L’atto amministrativo è lo strumento che consente l’esplicazione della potestà amministrativa da parte della Pubblica Amministrazione nel raggiungimento dei fini individuati dalla legge e per la cura degli interessi pubblici.

Si parla di atti amministrativi facendo riferimento ad un’ampia categoria ricomprendente manifestazioni di volontà, di conoscenza, di giudizio ovvero di un insieme di questi contenuti, provenienti necessariamente da una Pubblica Amministrazione e tendenzialmente dotate di rilevanza esterna, finalizzate all’esercizio di una funzione amministrativa e, infine, caratterizzate da concretezza e determinatezza/determinabilità, a priori o a posteriore, dei destinatari.

All’interno della categoria degli atti amministrativi, poi, la principale partizione esistente è quella fra atti amministrativi strumentali – detti anche meri atti – e provvedimenti amministrativi; solo questi ultimi, tuttavia, sono in grado di realizzare in via diretta la cura di un interesse pubblico, essendo idonei ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del destinatario.

Tra gli atti amministrativi strumentali, invece, è possibile riscontrare altresì una speciale categoria di atti, c.d. atti amministrativi generali, talvolta difficilmente distinguibili rispetto alle fonti secondarie, e caratterizzati, a seconda dei casi, da astrattezza ovvero da innovatività.

Sul punto occorre specificare come gli atti amministrativi generali siano distinguibili dalle fonti normative secondarie proprio per l’assenza, rispetto a queste ultime, di profili di generalità, astrattezza e capacità di innovare l’ordinamento giuridico.

Nonostante si siano individuate, in linea teorica, le differenze tra due categorie, talvolta risulta comunque complesso comprendere se si tratti di un atto amministrativo ovvero di una vera e propria fonte del diritto, in ragione dell’esistenza nell’ordinamento di fattispecie la cui natura è ancora discussa in dottrina.

Pare opportuno aggiungere, infatti, che le fonti secondarie del diritto amministrativo, tra l’altro, risultano dominate da un principio di generale atipicità, essendo fortemente caratterizzate dall’esistenza di modelli devianti rispetto ai modelli generali, con la conseguenza che, talvolta, risulta difficile differenziare in modo sicuro se si tratti di una fonte normativa ovvero di un atto amministrativo generale.

E, l’esigenza di una distinzione tra atti amministrativi generali e fonti del diritto, non costituisce una questione di carattere meramente definitorio, in quanto la natura di atto amministrativo, piuttosto che di fonte, incide profondamente sul regime giuridico applicabile e, di conseguenza, sulle tecniche di tutela.

A titolo meramente esemplificativo, ma non esaustivo, si ricordi come solo per gli atti normativi vale il principio iura novit curia, così essendo il giudice tenuto a conoscerle ed applicarle anche d’ufficio, ed ignorantia legis non excusat; solo per le fonti secondarie, poi, sarà possibile applicare le regole ermeneutiche di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., quando invece per gli atti amministrativi saranno applicabili i criteri ermeneutici posti a presidio dell’attività di interpretazione dall’art. 1362 c.c.;  ancora, solo l’inosservanza della fonte secondaria da parte del giudice di merito potrà dare luogo a ricorso per Cassazione (art. 360, n. 3, c.p.c.); poi, mentre la violazione di una fonte secondaria da parte di un provvedimento amministrativo comporterà l’illegittimità per violazione di legge, l’inosservanza dell’atto generale costituisce una figura sintomatica di eccesso di potere; inoltre, l’atto normativo, a differenza dell’atto amministrativo generale, può essere disapplicato dal giudice amministrativo e dalla stessa Pubblica Amministrazione; etc.

Tipico esempio di fattispecie di dibattuta collocazione è proprio quello delle circolari.

In particolare, queste ultime sono considerate dall’orientamento dottrinale tradizionale e maggioritario un tipo di atto amministrativo autonomo, afferente ai c.d. atti interni, per natura destinati all’autoregolamentazione di organi ed uffici.

A fondamento di tale tesi vi è il principio di pluralità degli ordinamenti giuridici all’interno dello Stato, implicante il riconoscimento della potestà regolamentare di ciascuna Amministrazione di provvedere, tramite i propri organi apicali, alla propria organizzazione emanando atti destinati ad incidere sul proprio funzionamento.

