Breve relazione sul convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma svoltosi presso la Corte di Cassazione il 27 febbraio 2019

 Sommario: 1. Introduzione – 2. L’evoluzione degli strumenti normativi di prevenzione e di repressione dei fenomeni di corruzione – 3. La riforma della disciplina della prescrizione in ambito penale – 4. La prospettata riforma del processo penale.

 

  1. Introduzione

Il 27 febbraio 2019 si è svolto presso l’Aula Giallombardo della Corte di Cassazione un convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma dal titolo “Le recenti riforme in ambito penale con particolare riferimento alla corruzione e alla prescrizione”.

Vi hanno preso parte, in ordine di intervento: il Dott. Giovanni Mammone (Primo Presidente della Corte di Cassazione); l’Avv. Antonino Galletti (Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma); il Prof. Avv. Giovanni Maria Flick (Presidente Emerito della Corte Costituzionale); il Dott. Eugenio Albamonte (Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Roma); il Prof. Avv. Vittorio Manes (Professore Ordinario di Diritto Penale presso l’Università di Bologna); la Dott.ssa Annamaria Pazienza (Presidente della II Sezione Penale del Tribunale di Roma); il Dott. Ernesto Lupo (Presidente Emerito della Corte di Cassazione); il Dott. Alessandro Centonze (Consigliere della I Sezione Penale della Corte di Cassazione); l’Avv. Maurizio Greco (Avvocato dello Stato).

Il convegno è stato occasione di riflessione e di confronto su tre temi giuridici molto attuali: (i) l’evoluzione degli strumenti normativi di prevenzione e di repressione dei fenomeni di corruzione; (ii) la riforma della disciplina della prescrizione in ambito penale; (iii) la prospettata riforma del processo penale. Nel discuterne, particolare attenzione è stata posta alla recente Legge 9 gennaio 2019, n. 3, entrata in vigore il 31 gennaio 2019, ad eccezione delle disposizioni di cui all’art. 1, co. 1, lett. d), e) e f), che entreranno in vigore il 1° gennaio 2020.

  1. L’evoluzione degli strumenti normativi di prevenzione e di repressione dei fenomeni di corruzione

Il tema della corruzione è stato affrontato dal Prof. Avv. Giovanni Maria Flick, il quale nel suo intervento ha dapprima ripercorso l’evoluzione del fenomeno della corruzione e degli strumenti normativi predisposti dal legislatore per prevenirlo e per reprimerlo, per poi concludere con delle riflessioni sulla situazione attuale.

La corruzione è cambiata nel tempo. Una volta avveniva principalmente in contanti, ora invece si adottano strumenti molto più sofisticati. Anche per tale ragione, per contrastarla efficacemente è di fondamentale importanza approntare strumenti normativi volti alla prevenzione del fenomeno e non solo alla sua successiva repressione.

Per molti anni, tuttavia, il tema è stato ignorato e si è proceduto, al contrario, a sopprimere i cc.dd. reati sentinella (quello di falso in bilancio, ad esempio, è stato trasformato in una sorta di mero reato bagattellare a querela di parte) che erano una delle forme di prevenzione più efficaci.

La svolta è avvenuta solo nel 2012 ed è attribuibile principalmente a due fattori: da una parte, le sollecitazioni sempre più pressanti ricevute dall’Italia da parte di organismi internazionali o sovranazionali (come le Nazioni Unite, l’OCSE, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea); dall’altra, la crisi economica che ha trasformato la corruzione in un costo economico non più sostenibile dagli investitori.

Con la Legge 6 novembre 2012, n. 190, invero, è stata introdotta l’A.N.AC. (rinominando e potenziando i poteri della CiVIT istituita con il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150) e sono state previste nuove fattispecie delittuose, quali quelle della concussione e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità. La giurisprudenza si era divisa riguardo ai criteri di distinzione tra queste ultime ma poi è intervenuta a fare chiarezza la Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza del 24 ottobre 2013, n. 12228 (c.d. “sentenza Maldera”).

Infine, venendo al presente, con la Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (cfr. art. 1, co. 6), vi è una pericolosa estensione dell’ambito applicativo dell’art. 4-bis, Legge 26 luglio 1975, n. 354, che comporterà la preclusione per i soggetti condannati per la maggior parte dei reati contro la Pubblica Amministrazione di accedere ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, a meno di collaborare con la giustizia.

