I Magistrati, i giudici, gli avvocati che hanno creduto nel progetto di Tutor magistralis

Alberto Parmentola giovane brillante avvocato, toga d’oro a Torino

Baldo Marescotti

Magistrato

«C’era una volta… – Un re! – diranno subito i nostri giovani tirocinanti. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un giovane studente che all’ultimo anno del liceo comunicò il  desiderio di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza. Ai genitori un po’ costernati chiarì la ragione di questa scelta: desiderava diventare un magistrato.

E così avvenne. Ultimato il servizio militare e superato il concorso, prese servizio presso il Tribunale di Milano. Durante il tirocinio sperimentò la diversità dei singoli magistrati conosciuti e istintivamente riconobbe a chi fare riferimento come figura-modello, verso cui – come l’oca di Lorenz – sviluppare un rapporto di imprinting.

Terminato il tirocinio si trovò ad affrontare difficoltà mai prima sperimentate: ascoltare problemi su cui prendere immediata posizione (Sezione Fallimentare), assumendo un ruolo di sibilla che doveva dire e non dire.

E allora, nel comprendere che il sapere avrebbe richiesto lunga pratica e un progressivo apprendimento, capì che sarebbe stato naturale e tollerabile trovarsi in uno stato di inferiorità professionale o culturale rispetto ai grandi nomi del Foro e dell’Accademia; ma che in ogni caso mai sarebbe stato lecito sottrarsi all’ascolto e al contraddittorio, o assentarsi senza giustificazione, o esternare arrogante superbia, od offendere con modi scostanti e lesivi in violazione dei doveri che l’ufficio richiedeva.

E comprese che il nostro ordinamento non si fondava sul principio di autorità e che le decisioni richieste non si reggevano sul principio dell’”ipse dixit”. Alle parti non interessava il nome o la capacità astratta del giudicante; le parti richiedevano le argomentate ragioni del  “decidere” per poterle eventualmente condividere ovvero per poterle impugnare con argomentazioni  contrapposte.

Ne conseguiva che alla sapiente dottrina delle parti processuali quel giudice non poteva che opporre uno studio puntiglioso e completo degli atti; una ricerca degli elementi qualificanti dei fatti; un esame dei documenti e delle prove acquisite per poterne vagliare l’efficacia probatoria; una ricerca dei precedenti giurisprudenziali più pertinenti accanto all’esame del sistema delle interpretazioni degli autori.

E riconobbe negli anni l’utilità massima della discussione collegiale, verificando come la decisione ne uscisse più rafforzata e come anche nel sistema “monocratico” del giudice unico l’abitudine al confronto (magari soltanto nei corridoi del Palazzo) permettesse di saggiare il fondamento delle sue intuizioni individuali.

Loredana  Pederzoli

Magistrato

“Che mestiere fai? Faccio il magistrato“. Sì perché anche fare il giudice è in primis un mestiere (bellissimo) che al pari di altri richiede doti e competenze. Oltre all’equilibrio per affrontare i più disparati e a volte sconvolgenti casi della vita, all’umiltà di esercitare potere non per il potere ma per offrire un servizio efficace,  di sicuro esige l ‘anelito al senso del giusto con una solida preparazione tecnica per tradurre tale anelito  nella concreta realtà.

Infatti senza regole tecniche calate, piegate, invocate, elaborate nella realtà di tutti i giorni non si può fare “il lavoro”, non si può offrire “giustizia“.

Ecco allora l utilità di essere condotti ed aiutati a vedere  le norme “apatiche” studiate sui  libri prendere vita, dibattersi nei casi concreti, permeare i mille rivoli del vissuto. Ecco questa è la essenza della offerta formativa e il suo valore.  Provare per credere”.

Caterina Fiore

Avvocato

“Le Università annualmente laureano giovani menti brillanti, alle quali purtroppo è però totalmente sconosciuto l’approccio concreto al Diritto: trascorrono anni ad assimilare dottrine interessanti ma nulla viene insegnato su come applicare i molteplici principi e teorie al caso reale. Un corso che finalmente insegni non a prevedere “tutte le ipotesi possibili”, bensì ad affrontare la fattispecie pratica, individuando tra quanto studiato sui libri la soluzione al caso proposto dal concorso, dall’esame di abilitazione alla professione di avvocato, e soprattutto dalla realtà con cui viene a contatto l’operatore del diritto, è una necessità assoluta e primaria per contribuire a mettere il domani della società in mani sicure.”

