Con la riforma del 2015 il legislatore ha introdotto all’art. 131 bis c.p. una nuova causa di non punibilità per tutti quei fatti penalmente rilevanti connotati da particolare tenuità.

Si tratta di un istituto di nuovo conio, avente natura sostanziale in quanto diretta a incidere sulla disciplina del reato e diretto a scongiurare un trattamento punitivo innanzi a condotte penalmente rilevanti ma di particolare tenuità in merito alla loro offensività in un’ottica eminentemente deflattiva. Ciò tuttavia non esclude importanti riflessi sul piano del processo penale.

Con riferimento ai presupposti necessari ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p. si richiede innanzitutto che il reato contestato sia punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni o con pena pecuniaria sola o congiunta alla presente pena.

Per il computo del termine di pena non rilevano le circostanze, se non quelle a effetto speciale o quelle per le quali è prevista una pena di specie diversa.

Premesso tale limite generale, il primo requisito necessario per l’applicazione della causa di non punibilità è la tenuità dell’offesa, la quale dovrà essere apprezzata sulla base della modalità della condotta e nell’esiguità del danno o del pericolo derivanti dalla condotta illecita.

Tali aspetti, che rilevano sotto il profilo oggettivo della condotta, dovranno essere valutati alla stregua dei criteri previsti dall’art. 133 c. 1 c.p. Rilevano pertanto la natura, la specie, i mezzi utilizzati, nonché le circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolto il reato e altresì la gravità del pericolo o del danno cagionato alla vittima.

Seppur non vi sia un esplicito richiamo all’intensità del dolo e della colpa, il riferimento al primo comma dell’art. 133 induce a ritenere come rilevanti anche tali elementi, anche alla luce dei riflessi che essi possono avere sulle modalità della condotta.

Il comma 2 dell’art. 131 bis c.p. elenca una serie di reati o circostanze in presenza dei quali l’offesa non può ritenersi di particolare tenuità: quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

In questi casi circoscritti la valutazione dell’offesa della condotta è stata effettuata in via preventiva e assoluta dallo stesso legislatore, la quale impedisce al Giudice di procedere a una graduazione dell’offesa in concreto nell’ambito del processo penale.

Il riferimento alla tenuità dell’offesa di cui all’art. 131 bis c.p. non deve tuttavia condurre a una indebita sovrapposizione della norma in esame rispetto al generale principio di offensività caratterizzante la materia penale e previsto dall’art.49 c.p..

Il principio di offensività costituisce elemento costitutivo della fattispecie penale e opera sul piano astratto della norma che la contempla; al contrario, l’art. 131 bis c.p. presuppone una valutazione in concreto dell’offesa arrecata rispetto una condotta illecita tipicae offensiva.

La distinzione ha rilevanze importanti ove si considera che l’inidoneità della condotta a offendere il bene giuridico tutelato dalla norma penale impedisce la configurazione stessa del reato, con conseguente formula di proscioglimento piena a favore dell’imputato “perché il fatto non sussiste”.

L’applicazione dell’art. 131 bis c.p. al contrario fa venir meno la punibilità di un fatto che integra in tutti i suoi elementi la fattispecie di reato, anche sotto il profilo della sua offensività, determinando sentenza di proscioglimento per particolare tenuità, che conserva rilevanza sia ai fini del giudicato al di fuori del processo penale (cfr. art. 651 bis c.p.p.) che per l’iscrizione nel casellario giudiziario.

Ulteriore presupposto previsto dall’art. 131 bis c.p. di tipo soggettivo e inerente la persona del reo è la non abitualità della condotta, essendo necessario che la condotta dell’agente non sia usuale e ricorrente.

La non abitualità è quindi concetto diverso da quello di occasionalità, quest’ultimo riguardando una valutazione della condotta sotto il suo profilo quantitativo e presupponendo un comportamento  illecito che si verifica una tantum e in modo isolato nell’ambito della vita del reo.

La non abitualità presuppone invece un giudizio qualitativo della condotta, inerendo piuttosto una valutazione del modo di essere dello stesso agente e della sua inclinazione delittuosa.

L’art. 131 bis c.p. delinea specificamente i casi in cui la condotta debba ritenersi abituale e che impediscono di fatto l’applicazione della sua disciplina.

In particolare, il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o di tendenza o abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, singolarmente considerato sia di particolare tenuità, o nel caso si tratti di condotte plurime, reiterate e abituali.

Su tale previsione normativa è stata quindi esclusa l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. al reato continuato. In particolare è stato rilevato come le violazioni perpetrate nell’ambito di un unico disegno criminoso sono idonee ad escludere la non abitualità della condotta.

L’attuazione concreta della norma ha posto innanzitutto problemi di carattere applicativo con riferimento a istituti analoghi previsti nell’ambito della materia penale.