  1. La riforma della disciplina della prescrizione in ambito penale

A partire dal 1° gennaio 2020, l’art. 159, co. 2, c.p., sarà così sostituito: «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna» (cfr. art. 1, co. 1, lett. e), Legge 9 gennaio 2019, n. 3). Tutti i relatori si sono espressi in termini critici nei confronti di questa riforma.

Un problema che affligge la giustizia italiana è l’elevato numero dei processi penali in cui interviene la prescrizione.

I sostenitori della riforma della prescrizione ad opera della Legge 9 gennaio 2019, n. 3, sostengono la necessità di impedire che un soggetto condannato in primo grado possa poi di fatto rimanere impunito a causa dei tempi irragionevolmente lunghi della giustizia italiana. I detrattori della riforma, invece, fanno notare che nella maggior parte dei casi la prescrizione interviene davanti all’ufficio del G.I.P. o davanti al Tribunale ordinario. E la riforma non incide su queste fasi dell’iter procedimentale/processuale penale, in cui pertanto la prescrizione continuerebbe a maturare.

I relatori intervenuti si sono espressi in termini critici verso questa riforma della prescrizione, notando che:

  1. pochissimo tempo fa vi è già stata una riforma della prescrizione, ad opera della Legge 23 giugno 2017, n. 103, e risulta quindi inopportuno aver predisposto un’ulteriore riforma senza aver ancora avuto modo di verificare se quella precedente abbia contribuito a risolvere il problema;
  1. la tecnica normativa adottata risulta assai scadente. A titolo esemplificativo, risulta incongruo aver modificato l’art. 159, co. 2, c.p., invece di introdurre un nuovo articolo nel codice penale, considerato che non si tratta né di una sospensione, né di una interruzione, ma di un “blocco” della prescrizione, ovvero di un nuovo istituto nell’ordinamento giuridico italiano (già conosciuto in Germania e spesso oggetto di pronunce da parte della CEDU);
  1. in ogni caso, la riformulazione dell’art. 159, co. 2, c.p., potrebbe sollevare questioni di legittimità costituzionale a causa del possibile contrasto con il principio di rieducazione della pena, con il principio della ragionevole durata del processo, con il principio del giusto processo e con il principio del diritto alla difesa.

I relatori sono stati concordi nel ritenere che la riforma della prescrizione non risolverà il problema e che la vera soluzione sarebbe rappresentata dall’investire maggiori risorse finanziarie nel sistema giustizia, così da consentire l’assunzione di un numero adeguato di magistrati e di personale amministrativo, l’ammodernamento delle ormai fatiscenti infrastrutture giudiziarie e l’aggiornamento tecnologico degli strumenti di lavoro.

  1. La prospettata riforma del processo penale

Il tema della prospettata riforma del processo penale è stato affrontato dal Dott. Eugenio Albamonte, il quale nel suo intervento ha ricordato alcuni dei limiti di quello attuale, avanzando delle proprie proposte di riforma o ricordando alcune di quelle prospettate da altri.

Nelle intenzioni del legislatore, solo poche cause sarebbero dovute giungere in sede di dibattimento. Tuttavia, così non è stato. Invero, i vari strumenti processuali predisposti a tale scopo – tra cui i riti alternativi – non hanno funzionato come avrebbero dovuto.

Sicché, oggi è quanto mai concreto il rischio di paralizzare l’operatività dei Tribunali penali utilizzando impropriamente la sanzione penale onde ingenerare una falsa percezione di maggior sicurezza. Pertanto, sarebbe quanto mai necessario ricorrere a una maggiore depenalizzazione.

Relativamente all’annunciata riforma del processo penale sarebbe opportuno:

  1. un ripensamento dei riti alternativi e soprattutto del patteggiamento, ampliandone il campo di applicazione;
  2. ridurre i casi in cui sia possibile accedere al giudizio di appello (negli altri, quindi, sarebbe a quel punto possibile ricorrere solo per cassazione), invece che abolire – come pure è stato proposto da alcuni – il divieto di reformatio in peius onde scoraggiare un uso pretestuoso degli strumenti di impugnazione;
  3. riformare la disciplina dell’acquisizione della prova nel giudizio di appello.