Carla R. Ranieri

Magistrato

“Desidero esprimere il mio plauso per la splendida e generosa iniziativa della valente (e cara) collega Maria Sodano, con la quale ho condiviso per alcuni anni il lavoro alla I sez. civile della Corte d’Appello di Milano. Mi conforta sapere che la sua preparazione e la sua competenza multiforme, acquisite nei tanti e diversi uffici giudiziari che l’hanno vista protagonista – e che spaziano dal diritto penale a quello civile – non vadano disperse e siano ora poste al servizio dei tanti giovani che intendono intraprendere la strada della magistratura. A tutti coloro che, come auspico, potranno un giorno sperimentare il più bel lavoro del mondo e a Maria, che li accompagnerà in questo cammino con mano ferma ed autorevole, gli Auguri più cari di ogni successo.”

Andrea Reale

Magistrato

“Impegno nello studio, perseveranza e tenacia sono i migliori ingredienti, sicuramente quelli indefettibili e necessari, per superare il concorso in magistratura. Il mio consiglio è dedicare un biennio post-laurea a un intenso (se possibile in via esclusiva) studio delle materie fondamentali, con esercitazioni scritte e con un continuo aggiornamento giurisprudenziale, avvalendosi di siti istituzionali e di riviste giuridiche specializzate. Lo studio per il concorso sarà una base fondamentale per il prosieguo dell’attività ed è un patrimonio che resterà sempre nel bagaglio formativo e culturale del magistrato.

Insieme a questo ed al basilare perseguimento del principio di soggezione soltanto alla legge, però, non bisogna mai dimenticare o sottovalutare i requisiti etici personali: umiltà nell’approccio al mestiere di magistrato e nello studio e risoluzione di qualsivoglia controversia, che vuol dire continuo confronto, magari dialettico, ed imparziale ascolto delle diverse ragioni, oltre che costante approfondimento delle tematiche in fatto e in diritto; umanità nella considerazione del caso, ma anche humanitas nel senso latino del termine, come patrimonio di valori che devono costituire il presupposto di un sereno e saggio giudizio; rispetto ed educazione nei confronti di tutte le parti del processo; distacco da qualsiasi condizionamento nel proprio giudizio, che costituisce essenziale garanzia della indipendenza interna ed esterna di ciascun magistrato.”

Adriano Scudieri

Magistrato

“Quanto scritto dai Padri costituenti negli articoli 101 – 110 della Costituzione non era affatto scontato: il nostro paese gode di una tutela avanzatissima della funzione giudiziaria, che la rende davvero (almeno potenzialmente) autonoma e indipendente dagli altri poteri ed in particolare dal potere esecutivo, quindi dai governi ed in generale della politica. Il magistrato può indagare, e giudicare, su qualunque cittadino del nostro Stato, purché lo faccia nel rispetto le regole sancite dall’ordinamento penale e processuale. E’ evidente che i magistrati devono meritarsi le garanzie di autonomia e indipendenza, mettendo al centro della loro attività il concetto di servizio verso il Paese e mettendo da parte altri interessi (che possono variare da quello di carriera a quello economico a quello di un desiderio smodato di pubblica visibilità). L’articolo 54 della Costituzione è, a mio parere, la vera stella polare che deve orientare il nostro comportamento come magistrati: tutti i pubblici funzionari devono servire la Nazione con disciplina e onore. L’irreprensibilità come unico criterio, che vale per tutti quelli che hanno l’esercizio di pubbliche funzioni.

Quando mi sono trovato a scegliere la mia strada, come magistrato, ho consapevolmente e con determinazione scelto di svolgere le funzioni di Pubblico Ministero. Credo fortemente in questo ruolo; credo sia fondamentale avere un organo indipendente, comunque un magistrato – e non un poliziotto o un burocrate – che sia svincolato dalle scelte e dalle decisioni della politica, che avvii le indagini e coordini l’attività delle forze dell’ordine, applicando il codice e le leggi.