Una prima questione è infatti sorta in merito al collegamento dell’art. 131 bis c.p. con l’art. 34 D. Lgs. 274/2000, norma che prevede una similare ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto per i reati di competenza del Giudice di Pace.

Le Sezioni Unite della Cassazione, intervenute sul punto a dirimere un contrasto nato in senso alla stessa Corte di legittimità, hanno affermato l’inapplicabilità del nuovo istituto ex art. 131 bis c.p. ai procedimenti penali che si svolgono innanzi al Giudice di Pace, pena il rischio di una totale abrogazione dell’art. 34 D. Lgs. 274/2000.

Le Sezioni Unite hanno in particolare rilevato la natura speciale della disciplina contemplata dal D. Lgs. 274/2000 e la sua conseguente prevalenza rispetto alla disposizione di carattere generale di cui all’art. 131 bis c.p., in ossequio al principio generale secondo il quale “lex specialis derogat lex generali”.

Le due previsioni normative inoltre presentano profili differenziali, che impediscono una loro sovrapposizione.

L’art. 34 D. Lgs. 274/2000 introduce un istituto di natura processuale dal momento che inibisce l’esercizio dell’azione penale, riverberandosi sulla procedibilità dell’azione stessa.

Al contrario l’ipotesi contemplata dall’art. 131 bis c.p. ha natura sostanziale, andando a incidere sulla punibilità di un reato tipico e perfetto. L’accertamento della particolare tenuità quindi presuppone sempre l’esercizio dell’azione penale.

Mutano inoltre i requisiti utili ai fini della valutazione della tenuità del fatto, dal momento che l’art. 34 D. Lgs. 274/2000 fa riferimento all’occasionalità della condotta e prevede – quale criterio di giudizio-  il grado della colpevolezza, non menzionato espressamente dall’art. 131 bis c.p.

A tal riguardo, l’applicazione dell’art. 34 D. Lgs. 274/2000 presuppone inoltre un ulteriore valutazione circa il pregiudizio che il decorso del procedimento penale potrebbe arrecare al reo. Tale giudizio dovrà essere condotto sulla base di fattori estranei alla condotta del reo e che attengono strettamente alla sua sfera privata, quali esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute.

Si tratta quindi di una disciplina speciale rispetto a quella delineata dall’art. 131 bis c.p., dettata dalle specifiche esigenze e finalità conciliative che connotano il giudizio davanti al Giudice di Pace  e al carattere meno grave dei reati che si svolgono innanzi a tale autorità giudiziaria.

Un altra questione di tipo applicativo della nuova norma è stata posta con riferimento ai reati per i quali il legislatore ha previsto soglie di punibilità, al di sotto delle quali non è possibile configurarsi reato.

Tipiche ipotesi in tal senso sono i reati di guida in stato di ebbrezza o in materia di stupefacenti.

In particolare, con riferimento alle fattispecie per le quali sono previste soglie di punibilità, è stato rilevato come la gravità dell’offesa fosse stata già oggetto di valutazione da parte del legislatore, impedendo un accertamento concreto e postumo da parte del Giudice in termini di tenuità del fatto, presupposto indefettibile per l’applicazione dell’art. 131 bis c.p..

La giurisprudenza ha tuttavia evidenziato come le soglie di punibilità afferiscono all’offensività del fatto tipico previsto in astratto dalla norma penale ai sensi dell’art. 49 c.p., delimitando le soglie del penalmente rilevante.

Al contrario la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. può intervenire solo a seguito dell’accertamento della fattispecie delittuosa tipica e offensiva che abbia varcato le soglie di punibilità previste dalla legge. Nulla impedisce che sul reato cosi accertato il Giudice possa procedere a una valutazione della tenuità dell’offesa ai sensi dell’art. 131 bis c.p.

Inoltre, il legislatore ha preso posizione sui reati che prevedono espressamente quale attenuante la particolare tenuità del fatto, ritenendo comunque applicabile la causa di non punibilità in esame (comma 4 art. 131 bis c.p.).

Il giudizio di applicazione delle attenuanti e quello relativo alla tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p. si svolgono infatti su due piani diversi e, stante la loro diversa funzione e finalità, comportano dei risvolti processuali differenti (diminuzione della pena uno ed esclusione della punibilità l’altro).

La causa di non punibilità contemplata dall’art. 131 bis c.p. ha avuto necessariamente delle  ripercussioni anche sul piano processuale. Il legislatore è quindi intervenuto con delle modifiche e integrazioni alla disciplina prevista per le varie fasi del processo ove ricorrano i presupposti per la dichiarazione di particolare tenuità del fatto.

