favore dei soggetti danneggiati dalla revoca e/o annullamento del provvedimento della liquidazione di un indennizzo che, a differenza del risarcimento dei danni, può coprire solo il  danno emergente conseguente alla perdita del beneficio.

L’orientamento della giurisprudenza recente sembra applicare entrambe le soluzioni a seconda del grado di intensità del rapporto fra regolamento e provvedimento applicativo.

Con riguardo ai profili di certezza del diritto,  nei casi sopra esposti  lo strumento  alternativo della disapplicazione garantirebbe meglio, secondo autorevole dottrina, le esigenze  di  certezza del diritto nel caso in cui più giudici fossero chiamati a decidere sulla legittimità di uno stesso regolamento e addivenissero a soluzioni differenti.  In questa maniera non si porrebbe alcun problema di contrasto di giudicati. Inoltre, il problema dei controinteressati troverebbe una maggiore e più incisiva soluzione rispetto all’annullamento erga omnes; infatti tale effetto appare sproporzionato rispetto alle istanze di tutela del ricorrente e alle conseguenze che si determinerebbero in capo ai soggetti beneficiari degli effetti del provvedimento impugnato.

Lo strumento della disapplicazione in capo al giudice amministrativo è però discusso,  non solo per il regolamento, ma anche per gli atti amministrativi generali, come i bandi di gara e di concorso. Secondo l’orientamento tradizionale gli atti amministrativi generali non sarebbero atti normativi. Essi sono rivolti a soggetti che, se pur indeterminati ex ante, lo sono ex post. Ne deriva che, essendo atti procedimentali e non normativi, i bandi sono soggetti al normale regime impugnatorio previsto per gli atti amministrativi.  Prendendo le mosse dal nuovo orientamento favorevole alla disapplicazione dei regolamenti da parte del giudice amministrativo e argomentando sulla natura normativa dei bandi alcune recenti pronunce hanno esteso lo strumento in parola alla tutela di posizioni giuridiche soggettive connesse all’applicazione di bandi di gara e concorso. Tuttavia la posizione del Consiglio di Stato, ribadita recentemente, ha confermato l’indirizzo tradizionale alla stregua del quale non può essere estesa ai bandi la disapplicazione valida esclusivamente per gli atti normativi.

In conclusione, in relazione alle problematiche collegate all’efficacia della sentenza di annullamento, alle spinte del diritto comunitario e alle esigenze di certezza del diritto.  la giurisprudenza del Consiglio di Stato, negli ultimi anni, per risolvere le antinomie che possono venire a crearsi nei casi di caducazione del regolamento per effetto di una sentenza di annullamento,  opta per lo strumento della disapplicazione. Quest’ultimo, alternativo all’annullamento,  sembrerebbe  essere uno strumento più adatto al mutamento del centro di interesse della giurisdizione amministrativa,  non più incentrata esclusivamente sul provvedimento amministrativo ma  maggiormente  attenta  al rapporto sottostante allo  stesso, e, dunque, al bene della vita in  discussione  nel caso concreto.