Uno dei miei maestri, il dott. Armando Spataro, ha scritto un libro in cui racconta la sua storia professionale: “Ne valeva la pena”. Nell’introduzione spiega perché “ne valeva la pena” con il poster The Problem We All Live With It di Norman Rockwel.

L’originale si trova presso la sede del Marshall Service, la più antica agenzia federale degli USA, che tra gli altri compiti ha di scortare e proteggere i pentiti e dare esecuzione alle sentenze della Corte Suprema. Il quadro ritrae plasticamente l’esecuzione della sentenza della Corte Suprema che pose fine all’apartheid in Louisiana, obbligando la scuola elementare di New Orleans, che ne aveva rifiutato l’iscrizione ad accogliere tra i suoi allievi una bambina di colore di sei anni, Ruby Bridges; e furono proprio gli agenti federali a scortare la bambina a scuola, per l’intero anno scolastico, aspettandola ogni giorno fuori dalla classe per riportarla a casa alla fine delle lezioni. Armando Spataro dice: “(…) in questo quadro è ritratta la legge, rappresentata dai quattro uomini senza volto che devono farla rispettare; l’arroganza di chi non sopporta la legge e per questo insulta la piccola lanciandole pomodori e vergando la scritta NIGGER. Ma ci sono anche l’orgoglio e il coraggio di chi si affida solo alla legge, procedendo a petto in fuori e a testa alta”, consapevole, aggiungo io, che troverà degli uomini e delle donne di giustizia che sapranno tutelare e garantire i suoi diritti.”

Antonello Racanelli

Magistrato

“Sono in magistratura da circa 30 anni e, nonostante le condizioni complessive di lavoro siano decisamente peggiorate, sono contento della scelta fatta. Il nostro è un “mestiere” particolare che richiede, certo, preparazione ed impegno, ma soprattutto passione. E’ necessario anche mantenere l’orgoglio per la splendida attività che abbiamo la fortuna di svolgere.

Due sole indicazioni: non bisogna mai dimenticare che abbiamo di fronte persone come noi e che il giudice è un “pianista-interprete”, esecutore  di brani normativi redatti dal legislatore; non deve, perciò,  trasformarsi in “pianista-compositore” in proprio. Ripeto, infine, l’invito che ho sempre fatto ai miei uditori: è preferibile fare un fascicolo in meno e dedicare, invece, qualche ora all’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale

ettore traini

Ettore Traini

Avvocato

“[Magistratura ed avvocatura, organi complementari di una sola funzione, legati da scambievole rispetto e da reciproco riconoscimento di uguale dignità verso lo scopo comune] P. Calamandrei.

Le parole del grande giurista costituiscono l’essenza ed il significato di ciò che è alla base della cultura della Giurisdizione, intesa come cultura dello jus dicere, ossia del rendere Giustizia a cui partecipano tutti i soggetti processuali. Una cultura quindi che si nutre del riconoscimento dei reciproci ruoli e che deve far parte del bagaglio culturale e professionale di avvocati e magistrati”.

Loris Panfili

Avvocato

Perché “fare l’avvocato” all’alba del terzo millennio? Una volta, si diceva per “perseguire e tutelare gli alti valori ed ideali della giustizia ed i diritti dei deboli”, oppure -molto più prosaicamente- perché  è “una professione che permette di guadagnare bene”: la cruda realtà dei fatti ha tolto tutta o quasi la ragion d’essere di tali motivazioni, così che chi voglia avvicinarsi a questa antichissima e -tale ancora la ritengo- nobile professione, che affonda le sue radici nella antica Grecia (non a caso, culla della civiltà moderna), deve per forza ricercare e trovare ulteriori ragioni. Quali, è difficile e fors’anche impossibile predeterminarle, atteso che per ognuno di noi possono diversamente -e anche agli antipodi- atteggiarsi: ma, se chi vuole approcciarsi alla difficile arte della difesa dei diritti di altri, riuscirà a trovarle in sé,  allora avrà la soddisfazione di essere reale protagonista, di vivere una professione (vorrei dire una “missione”,  se non temessi di apparire tonitruante) di cui una società civile non potrà mai fare a meno, pena la sua stessa sopravvivenza.

