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Tizio, fratello di Caio, stipula, anche in nome del fratello, contratto preliminare di vendita con Mevio e si rende inadempiente agli obblighi inerenti alla stipula del contratto definitivo non presentandosi all’appuntamento fissato da Tizio dinanzi il notaio rogante. Mevio conviene in giudizio sia Tizio che Caio ex art.2932 c.c. ma Caio, costituendosi in giudizio deduce di essere completamente all’oscuro del contratto preliminare stipulato dal fratello. Il candidato assunte le vesti del legale di Mevio svolga motivato parere.

Il caso in esame impone di verificare quale possa essere la tutela di Mevio che, a seguito dell’inadempimento, da parte di Tizio, delle obbligazioni inerenti alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita nascenti dalla conclusione di un precedente contratto preliminare anche in nome del fratello Caio, ha convenuto in giudizio ex articolo 2932 del codice civile sia Tizio che Caio. Quest’ultimo ha dedotto la sua estraneità rispetto al contratto preliminare concluso dal fratello.

Al fine di fornire, dunque, un’efficace risposta al quesito prospettato si rende necessario, in via preliminare, esaminare gli istituti giuridici sottesi al caso di specie.

Il contratto preliminare, disciplinato dall’articolo 1351 del codice civile, è un contratto preparatorio ad effetti obbligatori mediante il quale le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto, detto definitivo, i cui elementi fondamentali sono già stabiliti nello stesso preliminare. Con il contratto preliminare sorge l’obbligo tipico, in capo alle parti, di prestare il consenso necessario alla conclusione del contratto definitivo, ad effetti obbligatori o reali, con cui le parti realizzano il proprio assetto di interessi.

L’articolo 1351 del codice civile dispone, inoltre, che il contratto preliminare deve rivestire, a pena di nullità, la stessa forma prescritta dalla legge per il contratto definitivo.

In caso di inadempimento del contratto preliminare la parte adempiente può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, secondo le regole ordinarie in tema di inadempimento contrattuale ai sensi dell’articolo 1453 del codice civile, oppure, come nel caso di specie, può avvalersi del rimedio previsto dall’articolo 2932 del codice civile e la sentenza emessa dal giudice è un atto di natura giurisdizionale che costituisce la fonte di un rapporto che rimane di natura contrattuale. Nel giudizio ex articolo 2932 del codice civile possono essere opposti gli eventuali vizi di invalidità del contratto preliminare concluso.

Nel caso in esame Mevio ha agito ex 2932 del codice civile sia contro Tizio che contro Caio e, dunque, ciò manifesta, da parte di Mevio, un interesse preminente alla conclusione del contratto definitivo di compravendita.

Il nucleo centrale del problema si pone sul piano della buona fede di Mevio poiché, dato per assodato che Tizio aveva il pieno potere di alienare la quota dell’immobile di sua proprietà, altrettanto non può dirsi per quella facente capo al fratello Caio e ciò implica che Mevio, agendo ex 2932 del codice civile anche nei confronti di Caio, dovrà verosimilmente provare di essere stato in buona fede e di aver perciò perseguito l’interesse alla conclusione del contratto di compravendita per l’intero e non soltanto per la quota facente capo a Tizio sull’assunto che quest’ultimo avesse il potere di disporre anche della quota del fratello Caio. Ciò poiché il principio di buona fede oggettiva assume un’importanza notevole in materia contrattuale. Quest’ultima rappresenta, infatti, un obbligo di solidarietà gravante sui contraenti, che accompagna ogni fase della vita del contratto (dalla formazione all’esecuzione, dall’interpretazione all’integrazione), imponendo loro di cooperare ciascuno alla realizzazione dell’interesse della controparte. Più precisamente, tale clausola generale, assurgendo a limite di ogni situazione soggettiva, attiva o passiva, negozialmente attribuita, costituisce la fonte di obblighi ulteriori per le parti, idonei a integrare il contenuto e gli effetti del contratto.

Così posti i termini della questione, occorre chiedersi se il contratto preliminare di cui si discute, stipulato da Tizio anche in nome del fratello Caio senza il consenso di quest’ultimo, possa essere ritenuto valido e perciò idoneo a far sorgere le obbligazioni tipiche in capo alle parti.

Lo strumento giuridico, disciplinato dall’articolo 1392, mediante il quale un soggetto conferisce ad un altro soggetto il potere di concludere un contratto in nome proprio è costituito dalla procura la quale non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.

Nel caso in esame emerge che Caio non abbia conferito al fratello Tizio tale potere e, dunque, che Tizio abbia concluso con Mevio un contratto preliminare in assenza del relativo potere.

A questo punto si pone un problema di interpretazione del contratto preliminare di compravendita concluso.

Più nello specifico, infatti, la promessa di vendita di un bene sul quale due soggetti sono comproprietari è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo considerato come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari salvo che il relativo contratto preliminare venga redatto in modo tale da far risultare la volontà delle parti di scomposizione del contratto in più contratti preliminari in base ai quali ciascun comproprietario si impegna a vendere la propria quota al promissario acquirente.

Ne consegue che laddove tale dichiarazione manchi o sia invalida non si forma la volontà di una delle parti alla conclusione del contratto preliminare e si esclude la possibilità, in capo all’acquirente, di ottenere la tutela ex articolo 2932 del codice civile rispetto al comproprietario che non ha manifestato il suo consenso.

Nello stesso senso si sono espresse anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6308/2008 secondo cui la promessa di vendita di un immobile in comproprietà, stipulata da uno dei comproprietari anche in veste di rappresentante dell’altro, deve considerarsi priva di effetto per l’intera res in difetto di prova del conferimento a vendere per atto scritto.

Alla luce dell’analisi normativa condotta e della giurisprudenza esaminata sin qui, ne discende che il contratto preliminare concluso da Tizio anche in nome del fratello Caio non possa produrre effetti per ciò che concerne la quota di proprietà di quest’ultimo e, dunque, la sentenza pronunciata dal giudice ex articolo 2932 del codice civile non possa produrre l’effetto traslativo della quota di Caio non avendo conferito il relativo potere al fratello Tizio.

Da ciò  consegue che Mevio, dal punto di vista processuale, possa ottenere la sentenza costitutiva ex articolo 2932 limitatamente alla quota di Tizio con la possibilità, eventualmente, di agire ai sensi degli articoli 1478 e 1480 chiedendo la risoluzione del contratto e il contestuale risarcimento del danno a Tizio. Quest’ultimo rimedio processuale non richiede che sia provata la conoscenza dell’effettiva titolarità del bene al momento della conclusione del contratto poiché l’inadempimento relativo all’effettiva disponibilità del bene in capo all’acquirente è riconducibile a una delle obbligazioni tipiche del venditore ovverosia quella di far conseguire la titolarità del bene all’acquirente. Da ciò consegue che l’acquirente può sempre ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno anche se, nel caso di specie, tale ultima prospettazione appare articolata e di difficile sostenibilità in giudizio poiché Mevio, usando l’ordinaria diligenza, prima di sottoscrivere il contratto preliminare con Tizio avrebbe dovuto verificare che lo stesso avesse il potere di agire anche in nome del fratello Caio in tal modo assicurando a Mevio il raggiungimento e la soddisfazione dell’interesse alla conclusione del contratto preliminare di compravendita dell’immobile per l’intero e non soltanto per la quota spettante a Tizio.