L’accesso alla professione legali in Italia ivi compreso l’accesso alla professione di Magistrato – non è assistito da percorsi formativi specifici. L’offerta universitaria rimane infatti a tutt’oggi disgiunta dalle peculiarità delle singole professioni (di avvocato, Notaio e Magistrato), senza che, in merito, sia stata prevista l’individuazione di un percorso di studi, post-laurea, fortemente  specialistico. Emblematica, sotto questo specifico profilo è la disciplina dell’accesso all’esame di  abilitazione alla professione forense, profondamente innovata sin dall’anno 2012 e non ancora, completamente  attuata, sia sotto il profilo  dell’avvio dei corsi di formazione specifica tenuti dai Consigli dell’Ordine e dalle Associazioni professionali che con riguardo al divieto dell’uso, in sede di esame, dei codici commentati.

L’accesso alla professione di Magistrato avviene per concorso pubblico, bandito dal Ministero di Giustizia, d’intesa con il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di Autogoverno della Magistratura. Si tratta di un concorso a numero chiuso (viene di norma bandito ogni anno per un numero di 200 – 300 posti) cui si accede dopo aver conseguito alternativamente uno dei seguenti titoli: l’abilitazione alla professione di Avvocato, il diploma di specializzazione presso la Scuola delle professioni legali, l’espletamento di un tirocinio di un anno e mezzo con esito positivo presso un Ufficio Giudiziario. Attualmente il concorso – esperibile nella misura massima di tre volte –  consta del superamento di tre prove scritte, consistenti nella redazione di tre temi e/o elaborati su materie di diritto civile, diritto amministrativo e diritto penale, temi che devono raggiungere la sufficienza, ciascuno singolarmente, sebbene la loro correzione avvenga simultaneamente attraverso l’abbinamento delle buste in una fase successiva alla consegna anonima degli elaborati. La prova orale è molto complessa perché alle tredici materie previste normativamente, se ne sono aggiunte, con il tempo, delle nuove, fino ad arrivare a diciotto materie, variamente combinate fra di loro. Per vincere il concorso, è necessario essere dotati di una preparazione di altissimo livello, dal momento che è richiesta una conoscenza approfondita di tutte le principali materie giuridiche.  L’alta selettività del concorso, assolutamente necessaria al fine di garantire correttezza, terzietà e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, può essere, ad avviso di scrive, garantita anche senza la propedeuticità di uno specifico titolo abilitante. Il sistema giudiziario italiano garantisce, infatti, una formazione sul campo altamente qualificata, caratterizzata dall’espletamento da parte dei giovani Magistrati  vincitori del concorso di un tirocinio teorico-pratico gestito dalla Scuola Superiore della Magistratura. E’ pertanto auspicabile una riforma delle attuali norme di accesso al concorso di Magistratura, attraverso la legittimazione alla domanda di giovani brillanti laureati, dotati di elevata preparazione giuridica, deontologicamente consapevoli della delicatezza della funzione che aspirano a ricoprire.

La preparazione al concorso in Magistratura, è a tutt’oggi affidata alle Scuole di specializzazione post-laurea, della durata di un biennio, istituite per tutte le professioni legali. Tale preparazione presenta forti elementi di criticità. Chi insegna nelle Scuole di specializzazione ha, infatti, esperienza di quanto pesantemente il contenuto delle prove di esame per l’accesso alle varie professioni legali condizionino l’attenzione e gli interessi degli allievi, soprattutto nei casi in cui le scuole non offrano contenuti interdisciplinari al loro interno proponendo una lettura intelligente dei programmi di concorso. Le mere dissertazioni su temi teorici di diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, pur utili per la realizzazione di un approfondito sapere giuridico, non possono costituire l’unica modalità di preparazione per il concorso, dal momento che lasciano gli aspiranti Magistrati pressocchè impreparati rispetto all’esigenza di acquisire capacità critica e di argomentazione.  Non a caso, riscuotono molto più successo fra i giovani laureati le molteplici – ed onerose –  Scuole private, caratterizzate da un’offerta formativa specificatamente mirata al superamento delle prove scritte del concorso.

La necessità di una profonda rivisitazione dell’offerta formativa per i giovani aspiranti Magistrati può, forse, trarre spunto, a parere di scrive, dall’esperienza dei tirocini formativi introdotti dall’art. 73 D.L. 69/2013, istituiti dal legislatore del 2013 con una specifica qualificazione “formativa”, caratterizzata dallo scambio di lavoro – formazione tra lo stagista ed il Magistrato affidatario. Gli obiettivi formativi dei tirocini vengono, infatti, perseguiti dal giovane stagista – oltre che attraverso il contatto continuo con il Magistrato – anche a mezzo della frequentazione di corsi di formazione specificatamente dedicati, organizzati dalla Formazione decentrata di ogni Distretto giudiziario, che, come è noto, costituisce l’articolazione territoriale della Scuola Superiore della Magistratura. A Milano l’attività formativa dedicata ai tirocinanti è stata, in questi ultimi anni, garantita attraverso l’organizzazione di due differenti cicli di formazione, ciascuno caratterizzato da sei diversi incontri, tre di diritto civile e penale. Gli incontri – di carattere seminariale ed esercitativo – sono stati tenuti da Magistrati del Distretto e/o professori universitari. L’adesione ai corsi è stata molto apprezzata dai tirocinanti che hanno seguito i corsi con grande impegno non mancando di partecipare anche agli altri incontri di formazione proposti a tutti i Magistrati del Distretto.

L’esperienza dei tirocini formativi negli Uffici Giudiziari, se comparata con quella analoga prevista per i praticanti – Avvocati, è stata, dunque, considerata dallo stesso legislatore come uno dei percorsi formativi più idonei per accedere alle professione legale di Magistrato, purchè assistita dalla frequentazione parallela di corsi di formazione. La realtà non ha smentito questa previsione. Attraverso il contatto continuo con il Magistrato affidatario, il giovane laureato in giurisprudenza comincia a conoscere, nel profondo, l’organizzazione giudiziaria, approfondisce le proprie conoscenze giuridiche sotto la guida del Giudice, assiste all’applicazione delle norme di legge, predispone la bozza dei provvedimenti giurisdizionali acquisendo capacità argomentative e interpretative. Va da sé che proprio le caratteristiche formative del tirocinio impongono al giovane stagista di non abbandonare la propria attività di studio e ricerca, non potendosi ragionevolmente ritenere sufficiente che i soli 18 mesi di tirocinio possano permettere il superamento del concorso. Le nozioni acquisite sul campo in sede di tirocinio vanno quindi integrate con uno studio intensivo teorico.

Concludendo, il tirocinio formativo presso gli Uffici Giudiziari, pur se insufficiente  a fornire all’aspirante Magistrato idonea preparazione per il superamento del concorso, costituisce una valida premessa per lo studio delle materie d’esame I giovani tirocinanti osservando, dal suo interno, il lavoro del Giudice, comprendono cosa vuol dire fare giurisdizione e si determinano alla scelta professionale in maniera consapevole e meditata. E’ perciò fortemente auspicabile che, in una prospettiva di  modifica dell’accesso al concorso e delle prove di esame, si tenga conto di tale specifica esperienza valorizzando quei candidati che, attraverso il contatto profondo con la realtà giudiziaria, ne abbiano  fatto specifica e meritevole sperimentazione.