In realtà, parte della dottrina ritiene che le circolari, pur non essendo fonti del diritto, facciano parte delle c.d. norme interne, categoria di atti con cui le amministrazioni regolamentano l’organizzazione dei propri organi ed uffici ed espressione del potere di auto-organizzazione degli organi sovraordinati all’interno di una stessa Amministrazione.

Vi è, infine, una terza tesi, del tutto minoritaria in dottrina, che ritiene gli atti de quo meri strumenti di comunicazione, alla stregua di notificazioni.

La giurisprudenza maggioritaria ha aderito, ormai da tempo, alla prima tesi, tanto da ritenere le circolari meri atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori; se anche gli organi sotto-ordinati disattendessero il contenuto della circolare, questo non sarebbe comunque motivo di illegittimità dell’atto de quo, potendo rappresentare in limine un indice sintomatico di eccesso di potere.

Ebbene, la circolare si presenta di sovente come atto a contenuto generale, cioè indirizzato ad una pluralità di soggetti non necessariamente predeterminati, astratto, cioè indifferenziato per tutti i destinatari e non riferito ad una concreta e specifica situazione, nonché privo di rilevanza esterna, assurgendo, però, a rango di mera norma interna all’amministrazione in quanto diretto a disciplinare l’operato di organi amministrativi.

Fermo quanto appena esposto, si può dire altresì che le circolari abbiano, al più, efficacia esterna “mediata”, un’efficacia, cioè, che si estrinseca nell’atto amministrativo applicativo (o violativo) della stessa; se, per esempio, l’atto amministrativo adottato sulla base della circolare si pone in contrasto con quest’ultima, si potrà ravvisare un profilo sintomatico di eccesso di potere e la circolare, pur non avendo efficacia esterna “diretta”, manifesterà la sua “efficacia mediata” fungendo da parametro per verificare il corretto esercizio del potere amministrativo.

Le circolari possono essere distinte, poi, sulla base del loro contenuto in circolari organizzative, interpretative, normative, di cortesia, etc., ma la categoria sicuramente più discussa è quella delle circolari-regolamento; esse sono circolari con la peculiarità di essere idonee produrre effetti esterni all’amministrazione, di fatto incidendo su posizioni giuridiche di soggetti estranei all’organo da cui provengono. Essendo le circolari-regolamento dotate del carattere della innovatività, la maggior parte della dottrina dubita della loro legittimità, soprattutto qualora fossero adottate senza osservanza delle norme previste per l’adozione dei regolamenti (art. 17, L. 400/1988).

Quanto alla impugnabilità delle circolari, conseguenza del carattere interno delle stesse è la non impugnabilità autonoma delle stesse davanti al giudice amministrativo, difettando, in assenza del provvedimento attuativo, un attuale e concreto interesse a ricorrere.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, infatti, la circolare sarebbe, al più, impugnabile congiuntamente all’atto applicativo della stessa e lesivo della sfera del destinatario, in conformità allo schema della c.d. doppia impugnazione.

La stessa giurisprudenza, tra l’altro, ammette che le circolari amministrative possano essere disapplicate anche d’ufficio dal giudice amministrativo, ove risultino contrastanti con fonti normative di rango primario.

Fanno eccezione alla regola della non impugnabilità immediata delle circolari solo quelle emesse dal Ministero dell’Interno in materia di stato civile; tali circolari vincolano ogni ufficiale di stato civile ed altresì il Sindaco, il quale, nella sua veste di ufficiale di stato civile, si trova, in tale ipotesi, in posizione di subordinazione rispetto al Ministero (art. 9, c. 1, d.P.R. 396/200); di conseguenza le circolari di tal genere, per quanto non espressive di un potere normativo, sono immediatamente impugnabili da parte dei soggetti eventualmente lesive dalle stesse.

In conclusione può affermarsi come tali circolari, avendo la specifica prerogativa di incidere direttamente sulle posizioni soggettive iscritte nei registri anagrafici sono da considerarsi alla stregua di veri e propri regolamenti, ragione per cui presentano le caratteristiche di atti amministrativi a contenuto normativo e, pertanto, risultano immediatamente impugnabili.