Con riferimento alla fase delle indagini preliminari, è rimessa alla valutazione del PM richiedere l’archiviazione del reato ai sensi dell’art. 131 bis c.p. così come previsto dall’art. 411 c.p.p.

Tale richiesta tuttavia deve essere preceduto da un necessario adempimento formale, ossia deve esserne dato avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, affinché queste, nel termine di dieci giorni, possano prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.

In caso di opposizione, il giudice procede a norma dell’art. 409, c. 2 c.p.p., conformemente al caso in cui non venga accettata la richiesta di archiviazione del PM, e, una volta sentite le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza.

In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’articolo 409, commi 4 e 5.

La particolare tenuità del fatto può altresì essere pronunciata in sede predibattimentale mediante sentenza di non luogo a procedere, così come previsto dall’art. 469, c. 1 bis c.p.p.

Anche in questo caso si rende necessaria l’audizione della persona offesa, ove comparsa.

Va osservato come la necessità di instaurare il contradditorio con la persona offesa al fine di procedere al proscioglimento dell’imputato o all’archiviazione dell’azione penale costituiscono adempimenti necessari, pena la nullità della sentenza.

Tuttavia, la vittima non può esercitare un potere ostativo alla dichiarazione di particolare tenuità del fatto, così come invece previsto dall’art. 34 D. Lgs. 274/2000.

Nulla osta che sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 131 bis c.p. venga emessa in sede dibattimentale, luogo di formazione ed acquisizione della prova.

In merito alla sentenza emessa in sede dibattimentale per particolare tenuità del fatto l’art. 651 bis c.p.p. ne disciplina gli effetti, affermando la sua idoneità di cosa giudicata quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della sua riconducibilità all’imputato nell’ambito dei giudizi civili o amministrativi, promossi ai fini restitutori o risarcitori nei confronti del reo o del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale.

L’idoneità di cosa giudicata del reato cosi come accertato nella sentenza di proscioglimento risulta conforme al fatto che la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. presuppone, ai fini della sua applicazione, la commissione di un fatto tipico e offensivo, che tuttavia, valutato in concreto, non merita di essere sottoposto a pena per la sua minima portata lesiva.

Pertanto il suo accertamento in sede dibattimentale, in contradditorio e con le garanzie che connotano tale fase del processo penale, consentono di ravvisarne la sua rilevanza sotto il profilo civilistico o amministrativo.

Può quindi osservarsi come la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto viene equiparata quanto agli effetti del giudicato in sede civile o amministrativa a una sentenza penale di condanna, stante il parallelismo con l’art. 651 c.p.p.

Deve, invece, escludersi la possibilità di dichiarare sentenza ai sensi dell’art. 131 bis c.p.p. nell’ambito del giudizio di patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p.

La giurisprudenza, infatti, ha evidenziato come il patteggiamento costituisca un procedimento speciale, ove la pena viene applicata su concorde richiesta dell’imputato e del pubblico ministero senza che vi sia tuttavia una valutazione in concreto del fatto commesso e, in particolar modo, dell’intensità dell’offesa.

Il Giudice piuttosto si limita a verificare, sulla base degli atti, la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e la congruità della pena richiesta (art. 444, c. 2 c.p.p.).

A conclusione della trattazione, occorre infine fare un cenno all’applicazione intertemporale della nuova ipotesi prevista dall’art. 131 bis c.p.

Parte della dottrina e della giurisprudenza hanno escluso che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto possa essere qualificata alla stregua di un abolitio criminis, data l’assenza di un’effettiva abolizione del reato. La norma infatti determinerebbe il venir meno della sua punibilità, rimanendo la fattispecie integrata in tutti i suoi elementi e rilevante anche al di fuori del processo penale (si veda art. 651 bis c.p.p.).

Secondo questo orientamento l’introduzione dell’art. 131 bis c.p. ha comportato piuttosto una successione di leggi penali nel tempo, con conseguente applicazione della disciplina prevista dall’art. 2, c. 4 c.p. L’art. 131 bis c.p. può quindi essere applicato ove preveda un trattamento più favorevole per il reo, rimanendo comunque fermo il limite del giudicato.

Secondo un’altra tesi invece l’art. 131 bis c.p. comporterebbe un abolitio criminis delle fattispecie penali connotate da particolare tenuità, assimilando di fatto la nuova norma a una causa di estinzione del reato.

L’adesione a una delle due tesi non è priva di risvolti, stante i differenti effetti che i commi 2 e 4 dell’art. 2 c.p. prevedono in caso di intervenuto giudicato.

In particolar modo l’abolitio criminis determinerebbe il venir meno degli effetti della condanna e la sua esecuzione, con conseguente riapertura di tutti i procedimenti definiti che presentino i presupposti previsti dall’art. 131 bis c.p.