Paolo Andrea Bergmann

Avvocato

Un buon magistrato NON è

  • arrogante;
  • autoreferenziale;
  • altezzoso né supponente;
  • sordo né distratto;
  • umile: è al servizio dello Stato e dei suoi cittadini, svolge una Funzione che è un Potere, che è anche un dovere.

E’ un professionista: deve essere preparato, conosce il diritto, ma soprattutto conosce il fascicolo che tratta; un buon magistrato trasmette dall’astrattezza della norma al concretissimo del suo utente i principii dell’ordinamento.

Nel far questo, un buon magistrato è ben orientato ai principii della Costituzione e dei Trattati che l’Italia ha adottato, e conferisce un senso più ampio e solido ad ogni singolo caso che tratta.

Elena Pollini

Magistrato

In qualità di Magistrato in TIROCINIO prossima alle funzioni, riporto la mia esperienza per dimostrare che questa professione richiede preparazione e comporta sacrifici, ma la si raggiunge anche per passione. Dopo il primo scritto, sono stata bocciata all’orale…Vedere il traguardo ed essere “rimandati al VIA”, senza sapere se ci sarà mai una seconda opportunità è veramente difficile da superare. Io ho scelto di non arrendermi e, dopo 3 mesi, sono tornata in Fiera a rifare gli scritti. Non è stato facile, ma quando li ho superati nuovamente e sono tornata a fare l’orale ero una persona convinta e determinata. Il traguardo per per cui avevo tanto lottato era ormai sicuro. E così è stato. Non vi lasciate spaventare prima di iniziare. Inseguite un sogno perché si realizzerà.

Valentina Eramo

Avvocato

Il compito del giudice è quello, non semplice, di accertare torti e ragioni: quando ha istruito il caso sottoposto alla sua attenzione, non può rifugiarsi nella comoda scappatoia di una sentenza salomonica, ma deve condannare chi ha violato la legge. Il compito dell’avvocato è altrettanto delicato: qualora istruisca frettolosamente la fattispecie sottoposta alla sua attenzione, rischia di radicare cause azzardate, aggravando i costi della giustizia. Il compito del notaio è quello di controllare la regolarità formale degli atti: è il garante della legalità.

Il corso Tutor Magistralis è un’occasione imperdibile per quanti desiderano accedere alle professioni legali, ma anche un vantaggio incomparabile per la collettività: i giovani discenti potranno beneficiare dell’esperienza e della competenza di Maria Sodano nonché della sua generosità, dato che il servizio è gratuito; i cittadini, invece, saranno certi di essere giudicati da magistrati preparati e di poter contare sulla mediazione professionale di avvocati e notati capaci. Complimenti Maria e grazie per il tuo ammirevole lavoro.

Andreina degli Esposti

Avvocato

Rispondere alla domanda: come si diventa un “buon avvocato” non è affatto cosa semplice.
Innanzitutto, occorre cogliere sin dall’inizio quanto siano essenziali una serie di caratteristiche che non si possono “imparare”: e così, tra le molte altre, l’onestà intellettuale, il senso della misura (inteso anche come consapevolezza dei propri limiti e dell’impossibilita di essere enciclopedici), l’impegno e la dedizione veri, che non si traducono tanto nel numero di ore dedicate all’attività quanto piuttosto nella concentrazione e nella capacità di approfondimento, la gratitudine nei confronti di chi ti fa crescere professionalmente – se si è così fortunati da incontrare un Maestro.
Chiaro che non può trascurarsi quell’ “oggetto” misterioso che è il Talento!

Giuseppe Buffone

Magistrato

“La strada che conduce al concorso per l’accesso alla magistratura è tortuosa e spesso dà la sensazione di essersi smarriti tra le tante (troppe) tematiche da studiare. Una buona «bussola» consente di orientarsi nello studio e costituisce lo spunto per adottare una metodologia nella preparazione. Questa bussola può essere un buon corso che può essere molto utile seguire prima di cimentarsi nelle prove scritte. Ma gli ingredienti del rapporto “insegnante” – “studente” sono essenziali: passione, dedizione, vocazione per quello straordinario lavoro che si chiama «magistratura». E lo studio non deve spaventare: sarebbe una contraddizione perché fare il magistrato vuol dire studiare per tutto il corso della carriera. Non è un caso che l’unico posto dove “successo” viene prima di “sudore” è il dizionario.”